martedì 30 ottobre 2012

In Sicilia ha perso la politica

Il fine settimana ha portato, da un punto di vista politico, alcune interessanti notizie.
Indubbiamente il voto per le regionali in Sicilia dovrebbe far riflettere i partiti. Il primo dato, arrivato già nella tarda serata di domenica, è la forte astensione. Nel 2008, quando a vincere fu Lombardo, si recarono nei seggi elettorali il 66.7% degli aventi diritto (va però ricordato che si votava anche di lunedì), domenica ha votato solo il 47.4%, quindi il vero vincitore delle elezioni è l’astensione. Un dato così preoccupante in Sicilia non si era mai registrato (il dato peggiore prima di questa tornata era il 59.2% del 2006, elezioni vinte da Totò Cuffaro). A questo dato, già di per se preoccupante, andrebbero aggiunti i voti avuti da Giancarlo Cancellieri, candidato alla presidenza della Regione Sicilia per il Movimento 5 Stelle. I grillini portano all’Assemblea Regionale 15 deputati (il Movimento prende il 14.9% diventando di fatto il primo partito in Sicilia e Cancellieri prende il 18.2% dei voti, dietro solo a Crocetta e Musumeci), intercettando il voto di protesta rispetto ai partiti tradizionali che negli ultimi anni hanno governato la regione. È la lista legata al comico genovese quindi la vera vincitrice delle regionali in Sicilia, nel 2008, praticamente agli albori del laboratorio del Movimento 5 Stelle, i girllini presero 1.7%.
Sulla carta ha vinto Rosario Crocetta. Sarà lui a guidare la prossima giunta. Ma, leggendo bene il dato, Crocetta potrebbe avere più di un problema nel governare la regione non avendo la maggioranza nel Consiglio. I partiti che lo appoggiano, due liste civiche più il PD e l’UDC, hanno raccolto in totale 39 seggi, la maggioranza è di 46 seggi. Per governare probabilmente si alleerà con l’ex berlusconiano Gianfranco Miccichè (15.4% dei voti con una coalizione che porta all’Assemblea 15 deputati). Ma c’è un aspetto che potrebbe sembrare quasi comico: domenica il neo governatore siciliano ha preso poco più del 30% dei voti, percentuale molto simile a quella presa, quattro anni fa, da Anna Finocchiaro. Di più, nelle liste di Crocetta ci sono gli stessi esponenti del PD che nell’ultimo periodo hanno appoggiato il governatore dimissionario Raffaele Lombardo (che comunque si è aggiudicato il 9% dei voti, forse determinante per la prossima maggioranza.
Alcuni dati sul tracollo dei partiti
Il PD alle regionali del 2008 aveva oresi il 18.7% con 505.420 voti, domenica non è arrivato a toccare le 200 mila preferenze. Bersani gioisce per la vittoria di Crocetta e parla di risultato storico, ma il suo partito ha dimezzato le preferenze.
Il suo alleato in Sicilia, l’UDC, è passato da 336.826 a 144.142 voti. Tutto questo fa sembrare strano come due partiti che perdono, in termini di voti, così tanto, possano dichiararsi vincitori con termini tipo vittoria “storica” e “rivoluzionaria”.
Il PDL, se era possibile, perde anche di più. In quattro anni perde il 20% dei voti (dal 33% al 12%) passando da poco più di 900 mila preferenze a meno di 200 mila. “Che il PDL avese qualche problema ben prima delle elezioni siciliane era noto a tutti.” È stato il commento di Giorgia Meloni. Ma cosa è successo nel PDL nelle ultime ore? Pochi giorni fa Berlusconi aveva annunciato la sua decisione di fare un passo indietro, di non candidarsi più e dare il suo contributo alle giovani generazioni. E poi? Una condanna di primo grado gli ha fatto cambiare prontamente idea e già sabato lo annunciava in una conferenza stampa, minacciando anche l’attuale governo dei tecnici della possibilità di togliergli la fiducia. Naturalmente questa mossa non ha giovato al segretario del partito, Angelino Alfano, che sulla Sicilia ci aveva messo la faccia. Ma sarà lo stesso Alfano a dichiarare: “L'idea che il Pdl sia diviso tra montiani ed anti montiani e che a capo degli anti montiani ci sia Berlusconi è una rappresentazione assolutamente surreale e a tratti comica. Per quanto ci riguarda il governo Monti va avanti.” Intanto si prosegue la marcia di avvicinamento alle primarie del centro-destra. Sarà interessante capire i candidati e come, il vincitore, si comporterà rispetto al governo che ora appoggia.

lunedì 29 ottobre 2012

Ancora violenza in Nigeria

Ennesima domenica di sangue in Nigeria. Un uomo guida una macchina quasi fino all’interno della Chiesa dedicata a Santa Rita a Kaduna, nel Nord del Paese, poi si fa esplodere. Il bilancio è terribile 8 morti e 145 feriti. L’attentato non è stato rivendicato ma si pensa che dietro la terribile violenza ci sia la mano della setta islamica Boko Haram, molto vicino a Al Quaeda.
Ma non basta. La violenza chiama violenza. Dopo l’attentato è scattata una caccia all’uomo: un gruppo di cristiani si è riversato nelle strade con coltelli e bastoni uccidendo due passanti, dando poi fuoco ad una terza persona.
La verità è però che laviolenza nello Stato africano, contro i cristiani, ormai quasi non fa più notizia. Dal 2010 a ieri ci sono stati decine di attentati, soprattutto nel nord del Paese, ad opera di terroristi islamici. A dicembre del 2010, a Natale, alcuni attacchi nelle chiese, con fedeli riuniti per festeggiare il Natale, avevano fatto 86 vittime. Da allora l’escalation di violenza non si è mai fermata. Secondo alcune fonti solo nel 2012 Boko Haram avrebbero ucciso 700 persone.
Proprio sul dovere di ricordare e far conoscere quanto sta accadendo in Nigeria, è intervenuto il Ministro della Cooperazione Internazionale ed Integrazione, Andrea Riccardi, che nel corso di una trasmissione radiofonica di Radio1, ha spiegato: “Noi e la comunità internazionale dobbiamo essere attenti, non dimenticarci delle situazioni come quella nigeriana, non abituarci al loro dolore e alla loro sofferenza e intervenire con gli strumenti della comunità europea. Ci sono tanti Paesi dove la minoranza cristiana soffre, penso al medioriente e all'Asia, noi cerchiamo di monitorare tutto e intervenire come e dove si può.”
Mentre il Ministro degli Esteri, Giulio Terzi di Sant’Agata, in una nota ufficiale afferma, “Siamo di fronte all'ennesimo, odioso attentato che colpisce i cristiani proprio nel giorno della festa religiosa. La condanna deve essere la più ferma perché questi atti vili colpiscono la coscienza di tutti coloro che si battono contro la violenza e per il rispetto della libertà di religione
Il vice presidente del Senato Vannino Chiti, nel corso di un'iniziativa a Pisa, ha sostenuto che “Dobbiamo far sentire la nostra voce di fronte a ogni forma di violenza fatta in nome della religione, così come per esempio accade ormai da diverso tempo in Nigeria. Il dialogo non ha alternative. Se non si segue questa strada si determina una distruzione della società”.

sabato 27 ottobre 2012

50 anni fa moriva Mattei. Con lui l'idea di una cooperazione responsabile

Il 27 ottobre 1962 l'aereo di Enrico Mattei cade in fiamme a Bascapè, nei pressi di Pavia, mentre sta atterrando a Milano-Linate in mezzo a un forte temporale. Sin dalle prime ore sono in molti a credere all'attentato. Pista mafiosa, complotto internazionale. Interminabili processi e ricostruzioni non sono riusciti a stabilire l'esatta dinamica degli eventi. Soltanto 43 anni dopo, nel 2005, un'ultima perizia tecnica ordinata dai magistrati - sulla scorta di filoni giudiziari riguardanti fatti mafiosi - si concluderà con l'affermazione che l'aereo fu distrutto in volo da un'esplosione.

