giovedì 28 giugno 2012

Partito cattolico si, partito cattolico no

Il dibattito si riaccende. È ora di dare vita ad una nuova formazione politica di ispirazione cattolica?
Negli ultimi mesi, soprattutto dopo il primo incontro a Todi, dove esponenti del mondo cattolico dell’associazionismo e del volontariato si sono riuniti per riflettere intorno a tema, se ne parla con sempre maggiore insistenza. Per alcuni è totalmente inutile, ci sono già politici cattolici schierati nei vari partiti, è una necessità, si ribatte, visto che dove sono, i politici cattolici sono minoritari e ininfluenti.

Un partito cattolico ha governato in Italia dal dopoguerra fino agli inizi degli anni ‘90. Un partito con diverse anime e correnti, non sempre uniti, ma si cercava una sintesi. Un partito forte, con la benedizione della Chiesa, utile anche ha contrastare l’avanzata del PCI, il più forte partito Comunista in Europa occidentale. La fine del comunismo italiano e mani pulite hanno rimesso in discussione l’intero pensiero che c’era dietro la vecchia Democrazia Cristiana. Nel 1994 l’ultimo segretario della DC, Martinazzoli, dopo un tracollo elettorale soprattutto a vantaggio della Lega Nord (in quegli anni il partito che si vantava di essere pulito rispetto al giro di corruzione che coinvolgeva soprattutto PSI e la stessa DC) sciolse il partito dando vita al Partito Popolare Italiano ispirato dal cristianesimo sociale e con chiari riferimenti al PPI di Sturzo, con un chiaro avvicinamento al neonato centro-sinistra nella coalizione dell’Ulivo. Una minoranza della DC invece diede vita al Centro Cristiano democratico, molto più vicino alle posizioni del Centro-destra.
Una vera e propria diaspora che porta da una parte alla nascita e la scomparse di diversi partiti di ispirazione cattolica (alle volte con vere battaglie per tenere il “glorioso” simbolo dello scudo crociato), ma spesso poco determinanti per la nascita di un governo, dall’altra, all’entrata di politici di ispirazione cattolica nei due più grandi partiti, oggi il Popolo della Libertà e nel Partito Democratico, con alterne fortune.

Nei giorni scorsi, il filosofo ed editorialista del Corriere della Sera (ricordiamo che il laico De Bortoli è stato tra i grandi sponsor della giornata di Todi e che spesso il suo giornale ospita commenti su questo argomento)  Dario Antiseri, pubblica sul CdS un editoriale dal titolo “Cattolici, cresce la voglia di partito Ma i leader per ora disertano.” Riflette Antiseri: “La diaspora politica dei cattolici, seguita vent’anni fa al collasso della Dc, li ha resi presenti ovunque e inefficaci dappertutto.” E prosegue: “Forse, allora, alla fine degli anni Ottanta, non si poteva fare altro: dare testimonianza dei propri ideali in qualsiasi raggruppamento ci si fosse accampati. Solo che questa strategia, avallata anche da figure di primo piano della gerarchia ecclesiastica, si è rivelata progressivamente e ineluttabilmente perdente su tutti i piani.” Antiseri pensa ad un partito dei Cattolici, “appare sempre più necessario un partito di cattolici liberali, un partito sturziano di cattolici liberali e solidali sotto il segno della Dottrina sociale della Chiesa.” le truppe, secondo il filosofo, sono pronte, a mancare sono i generali. 

Pochi giorni dopo, sempre sul Corriere, il Ministro Riccardi, tirato in ballo dallo stesso Antiseri come personalità intorno al quale si sarebbe potuto costruire il partito ma che ha sempre rifiutato, risponde: “Ci vogliono forze politiche «repubblicane», capaci di guidare l’Italia in una nuova stagione e di evitare lo scivolamento nell’abisso” Riccardi ha spesso riflettuto sulla necessità di una vera collaborazione tra laici e cattolici, soprattutto per ricostruire l’Italia che ancora soffre per la fine della Prima Repubblica quando una Seconda non è ancora veramente nata, e soprattutto, per il  momento storico di forte tensione sociale, con l’Italia in una profonda crisi economica e non solo.
C’è poi la questione dei temi etici, dei principi non negoziabili. Ne ha parlato spesso il Papa, lo ha ribadito a gran voce il Cardinal Bagnasco proprio a Todi, nella sua prolusione, mettendolo chiaramente al centro di ogni riflessione sui politici cattolici.