Ma chi era Enrico Mattei e perchè la sua morte è rimasta avvolta nel mistero?

Mattei fu uno degli ultimi grandi manager di Stato del nostro Paese. Nell'immediato dopoguerra fu incaricato dal Governo di smantellare l'Agip, creata nel 1926 dal regime fascista. La riorganizzazione pensata da Mattei però non fu esclusivamente "tecnica". Le sue idee, lungimiranti per la classe dirigente di allora, convergevano in un unico grande tentativo: quello di rendere l'Italia un grande Paese non solo da un punto di vista industriale ma anche energetivo. Mattei, su mandato governativo, dismise l'Agip e fondò, nel 1953,  l'ENI (Ente Nazionale Idrocarburi), di cui l'Agip divenne la struttura portante. Aiutato da importanti coperture politiche ed economiche diede un nuovo impulso alle perforazioni petrolifere nella Pianura Padana, avviò la costruzione di una rete di gasdotti per lo sfruttamento del metano, e aprì all'energia nucleare. L'ENI iniziò a contare sul piano internazionale, rilevando concessioni petrolifere in Medio Oriente e firmando un importante accordo commerciale con l'Unione Sovietica.

Furono senza dubbio queste ultime iniziative a rompere l'oligopolio delle 'Sette sorelle', che allora dominavano l'industria petrolifera mondiale e a porre l'operato di Mattei sotto i riflettori internazionali. Ma più di ogni iniziativa estera, a pesare sul giudizio negativo delle imprese concorrenti e forse, a segnare la sua fine, fù l'idea, attuata, di introdurre un principio nuovo nel meccanismo di sfruttamento degli idrocarburi nei paesi in via di sviluppo: per Mattei i Paesi proprietari delle riserve dovevano ricevere il 75% dei profitti derivanti dallo sfruttamento dei giacimenti.

Un manager di Stato moderno dunque, con una alta idea dello Stato e che, già cinquant'anni fa, proponeva all'Occidente, impegnato in altre questioni, una formula di cooperazione internazionale che ancora oggi, nonostante i processi di globalizzazione la impongano, stenta ad essere compresa e attuata: un utilizzo delle risorse altrui equo e rispettoso può dare sul lungo periodo forza e stabilità alle nazioni che lo mettono in atto.

Per approfondire:
La bibliografia completa sul "Caso Mattei"

venerdì 26 ottobre 2012

Sospesa l'esecuzione di Johm Ferguson, condannato a morte con problemi mentali

Ha trascorso 34 anni nel braccio della morte in Florida e ha quasi 65 anni. Soffre di disturbi psichiatrici. "Nessuno lo va a visitare, i soli suoi amici siamo noi della Comunità di Sant'Egidio" riferisce Joshua, un volontario della Comunità di Sant'Egidio, felice per questa sospensione, "abbiamo pregato per lui". La sua esecuzione è sospesa fino alla prima settimana di novembre.

John Ferguson, riconosciuto colpevole di 8 omicidi, è affetto da una conclamata schizofrenia paranoide, e doveva essere "eseguito" dai boia alle 18 ora locale (le 23 di ieri sera in Italia) in Florida. L'esecuzione della condanna è stata rinviata all'ultimo momento dopo molti ricorsi e azioni giudiziarie, fino a che la più alta giurisdizione del Paese, la Corte Suprema, ha deciso di sospenderla.

Le motivazioni che hanno spinto i giudici ha anche rigettato un ricorso dello Stato della Florida che chiedeva che l'esecuzione, sospesa verso le 20 (l'1 di notte in Italia) da una corte d'appello, avesse luogo come previsto. 'Un uomo che si crede il Signore Iddio - ha affermato uno dei suoi avvocati - dotato di poteri speciali provenienti dal sole, che crede di non poter essere ucciso e che tornera' sulla Terra dopo la sua esecuzione per salvare l' America da un complotto comunista non ha chiaramente alcuna 'comprensione razionale' della sua esecuzione e dei suoi effetti".

La Corte suprema della Florida aveva considerato, invece, che Ferguson era penalmente responsabile, e poteva perciò essere sottoposto ad esecuzione. Gli avvocati di Ferguson hanno giudicato anticostituzionale il criterio dell'istanza in merito alla responsabilità penale del condannato. Sabato scorso un tribunale della Florida aveva fermato l'esecuzione, ritenendo che le questioni sollevate dagli avvocati meritassero "una piena e profonda considerazione". Ma la Corte d'appello aveva rivisto lunedì sera questa decisione, autorizzando la messa a morte del condannato. La Corte suprema ha poi dato ragione agli avvocati in attesa di un giudizio più approfondito. La triste vicenda, umana e processuale, di Ferguson, dunque, non è ancora conclusa.

Per approfondire:
No Justice Without Life - Comunità di Sant'Egidio

Il Manifesto di Montezemolo "Verso la terza Repubblica"

La Prima Repubblica è finita con Tangentopoli e il terremoto politico che ne è scaturito. Fu la scomparsa della Democrazia Cristiana e del Partito Socialista di Craxi, il Partito Comunista aveva cambiato nome qualche anno prima con la svolta della Bolognina mentre il Movimento Sociale Italiana farà la sua svolta nel 95 con il congresso di Fiuggi dando vita ad Alleanza Nazionale.
I vent’anni successivi hanno visto la scena politica calcata da Berlusconi.

Oggi Berlusconi fa un passo indietro e decide di non candidarsi, mentre i partiti politici perdono ogni giorno consensi tra gli elettori. Il clima di antipolitica, calcato da Beppe Grillo e dal suo Movimento 5Stelle, fa proseliti ogni giorno (alcuni sondaggi lo danno sopra il 20% alle prossime elezioni politiche) e certo non aiutano i continui scandali politici che hanno riempito le pagine dei giornali in questi mesi, l’azzeramento della giunta Formigoni in Lombardia dopo le accuse all’assessore Zambetti e i legami con la criminalità organizzata, i problemi nel Lazio dopo le accuse al consigliere del PDL Fiorito, ma anche la richiesta a 20 mesi di carcere per Vendola accusato di abuso di ufficio, e oggi la politica è fatta dai tecnici e dai professori, con il Governo Monti chiamato a trovare soluzioni ad una profonda crisi economica che la politica non riusciva a risolvere.
Forse per questo che Italia Futura, movimento guidato da Montezemolo, vuole andare “Verso la Terza Repubblica”. Da ieri, sul sito dell’associazione, è comparso il manifesto “Verso la Terza Repubblica, La società civile e il rinnovamento della politica” dando l’appuntamento a Roma il prossimo 17 novembre.