Galli della Loggia, (“Non si avverte davvero bisogno di qualche nuovo partito cattolico: a proposito, ma l'Udc lo è o no? E se sì, come si spiega la sua latitanza dalla discussione che dura da circa un anno? Possibile che essa non si senta in qualche modo chiamata in causa?). Tanto meno, dunque, sembra aver senso stare a interrogarsi sul o sugli eventuali possibili leader del suddetto partito”), sottolinea l’irrilevanza dei cattolici nella vita politica: “con la fine della Dc il cattolicesimo italiano sembra aver cessato di essere matrice di una possibile cultura politica.” E ribatte: "La sola voce cattolica che oggi si fa sentire nello spazio pubblico sembra essere quella che si concentra sul tema (significativo, chi ne dubita?, ma certo non proprio generale) della «difesa della vita».”

A rispondergli è una cattolica impegnata, come Eugenia Roccella, che sul Foglio ricorda: “Ma i principi non negoziabili non sono un tema tra i tanti possibili, sono un quadro di riferimento che orienta ogni scelta.”

Poi c’è la questione dell’UDC, partito cattolico in Parlamento. Casini sembra guardare con distacco quello che succede, sperando forse di far diventare il suo partito la casa di personalità cattoliche che decidono di mettersi in gioco, magari già della prossime politiche del 2013, ma il suo avvicinamento a Bersani non sembra essere gradito da molti.

E poi, sicuramente, ci vuole una sintesi tra il cattolicesimo sociale e quello dei principi non negoziabili, non di per se in contrasto tra loro.

Gavino Pala

martedì 19 giugno 2012

Chiesa e povertà: dal convegno di Napoli proposte concrete per uscire dalla crisi


“Chiesa di tutti e in particolare dei poveri” è il bel titolo scelto dalla diocesi di Napoli che con la Comunità di Sant’Egidio e la Comunità papa Giovanni XXIII ha organizzato a Napoli un convegno che ha vesto riunite più di 160 associazioni che operano nel volontariato,160 associazioni che hanno al centro del loro lavoro i poveri, in una due giorni di confronto, ma anche di tante testimonianze e di idee.

Nell’assemblea di apertura, sabato 16 maggio, un sentito ricordo ai terremotati in Emilia fatta dal direttore della Caritas Nazionale don Francesco Soddu all’apertura dei lavori.
Il cardinal Sepe, nel suo saluto inaugurale,  prima ricorda che “Cristo si è fatto povero. Noi dobbiamo seguire Cristo povero.” E poi sottolinea che “ il rapporto con i poveri è una ricchezza.”
Marco Impagliazzo, Presidente della Comunità di Sant’Egidio, mette al centro della sua relazione il Concilio Vaticano II,a cinquant’anni del suo inizio, e cita le parole di Giovanni XXIII “Chiesa di tutti e in particolare dei poveri.” E aggiunge “Se Gesù è il povero come può la Chiesa non considerare il povero parte del suo popolo?” e poi denuncia, in un mondo globalizzato, la mancanza di pietas, di solidarietà perchè spinti dalla competizione. “Il Concilio è speranza, per questo vogliamo chiederci se possiamo incidere nella storia a partire dai poveri. Partendo dai poveri si compie un servizio a tutti. Dobbiamo fare storia partendo dai poveri.”

E poi Giovanni Paolo Ramonda, responsabile della Comunità Papa Giovanni XXIII, fondata da don Benzi, scomparso cinque anni fa e che aveva fatto del servizio ai poveri il senso del suo apostolato. Ramonda ricorda la grande figura di Giovanni XXIII e il Concilio Vaticano II. E poi spiega che bisogna farsi carico degli ultimi e  sottolinea che i “poveri devono modificare il nostro modo di vivere la famiglia, l’uso del denaro e del tempo libero.” E non solo perché “ci sono dei poveri che ti vengono a cercare e ci sono dei poveri che non possono aspettare, dobbiamo andare noi da loro, nelle carceri, negli ospedali, nelle bidonville.”