L’incipit del Manifesto “Per uscire dalla crisi italiana è urgente aprire una stagione di riforme di ispirazione democratica, popolare e liberale, legittimate dal voto di milioni di italiane e di italiani, in continuità con quanto di meglio ha realizzato il governo guidato da Mario Monti che ha avuto il merito di rasserenare il clima di intollerabile antagonismo della politica italiana e di restituire prestigio e credibilità all’Italia.” Si parte quindi dall’Agenda Monti e dal buon lavoro che fino a qui a fatto il governo dei tecnici, ma non solo, si segna anche la strada per proseguire quel lavoro “Una tale soluzione non verrà dai partiti politici così come li conosciamo, ma da una presa di responsabilità corale di forze sociali, culture civiche e realtà associative capaci di contribuire attivamente alla rigenerazione e al governo della nazione.” Andare quindi oltre ai partiti.
Nel manifesto anche i valori fondanti, come la “sussidiarietà per ogni progetto di rinascita civile ed economica del paese” ma anche “nel valore della coesione sociale e riteniamo necessaria una profonda riforma del modello di welfare, come generatore di opportunità e strumento di promozione umana.”Crediamo che il ritorno alla crescita dell'economia italiana possa venire soprattutto dalla riduzione della pressione fiscale, premiando il lavoro, la produzione e la cultura come i fondamentali motori di sviluppo della nazione.”
Oltre al presidente di Italia Futura, il manifesto vede le firme, tra gli altri, del ministro per la Cooperazione Internazionale e fondatore della Comunità di Sant'Egidio, Andrea Riccardi, del presidente delle Acli, Andrea Olivero, del magistrato Stefano Dambruoso e del segretario della Cisl, Raffaele Bonnanni.

Il manifesto arriva a pochi giorni da Todi 2. in quell’occasione il leader della CISL aveva sottolineato “Una personalità come Monti, stimato dagli italiani nonostante le pressioni per ridurnel'autorevolezza, che gode di grande autorevolezza tra i cittadini, si staglia di fronte a tanti populisti di destra e sinistra. Ha salvato il Paese.”

Quindi una partita politica che si potrebbe giocare tutta al centro, con Cattolici e Moderati della società civile magari uniti nel sostenere un eventuale Monti Bis, operazione che potrebbe trovare anche l’appoggio nell’UDC e in alcuni esponenti moderati del PDL. Mentre sembra improbabile l’appoggio del Partito Democratico, il segretario Bersani lo dice chiaramente mentre incontra il presidente francese Francois Hollande, zero chance “se Monti due vuol dire andare avanti con delle maggioranze spurie”

mercoledì 24 ottobre 2012

Immigrazione, 134.576 richieste di regolarizzazione. Per molti un successo

Alcuni, i più ottimisti, dicevano che non avrebbe funzionato. Altri hanno sostenuto che non sarebbe servita a nulla. Eppure, ad oggi, secondo i dati diffusi dal Ministero della Cooperazione internazionale e l'integrazione, guidato da Andrea Riccardi, i dati sembrano dire altro.

Sono infatti 134.0576 le richieste di regolarizzazione pervenute al ministero dell'Interno nell'ambito della procedura di emersione per l'impiego irregolare di lavoratori stranieri, nota sotto la formula di "ravvedimento operoso". Sempre secondo il report diffuso nei giorni scorsi, le domande per collaboratori familiari sono state 79.315, per assistenza a persone non autosufficienti 33.458, assistenza ad autosufficienti 3.196, lavoro subordinato 18.607.

In sostanza il provvedimento ha dato la possibilità agli stranieri lavoratori - e ai datori di lavoro che li tenevano in nero -  che risiedevano in modo irregolare nel nostro Paese  di far "emergere" e di sanare la propria situazione, pagando una certa cifra. Si è trattato di un primo esperimento nel nostro Paese di un provvedimento ad hoc che ha voluto rispondere a due problemi distinti ma interconnessi: il lavoro nero e la condizione di irregolarità della popolazione immigrata.

Il Ministro Riccardi ha dichiarato: "Abbiamo recuperato 135 milioni di euro. E nelle casse dell'Inps ne finiranno 75 milioni in più, solo per il settore dei lavoratori domestici. E soprattutto abbiamo reso felici, dandogli una prospettiva di dignità, 134.576 immigrati. Vi pare poco?"

La composizione delle categorie regolarizzate mostra, secondo Riccardi, che "le famiglie hanno mostrato un grande senso di realismo e legalità": "Circa 8.000 colf, circa 36.000 assistenti alla persona. Mentre 18.000  sono state le domande accolte per lavori subordinati".

C'è chi ha parlato di flop. Vi aspettavate numeri più alti? "Abbiamo sempre detto che attendevamo tra le 100mila e le 150mila domande", risponde Riccardi. "Ma è paradossale leggere queste critiche dopo aver dovuto fronteggiare chi temeva un'ondata di 800.000 clandestini".


Approfondimenti:
La spiegazione del "Ravvedimento Operoso"
Il report diffuso dal Ministero dell'Interno

martedì 23 ottobre 2012

Rottamiamo tutto?

La prima novità che il sindaco di Firenze, Matteo Renzi, ha portato sulla scena politica nazionale è lessicale, anche se non propriamente sua. Tutto era nato all’inizio del novembre del 2010 a Firenze dove l’allora neo sindaco del capoluogo toscano insieme al consigliere comunale di Milano, Filippo Civati, diedero vita ad una tre giorni di riflessione politica. L’idea era di dare un taglio con la vecchia classe dirigente del partito per dare spazio ai giovani, se l’Italia ha gli stessi problemi da vent’anni, era la riflessione, e da vent’anni ci sono gli stessi politici, forse il problema sono i politici. I giornali coniarono per il duo dei giovani democratici il termine rottamatori.

Da all’ora il termine, e tutte le sue declinazioni, e l’idea sono stati usati e abusati in tutti i partiti, soprattutto in questi mesi. I partiti politici, con l’avvento del governo dei tecnici, con Grillo e il suo movimento che stanno aumentando nei sondaggi, stanno perdendo credibilità e consenso. In più nel centro sinistra sono iniziate le primarie, dove a concorrere ci sarà lo stesso sindaco di Firenze, e nel centro destra i malumori sono nati dopo l’uscita di scena di Berlusconi e l’incomprensione  per buona parte del proprio elettorato per l’appoggio al governo Monti.

Nel Partito Democratico il limite delle tre legislature è scritto nello statuto, anche se nello stesso statuto c’è anche la possibilità di avere deroghe alle regole del Partito stesso. Mettendo in pratica lo statuto molti degli attuali deputati e senatori non dovrebbero rientrare nel prossimo parlamento, “rottamando” di fatto il partito. Ma, mentre alcuni deputati hanno già rinunciato alla prossima candidatura altri esponenti di spicco del partito non hanno nessuna intenzione di lasciare i banchi di Montecitorio o di Palazzo Madama.

Il primo segretario del PD, Walter Veltroni, per esempio, ha annunciato da Fazio a “Che tempo che fa”, di non avere nessuna intenzione di ricandidarsi, anche se ha dichiarato di voler continuare a fare politica. Le parole di Veltroni hanno però riaperto il problema nel centro sinistra e di molti politici in parlamento da più di 15 anni. Preso in contropiede, Massimo D’Alema ha subito dichiarato: “La mia disposizione è a non candidarmi, quindi semmai posso candidarmi se il partito mi chiede di farlo.” Ed è nata prontamente una raccolta firme per chiedere al presidente del CoPaSir di rimanere in parlamento, anche se da via del Nazzareno la notizia è stata presa con un po’ di freddezza, mentre Renzi, soddisfatto del  passo indietro dei due leader storici dei Democratici di Sinistra, , non solo si reputa soddisfatto, ma vuole dare inizio ad una fase due del suo programma: “Ho molto rispetto per D’Alema” Commenta infatti Renzi “la sua scelta è stata nobile, una scelta che molti di noi auspicavano e chiedevano, adesso che il presidente D’Alema ha deciso di non ricandidarsi per le prossime elezioni in Parlamento, da parte mia non ci si sarà più mezza parola sull’argomento. La rottamazione fase uno mi pare di poter dire che è finita.”
Ora bisognerà capire cosa faranno molti altri esponenti del Partito Democratico, come Beppe Fioroni e Rosy Bindi, anche se non sembra che abbiano nessuna intenzione di lasciare i loro posti in Parlamento.

La rottamazione, però, trova la sua sponda anche nel PDL. Daniela Santanchè, che negli ultimi giorni sta facendo un forsennato pressing sul Cavaliere per un ritorno a Forza Italia considerando conclusa l’esperienza del PDL, dichiara al Foglio “È un mondo finito e il partito va azzerato. Devono dimettersi tutti, a partire da Alfano.” e ribadisce: “Per vincere occorre spacchettare, ritornare a Forza Italia e alla componente di destra o ex An e appoggiare altre liste civiche''. Naturalmente le parole della passionaria del PDL non piacciono alla vecchia guardia. Il segretario del partito Angelino Alfano le risponde duramente: “Nessun problema di natura personale, il problema e' sulla linea politica ed e' molto importante.” E prosegue “Ci tengo a precisare che il nostro partito non si ispira a Marine Le Pen ne' a partiti di estrema destra antieuropeisti e contro l'euro. Se il tentativo di qualcuno e' di spostare all'estrema destra il partito dandoci un'impronta antoeuropeista e di esprimere un giudizio pessimo sul governo Monti non e' questa la linea del partito. Meglio dirlo prima per essere chiari dopo.”
Il capogruppo alla camera del PDL, Fabrizio Cicchtto, intervistato da La Stampa, si dice preoccupato, tanto da affermare: “Nel linguaggio civile si rottamano le cose mai le persone perché in questo modo si evocano realtà assai sgradevoli. Chi usa queste espressioni abbia la consapevolezza che le parole sono pietre e che richiamano un passato da dimenticare, i campi di concentramento.Limitiamoci a rottamare le macchine usurate.”

mercoledì 17 ottobre 2012

Per Sant'Egidio è sempre possibile fare la pace in Africa


Era il 4 ottobre 1992. A Trastevere, nel cuore di Roma, dopo lunghe trattative veniva firmato l'accordo di pace che poneva fine alla terribile guerra civile mozambicana, costata un milione di morti. "L'accordo di pace firmato vent'anni fa fu il frutto di "una rara miscela di cooperazione tra uno Stato, l'Italia, che aveva un grande prestigio in Mozambico, e attori non governativi". Con queste parole Marco Impagliazzo, presidente della Comunità di Sant'Egidio, ha ricordato alla Farnesina, nell'ambito del workshop internazionale 'Promuovere la pace e la sicurezza in Africa, la lezione appresa dal Mozambico', la lunga mediazione italiana che portò alla storica pace nel Paese africano, lodata all'epoca dal segretario dell'Onu Boutros Boutros-Ghali come "una miscela, unica nel suo genere, di attività pacificatrice governativa e non".

In occasione delle celebrazioni a Roma per il ventennale dell'accordo, Impagliazzo ha ripercorso tutte le fasi della mediazione, lunga 27 mesi, portata avanti nella sede della comunità trasteverina da "quattro mediatori ufficiali, rappresentanti la chiesa mozambicana, la Comunita' di Sant'Egidio e un ex sottosegretario agli Esteri italiano: monsignor Jaime Goncalves, Andrea Riccardi, Matteo Zuppi e Mario Raffaelli".

"Il felice esito di quella vicenda atipica per la diplomazia internazionale ci consegna un messaggio semplice e profondo allo stesso tempo: la pace è possibile - ha sottolineato Impagliazzo, ricordando come "l'accordo di pace e' stato firmato ed e' stato rispettato. La pace ha tenuto''. Per Impagliazzo da questa vicenda della sua storia "l'Italia riscopre una vocazione, quella di un Paese non percepito come invasivo o indifferente ma che può fare la differenza, coniugando la tradizione democratica europea con le sue eccellenze di pace e di dialogo''.

Il Ministro per la Cooperazione internazionale e l'Integrazione, Andrea Riccardi, che della Comunità di Sant'Egidio è il fondatore ed ha partecipato come mediatore alle trattative, ricevendo il ministro degli Esteri e della Cooperazione del Mozambico Oldemiro Baloi ha affermato che''La pace in Mozambico, siglata aventi anni fa a Roma, e' diventata un modello internazionale: fu un successo collettivo, costruito insieme dalla Comunita' di Sant'Egidio, dal governo italiano e dalle parti in lotta''.

Riccardi ha aggiunto: ''Il Mozambico vent'anni fa era il Paese piu' povero del mondo, secondo l'indice di sviluppo umano. La guerra aveva provocato un milione di morti e quattro milioni di rifugiati. La pace di questi vent'anni ne ha fatto uno dei Paesi emergenti in Africa. Quando iniziammo il negoziato erano in pochi a crederci: tutte le cancellerie europee pensavano fosse un'impresa impossibile. Ma in una sinergia di sforzi, istituzionali e non istituzionali, si raggiunse il traguardo. Gli accordi di pace in Mozambico hanno costituito e ancora costituiscono oggi un esempio a cui si ispirano coloro che si occupano di conflitti e crisi sulla scena mondiale''.

Per approfondire:
Il dossier sulle trattative per la pace in Mozambico curato dalla Comunità di Sant'Egidio

Il ricordo della deportazione degli ebrei di Roma

La folla sfila composta, in silenzio, per le strette vie di Trastevere. La fiaccolata si apre con un grande striscione: “Non c’è futuro senza memoria”. Così Roma, per una sera, ricorda il terribile giorno della deportazione degli ebrei della città. Quello del 16 ottobre, per la capitale, anche grazie al lavoro della Comunità di Sant’Egidio e della Comunità Ebraica, è diventato un appuntamento fisso, ma ogni anno è carico di emozioni diverse. Negli anni la folla è cresciuta ma ha perso molti dei testimoni diretti di quel terribile giorno (dal campo di sterminio di Auschwitz tornarono a casa solo 16 persone).

La marcia si conclude al portico d’Ottavia, nel cuore del quartiere ebraico, alle spalle della grande Sinagoga. Quel piccolo slargo era stato il cuore del rastrellamento, da qualche anno prende proprio il nome di Largo 16 ottobre.

Sul piccolo palco prende la parola Renzo Gattegna, Presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, ricorda gli eventi del 43, ma si sofferma anche in un commosso ricordo per Stefano Tachè, un bambino, ucciso dall’antisemitismo il 9 ottobre del 1982 (pochi giorni fa, con il presidente della Repubblica Napolitano è stato commemorato il trentesimo anniversario della morte) davanti alla grande Sinagoga di Roma. Poi un duro affondo per l’antisemitismo che ancora oggi soffia in Europa. In molti, denuncia Gattegna, ancora oggi si ispirano al nazismo e al fascismo provando a negare ciò che è successo durante la seconda guerra mondiale.

Marco Impagliazzo, Presidente della Comunità di Sant’Egidio, ricorda invece il grande lavoro che viene fatto con le nuove generazioni per non dimenticare, e soprattutto la responsabilità di condividere la memoria di quegli eventi oggi che molti dei testimoni diretti della Shoa sono morti e dal palco saluta Enzo Camerino e Lello Di Segni, due sopravvissuti presenti alla commemorazione. “Non è vero che le leggi razziali  italiano furono più morbide di quelle naziste.” Denuncia il presidente Impagliazzo che conclude che un’Europa unita e in pace darà protezione ai suoi cittadini.
Riccardo Pacifici, Presidente della Comunità Ebraica di Roma grida: “Non siamo più soli.” E fa due annunci: il primo che al Senato inizierà l’iter parlamentare per approvare una legge che punisca i negazionisti della Shoa e poi che il nuovo ponte dell’Ostiense sarà dedicato a Settimia Spizzichino, l’unica ebrea romana tornata dalla deportazione del 16 ottobre. Ma Pacifici ricorda che non solo il popolo ebraico fu colpito dalla violenza nazista, anche i Rom, gli oppositori politici, i gay.
L’ultimo intervento è affidato al presidente del Consiglio, Mario Monti, che ricorda che il 16 ottobre “non riguarda solo gli ebrei, ma tutta la città.”. Anche Monti poi si sofferma a parlare dell’antisemitismo oggi, “Le ombre lunghe di quel 16 ottobre 1943, che non può essere compreso pienamente senza ricordare il ’38 e le ignobili leggi razziali lambiscono anche il nostro tempo.” E aggiunge “La crisi economica rischia di avere ricadute sulla convivenza civile: può far sorgere tentazioni di chiusure, di esclusioni, come le spinte xenofobe che vediamo emergere in alcuni movimenti politici europei o l’ostilità diffusa verso i rom.” E conclude “Questa è l'occasione per rilanciare un patto di convivenza e di integrazione”. “Facciamo nostre” conclude Monti “le parole di Primo Levi: chi nega Auschwitz è pronto a rifarlo”.

Gavino Pala

martedì 16 ottobre 2012

16 ottobre 1943, la deportazione degli ebrei romani

«La grande razzia nel vecchio Ghetto di Roma cominciò attorno alle 5,30 del 16 ottobre 1943. Oltre cento tedeschi armati di mitra circondarono il quartiere ebraico. Contemporaneamente altri duecento militari si distribuirono nelle 26 zone operative in cui il Comando tedesco aveva diviso la città alla ricerca di altre vittime. Quando il gigantesco rastrellamento si concluse erano stati catturati 1022 ebrei romani. 
Due giorni dopo in 18 vagoni piombati furono tutti trasferiti ad Auschwitz. Solo 15 di loro sono tornati alla fine del conflitto: 14 uomini e una donna.
Tutti gli altri 1066 sono morti in gran parte appena arrivati, nelle camere a gas. Nessuno degli oltre duecento bambini è sopravvissuto.»
(F. Cohen, 16 ottobre 1943. La grande razzia degli ebrei di Roma)

Il 16 ottobre è una ferita ancora aperta a Roma, la cattura di 1022 ebrei romani dal quartiere ebraico e la loro deportazione fino al campo di concentramento di Auschwitz. Una memoria storica dura.
Ma alla vigilia di quei tragici fatti la situazione sembrava diversa. L’8 settembre era alle spalle e l’armistizio sembrava far pensare che la situazione si sarebbe rasserenata, anche se la guerra era ancora lontana dal concludersi. Ma non solo. A fine settembre Herbert Kappler, capo del Servizio di Sicurezza a Roma, e di fatto comandante anche della polizia Fascista della capitale, ordinò alla comunità ebraica della capitale la consegna di 50 chili d’oro altrimenti sarebbero stati deportati 200 ebrei come rappresaglia (oro regolarmente consegnato ai tedeschi).
Un testimone, durante il processo ad Adolf Eichmann, tenutosi a Tel Avvi nel 1962 (quello ad Eichmann è stato il primo processo contro un esponente nazista tenutosi in Israele, fu condannato a morte), disse: “Credevamo che la situazione degli ebrei italiani fosse speciale e avevamo l’impressione che certe cose non potessero capitare qui da noi.” Ma non fu così.
Erano le 5.30 del mattino quando 300 soldati tedeschi entrarono con i camion dentro il ghetto di Roma, parcheggiarono al portico d’Ottavia dietro la Grande Sinagoga con gli elenchi di tutti gli abitanti del quartiere. Bussarono porta a porta e ordinarono a tutti di prepararsi entro 20 minuti, il rabbino capo di Roma oggi lo ricorda così: “Era sabato mattina, festa del Succot, il cielo era di piombo. I nazisti bussarono alle porte, portavano un bigliettino dattiloscritto. Un ordine per tutti gli ebrei del Ghetto: dovete essere pronti in 20 minuti, portare cibo per 8 giorni, soldi e preziosi, via anche i malati, nel campo dove vi porteranno c’è un’infermieraio.”
Dal ghetto gli ebrei romani furono portati nel collegio militare nel centro di Trastevere e da li, due giorni dopo, caricati su un convoglio partito verso Auschwitz.
Tornarono dal campo di concentramento solo 16 persone (nessuno degli oltre 200 bambini).

Ricordare quel terribile giorno è anche un dovere, soprattutto verso le giovani generazioni, mentre il tempo scorre e i testimoni diretti di quei terribili eventi, solo pochi fa scompariva Shlomo Venezia, ebreo di Salonicco, sopravvissuto alla Shoa, negli anni è stato tra i protagonisti della memoria della deportazione degli ebrei.
La Comunità ebraica di Roma e la Comunità di Sant’Egidio hanno preso, ormai diversi anni fa, l’impegno a non dimenticare il 16 ottobre (la fiaccolata quest’anno inizierà alle ore 19.00) con una fiaccolata silenziosa che da Piazza Santa Maria in Trastevere (vicino al vecchio collegio militare dove furono rinchiusi gli ebrei prima della deportazione) sfila per i vicoli stretti di Trastevere in percorso a ritroso fino al portico d’Ottavia dove prenderanno la parola Riccardo Pacifici, Presidente della Comunità Ebraica di Roma, Renzo Gattegna, Presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, Marco Impagliazzo, Presidente Comunità di Sant’Egidio, Riccardo Di Segni, Rabbino Capo di Roma e Mario Monti, Presidente Consiglio dei Ministri.

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Gavino Pala

ROTTAMIAMO ANCHE MONTI?

Lo spread cala e la politica … rialza la cresta. L’unico da rottamare ora è Monti

Pronti, via. Sebbene i sacrifici imposti agli italiani siano ancora pesantissimi, è bastato qualche dato più roseo sul futuro dell’Italia e accade che nel centro sinistra, dove da tempo si respira aria di rottamazione, ci si rende conto che è ora di rialzare la testa e di prepararsi alle elezioni: poco importa se l’unico ad essere rottamato alla fine sarà proprio Monti.  E’ questo il clima che si respira nella corsa alle primarie che si svolgeranno il prossimo mese (il 25 novembre si apriranno i famosi gazebo anche se il regolamento ancora presenta alcune lacune).

Il primo atto della imminente campagna elettorale è stato la presentazione della “carta degli intenti” del centro sinistra firmata dal leader del Partito Democratico, insieme a Nichi Vendola e al Socialista Riccardo Nencini, un documento che punta alla guida del Paese. Una rinascita del centro sinistra dopo gli anni dalla vocazione maggioritaria di veltroniana memoria. I primi imbarazzi sono derivati dal fatto che nella carte è sparito ogni riferimento all’operato del governo Monti e ad ogni possibile atto di continuità con l’operato del governo tecnico.

L’assenza di qualsiasi riferimento a Monti è stato spiegato dal leader di SEL Vendola che ha argomentato: “la carta d’intenti che abbiamo firmato va oltre Monti, propone un rigore ma contro i furbi, per l’eguaglianza e la solidarietà.” In sostanza una bocciatura del Governo e del “montismo  termine con cui il Governatore pugliese ha sempre definito la parentesi tecnica.

Anche Bersani ha tenuto a sottolineare che “il prossimo giro non si governa senza popolo”, tutt’altro che velata critica ad un governo nominato ma non eletto. Come se non bastasse a rincarare la dose sono giunte le parole del responsabile economico del PD Stefano Fassina “non ci sono riferimenti al governo Monti perché parliamo del futuro e l'Italia, come tutte le democrazie, ha bisogno di un governo politico il cui premier viene scelto dai cittadini.

Insomma poco importa che il PD sieda sui banchi della maggioranza e che abbia tirato un respiro di sollievo insieme ai suoi elettori nel vedere l’Italia fuori dal baratro. Roba vecchia. E’ tempo di rialzare la cresta. Solo che l’assenza di ogni riferimento alle priorità proposte dal Governo (la famosa agenda Monti) non solo non piace al leader dei centristi, Casini, ma viene criticata anche all’interno dello stesso Partito Democratico. Casini, tra i politici più accesi nell’appoggiare il Governo, si affretta a sottolineare: “È stata sancita l'alleanza tra Bersani e Vendola, c'è un riferimento alle unioni gay e non c'è al presidente Monti, è un problema di approccio e di priorità.” Ponendo problemi su un’eventuale alleanza tra i progressisti ed i centristi.
Beppe Fioroni, moderato del PD che guarda con particolare interesse al centro, su Twitter spiega: “Questa alleanza non basta né per vincere bene né per governare: servono i moderati e Monti.” E spiega, preoccupato dall’avvicinarsi di Bersani con Vendola: “Io lavoro perché Bersani, vinte le primarie, si allei con Casini, Montezemolo, i ministri del governo Monti e perché trovi in Mario Monti un direttore d'orchestra.

Matteo Renzi, da Salerno dove continua il suo tour in camper, dopo aver criticato la carte degli intenti (giudicata troppo generica) non risparmia anche lui un giudizio definitivo sul Governo (trovandosi concorde, per una volta, con il suo segretario…) e dichiara: “Monti è stato importante, è stato un pompiere per la finanza pubblica fuori controllo, per il debito pubblico alle stelle. Ora che ha spento l'incendio, i pompieri non servono più.”

E con questa metafora, per la verità di stile un po’ bersaniano, non ce ne voglia il rottamatore, la solita politica smemorata rottama colui che ha fatto in modo che in Italia avesse ancora senso sedersi ad un talk show e parlare di politica (non credo che in Grecia se ne facciano ancora molti…). Avete presente la rana e lo scorpione? Niente di nuovo sotto il sole.

Gavino Pala
 

domenica 14 ottobre 2012

Tensioni tra Caritas e Alemanno, salta il pranzo con i poveri

Era nell'aria da qualche giorno. Da quando la Caritas, insieme alla Comunità di Sant'Egidio, ad Amnesty e ad altre associazioni aveva duramente criticato l'operato della giunta Alemanno nel corso dello sgombero del campo rom di Tor de' Cenci. La tempistica - in molti hanno visto nello sgombero un gesto del Sindaco con fini elettorali - e soprattutto le modalità dell'intervento di "bonifica" del campo avevano infatti lasciato perplessi molti, compreso il Ministro per la Cooperazione Internazionale Andrea Riccardi, che non aveva fatto mancare le sue parole di disapprovazione al sindaco.

In questo clima di tensione si consuma dunque uno strappo inconsueto tra il Campidoglio e la Caritas: da sempre, nell'anniversario della morte di don Luigi Di Liegro, fondatore della Caritas diocesana di Roma, morto nel 1997, si celebrano due eventi: uno è il pranzo con i poveri in Campidoglio, il secondo è la messa di ricordo alla chiesa «Santi Apostoli». Il primo dei due, quest’anno, è saltato. All’ultimo secondo, infatti, il Campidoglio ha fatto sapere che non ci sarebbe stato alcun pranzo. Ufficialmente, perché «monsignor Enrico Feroci era impegnato in un impegno istituzionale col ministro della Salute Renato Balduzzi» a Viterbo.

Un pranzo con i poveri, senza fissa dimora, immigrati, certametne rom della Capitale. Probabilmente Mons. Feroci non se l'è sentita di sedersi e far sedere i poveri accanto a coloro che, nel corso di questi anni, hanno operato per relegarli sempre di più ai margini della città.

Per approfondire:
Caritas, l'accusa di don De Donno: "Alemanno, lei forte solo con i deboli"

venerdì 12 ottobre 2012

E' la Germania il Paese più longevo del mondo

In Germania si sà, anche in tempo di crisi, si vive meglio che nel resto d'Europa. E se non
bastasse, si vive di più. E' quanto emerge dal rapporto sulla società tedesca 2012 del Destatis, l'equivalente della nostra ISTAT, presentato ieri a Berlino.

Secondo lo studio nel 2010 in Germania solo il 13,5% della popolazione era al di sotto dei 15 anni. Solo il Giappone ha una percentuale inferiore a quella tedesca, il 13,4%. Tedesco è anche il record degli anziani ultra65enni: ben 20,6% della popolazione totale. E l'Italia?

Secondo i dati resi disponibili il nostro Paese in Europa si attesta subito dopo la Germania, con il 20,3% di ultrasessantacinquenni. Il rapporto si sofferma anche sul tasso di natalità, notoriamente basso un po' ovunque in Europa. La Germania detiene un record particolarmente negativo: vi nascono solo 8 bambini su 1.000 abitanti, la percentuale più bassa del mondo.

Per approfondire:

Il sito web del Destatis (inglese)

mercoledì 10 ottobre 2012

Giornata mondiale contro la pena di morte, una battaglia da vincere



Si celebra oggi 10 ottobre, la decima edizione della Giornata mondiale contro la pena di morte, istituita dalla World Coalition against the death penalty per sensibilizare la comunità internazionale.

In questi ultimi dieci anni sono significativi i progressi fatti per cancellare la pena capitale dagli ordinamenti degli Stati in tutto il mondo.

Secondo i dati riportati dalla World Coalition Against the Death Penalty, che raccoglie le principali organizzazioni impegnate nella lotta per l'abolizione della pena di morte (Comunità di Sant'Egidio, Amnesty International, solo per citarne alcune), sono 141 i paesi che hanno abolito per legge o di fatto la pena di morte. 97 quelli che la hanno eliminata dall'ordinamneto per tutti i crimini; per 36 paesi lo strumento capitale è in disuso da tempo. Infine 8 paesi hanno abolito la pena di morte per i crimini ordinari.

C'è ancora molto da fare, sebbene anche sul fronte del numero delle esecuzioni i dati siano significativi. Nel 2011 si sono registrate esecuzioni capitali in 21 paesi, nel 2001 in 31. Una sostanziale diminuzione che fa ben sperare. Buone notizie anche dai paesi, cosiddetti emergenti, che hanno rinunciato in questi anni alla pena di morte: Albania, Argentina, Armenia, Bhutan, Burundi, Cook Islands, Gabon, Gracia, Kyrgyzstan, Georgia, Messico, Filippine, Rwanda, Samoa, Senegal, Togo, Turkia e Uzbekistan.

La sfida dei prossimi anni, secondo il World Coalition, è quella di convincere gli stati che ancora mantengono la pena di morte a moderarne l'utilizzo (escludendo dai reati per cui è prevista quello di traffico di droga, omosessualità e terrorismo). La strada maestra è sempre quella delle Nazioni Unite, che nel prossimo dicembre voteranno una risoluzione, la quarta, per chiedere agli stati che ancora la applicano una moratoria sull'utilizzo della pena di morte.

Per approfondire:

Il calendario degli eventi per la giornata mondiale

Cities For Life - Città per la vita, l'evento internazionale organizzato dalla Comunità di Sant'Egidio



martedì 9 ottobre 2012

L'attentato alla sinagoga di Roma e l'uccisione di Stefano Tachè

Il 9 ottobre 1982, un commando di terroristi palestinesi assalì i fedeli che uscivano dalla Sinagoga. Erano le 11,55 di sabato mattina come altri. Il cuore del ghetto di Roma aveva già visto il sangue dei suoi abitanti sparso molti anni prima, dai nazi-fascisti, il 16 ottobre del 1943 quando un migliaio di ebrei romani furono rastrellati e spediti nei campi di concentramento da cui tornarono  sedici uomini e una donna, nessuno dei duecento bambini.

E ancora una volta ad essere colpito dalla furia cieca della violenza fù un bambino. Si chiamava Stefano Gay Tachè. Forse si accorse anche lui di quell'uomo distinto che distribuiva sorrisi sul marciapiede opposto. Poi la tragedia. Abu Nidal, questo il nome del terrorista, lanciò prima una granata che colpì in pieno i fedeli che uscivano dal tempio. Poi altri tre terroristi iniziarono a sparare all'impazzata. In 37 caddero feriti sotto i colpi sparati e le schegge. Il piccolo Stefano, di soli tre anni, fu la prima vittima della violenza antiebraica in Italia dalla sconfitta del nazifascismo nel 1945. Il fratello ha ancora una scheggia nell’occhio e i tanti che quel giorno restarono feriti sopportano tuttora le conseguenze fisiche e psicologiche di quel vile attentato. L’autore di quell’attentato è Abu Nidal. Il suo storico protettore si chiamava Muammar Gheddafi.

Degli attentatori ne venne individuato solo uno e venne arrestato in Grecia e successivamente estradato in Libia nonostante le richieste di estradizione avanzate dall'Italia. Dal momento dell'estradizione si è persa qualsiasi traccia dell'attentatore.

Il 13 aprile 1986, Giovanni Paolo II si recò in visita al Tempio Maggiore, accolto dal presidente della Comunità ebraica di Roma Giacomo Saban e dal rabbino capo Elio Toaff. Nel suo discorso definì gli ebrei "... i nostri fratelli prediletti e, in un certo modo, si potrebbe dire i nostri fratelli maggiori"; il pontefice si ricordò di questa visita nella scrittura del suo testamento.

Domenica 7 ottobre 2007, l'allora sindaco di Roma Walter Veltroni ha inaugurato la nuova intestazione a Stefano Gay Taché della piazza all'incrocio tra Via del Tempio e Via Catalana.

Il prossimo 16 ottobre si terrà la marcia silenziosa in memoria della deportazione degli ebrei romani, promossa dalla Comunità di Sant'Egidio e dalla Comunità Ebraica di Roma, e che ripercorrà a ritroso la strada fatta dai camion nazisti per portarli fuori dal ghetto, da Santa Maria in Trastevere, attraversando l'isola Tiberina, per giungere fino a Largo 16 ottobre 1943.

Per approfondire:
Intrigo internazionale. Perché la guerra in Italia. Le verità che non si sono mai potute dire
di Fasanella Giovanni; Priore Rosario, Chiarelettere 2010

Roberto Bortone

lunedì 8 ottobre 2012

Incontro tra generazioni per sostenere il welfare. In Germania il dibattito è aperto

E' di fine settembre la notizia che è approdata al parlamento tedesco una proposta di legge per estendere anche ai nonni i benefici concessi ai genitori per assistere i propri figli.

La chiamano già la legge per i "nonni-sitter". La novità principale contenuta nel testo, prevede la possibilità che gli anziani che ancora lavorano possano usufruire di un congedo parentale (la legge specifica "non retribuito") per stare vicino ai propri nipoti e senza rischiare di perdere il proprio posto di lavoro. Contribuendo così, nell'intento della norma, ad alleggerire il carico familiare dei genitori, costretti a fronteggiare ogni giorno la cronica carenza di posti negli asili nido.

Il congedo per nonni, secondo il ministero tedesco per la famiglia, se e quando la legge sarà in vigore, potrebbe riguardare trecentomila persone circa.

Un terzo dei bambini in Germania ha nonni che ancora lavorano e che non abitano lontano dai propri figli e nipoti. Il welfare insomma li mobiliterebbe volentieri. E forse, in tal modo, darebbe una garanzia "normativa" al grande lavoro che già svolgono per sostenere la famiglia. Insomma anche in Germania il dibattito su come costruire un nuovo welfare in tempo di crisi è aperto.

Roberto Bortone

Prevenire i disastri naturali, l'attenzione è mondiale, l'impegno locale (dovrebbe)

ATTUALITA' - Forse non tutti sanno che nell'agenda delle Nazioni Unite esiste anche una data dedicata alla riduzione dei Disastri Natuarali. "La Giornata Internazionale per la Prevenzione delle Catastrofi Naturali" si svolge, da dieci anni, per decisione dell'Assemblea Generale dell'ONU, ogni secondo mercoledì di ottobre.

In Italia ogni anno il tema del rischio ambientale torna prepotentemente alla ribalta delle cronache. L'ultimo tragico terremoto in Emilia ha evidenziato tutta la fragilità delle infrastrutture anche in un territorio considerato ad alta industrializzazione. Ma si sà, tecnologia e prevenzione non sempre vanno d'accordo, bisogna che ci sia l'interesse e prima ancora la presa di coscenza che "prevenire è possibile": forse non sapremo mai quando avverà un terremoto o una tempesta, ma avremo la certezza che le nostre case e i nostri luoghi di lavoro sono preparati ad affrontare ogni situazione.

Così il Segretario Generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon, nel suo messaggio per la giornta di quest'anno, ha dichiarato: “Coloro che pianificano l’assetto delle città devono tener conto delle principali fonti di rischio nelle aree urbane, come ad esempio quelle causate da management, pianificazione ed esecuzione inadeguati. I processi decisionali dovrebbero essere globali e partecipativi e i principi dell’urbanizzazione sostenibile dovrebbero essere accolti e difesi, soprattutto per il benessere di coloro che vivono nelle baraccopoli o in sistemazioni di fortuna. La riduzione del rischio di disastri riguarda tutti noi ed ha bisogno della partecipazione e dell’investimento da parte della società civile, dei network professionali, così come di comuni e dei governi nazionali”.

Per approfondire il tema, visita la sezione "eco-disastri e dintorni" sulla biblioteca virtuale di www.archivio900.it >

Roberto Bortone

giovedì 4 ottobre 2012

Il docu-film VENTANNI storia privata del Moby Prince

LIVORNO - Il docu-film "VENTANNI Storia privata del Moby Prince" continua il suo viaggio della memoria. Dopo aver toccato molte zone della Toscana arriverà a Casale Monferrato il 19 Ottobre. 
Dopo 21 anni da quel terribile 10 aprile 1991, quando 140 persone persero la vita a bordo del traghetto Moby Prince, nessuno ha voglia di dimenticare. "Non ci sono decennali o ventennali per la tragedia del Moby Prince – ha affermato Loris Rispoli dell'associazione "140"— ogni anno è solo un anno di più nel ricordo doloroso dei familiari persi". In riferimento al documentario in programmazione ha quindi sottolineato che "esso ripercorre le nostre storie, i nostri momenti di lotta nella ricerca della verità".

lunedì 1 ottobre 2012

La corruzione è la vera tassa degli italiani. Presentato il dossier di Libera


Lunedì 1 ottobre 2012 - L'associazione Libera ha presentato oggi il Dossier "Corruzione, le cifre della tassa occulta che impoverisce e inquina il paese", presso la Federazione Nazionale della Stampa Italiana a Roma.  Il bilancio redatto dal dossier è tragico.

"La corruzione è una mega tassa occulta che impoverisce il paese sul piano economico, politico, culturale e ambientale” ha detto don Ciotti nel corso della conferenza. La corruzione infatti si paga cara: 10 miliardi di euro l’anno in termini di prodotto interno lordo è la stima della perdita di ricchezza causata in Italia. Il fenomeno, spiegano i redattori del dossier, in Italia ormai “è a livelli mastodontici e può crescere ancora, se non si contrasta in modo netto, senza mediazioni, con volontà politica concreta, che vada al di là delle parole”.

I dati del dossier mettono insieme stime e numeri su un fenomeno prettamente italiano provenienti anche da fonti estere,  da rapporti internazionali, dai dati della Banca Mondiale a quelli di dati Eurobarometro. Il risultato è un dissesto economico e sociale che non ha pari in Europa. Secondo la World Bank, nel mondo si pagano ogni anno più di 1.000 miliardi di dollari di tangenti e va sprecato, a causa della corruzione, circa il 3 per cento del Pil mondiale. Applicando questa percentuale all’Italia, spiegano gli autori del dossier, si calcola che annualmente l’onere sui bilanci pubblici sia nella misura di 50-60 miliardi di euro l’anno. Siamo di fronte ad una vera una vera e propria tassa immorale e occulta pagata con i soldi prelevati dalle tasche dei cittadini. Si stima che la perdita di ricchezza causata dalla corruzione ammonti ogni anno, in Italia, a circa 10 miliardi di euro in termini di prodotto interno lordo. Sono l’equivalente di circa 170 euro annui di reddito pro capite e di  oltre il 6 per cento in termini di produttività.

Esiste poi la corruzione ambientale, quella che riguarda le grandi opere e lo smaltimento dei rifiuti, quella che si annida nell’edilizia e nella gestione delle emergenze. Ed è stata dimostrata, secondo gli autori del dossier, anche una correlazione fra il tasso di mortalità infantile e la diffusione della corruzione, misurata attraverso l’indice di percezione di Transparency International. Una stima prudenziale porta a ipotizzare che "circa l’1,6 per cento dei decessi di bambini nel mondo possa essere spiegata dalla corruzione, il che significa che, delle 8.795.000 morti annuali di bambini, più di 140.000 possono essere indirettamente attribuite alla corruzione". Il nesso causa-effetto lo si ritrova nel fatto che la corruzione fa finire in tasche private fondi che invece dovrebbero finanziare programmi di cura, assistenza e prevenzione della malattie. Infine secondo gli autori del dossier: “In Italia nel 2010 il tasso di mortalità infantile è stato del 3,7 per mille, pari all’incirca a 12.638 bambini deceduti in quella fascia d’età. Applicando la fatidica percentuale dell’1,6 per cento di vittime infantili della corruzione, soltanto in quell’anno in Italia si arriva a stimare la perdita di 202 bambini a causa delle tangenti”.

Si tratta quindi di una vera emergenza, di fronte alla quale, “il tempo è scaduto”, ribadiscono Libera, Legambiente e Avviso Pubblico, che chiedono “scelte chiare, nette e concrete” alla classe politica: “Bisogna approvare il disegno di legge anticorruzione. Bisogna dire basta a chi ruba. E’ quello che hanno chiesto a viva voce oltre un milione e mezzo di italiani firmando le cartoline con cui Libera ed Avviso pubblico hanno sollecitato l’effettivo recepimento delle convenzioni internazionali contro la corruzione”.
di Roberto Bortone