Ma anche una visione della crisi contemporanea con la testimonianza di Kostis Dimtsas, presidente Apostoli, una realtà di volontariato in Grecia. Kostis sottolinea come la crisi è soprattutto una crisi di valori e di fede. Ma anche un impegno per il futuro “quello di aiutare chi ha bisogno senza discriminazioni.” Kostis spiega anche quale è l’impegno di Apostoli per i più poveri, più di 12 mila pasti al giorno distribuiti, 3 mila famiglie aiutate con pacchi viveri, due supermercati sociali dove  gli alimenti sono dati gratuitamente, unità mobili di assistenza medica, particolarmente significativo in questo periodo di crisi economica. Poi, ancora non si conoscono gli esiti delle elezioni in Grecia, un accorato appello: “L’europea si fa solo attorno all’amore per i poveri.”

E Nino Pangallo, direttore della Caritas di Reggio Calabria, che sottolinea come legalità e carità sono le due facce della stessa medaglia, in una zona d’Italia, il sud, terra resa purtroppo fertile dal sangue di molti sacerdoti che hanno dato la loro vita per lottare contro le in giustizie e la criminalità organizzata, come don Pino Puglisi.

La giornata prosegue con 13 gruppi di studio, per approfondire le nuove e vecchie povertà. Il lavoro nelle mense, i senza fissa dimora, gli anziani, i disabili, le carceri. In tutti i gruppi si è sottolineato l’importanza di ritrovarsi insieme, per il secondo anno consecutivo, di confrontarsi, di mettere insieme idee. Ma anche i tanti racconti di poveri che sono riusciti a cambiare la loro vita perché non abbandonati, non lasciati soli nel momento più difficile della loro vita.

La giornata si è conclusa con un toccante via crucis nelle vie della città, dove le stazioni sono i racconti delle nuove povertà, come il racconto di Jean, immigrato senegalese a Firenze, che ricorda i tragici momenti dell’attacco contro i senegalesi nella sua città; il piccolo Andrea, figlio di un sudanese e una salvadoregna, nato a Roma e che non è mai stato lontano da Roma più di 10 giorni, che tifa Italia, ma che non è un cittadino italiano; un disoccupato napoletano, che nonostante la fatica ad arrivare a fine mese, non è sceso a compromessi con la criminalità per avere soldi facili; una mamma Rom che vive nel campo di Rubattino, a Milano, che racconta la difficoltà di essere mamma quando hai paura che la mattina dopo vengano a sgomberare il tuo campo.

Da Napoli, nell’assemblea conclusiva tenuta dal Professor Marco Impagliazzo, presidente della Comunità di Sant’Egidio, domenica, prima della liturgia presieduta dal Cardinal Sepe, in Cattedrale, due proposte in particolare, rivedere la legge Bossi-Fini immigrazione e quella sulla cittadinanza dei figli stranieri nati in Italia.

di Gavino Pala

giovedì 14 giugno 2012

Emanuela Orlandi, nella scomparsa infinita... alcuni punti fermi


"Si conoscerà entro la fine dell'estate il risultato della consulenza tecnica disposta dalla Procura di Roma sulle ossa custodite all'interno della cripta della Basilica di Sant'Apollinare e della tomba di Enrico De Pedis.” Così batteva solo pochi giorni fa l’agenzia ANSA, provando a scrivere un nuovo capitolo dell’infinita storia legata alla scomparsa di Emanuela Orlandi. Una storia che, come molte in Italia, viene ascritta a quei misteri italiani che hanno segnato la storia della prima repubblica.

Sul caso Orlandi infatti si è detto e scritto molto, troppo. Si sono fatte mille congetture, avanzate ipotesi, celebrato processi. Ma ad oggi conosciamo ancora poco sulla scomparsa della giovane cittadina vaticana, mentre, periodicamente, qualcuno rilascia qualche dichiarazione e rimette in moto la giostra delle ipotesi.

Emanuela è sparita il 22 giugno del 1983 e da allora non si è più saputo nulla di lei. Una pista a lungo seguita dagli inquirenti, anche se non è arrivata ai frutti sperati, è quella che legherebbe la scomparsa della ragazza all’attentato subito da Giovanni Paolo II: è la famosa pista bulgara. Secondo alcune testimonianze, abbastanza concordi, la ragazza, la sera del 22 giugno, era uscita dalla scuola di Musica vicino alla Chiesa di Sant’Apollinare e si era diretta alla fermata dell’autobus per tornare all’interno delle mura vaticane dove abitava. Alla fermata avrebbe incontrato un uomo con cui aveva fissato un appuntamento prima della scuola. L’uomo, a bordo di una macchina di grossa cilindrata, una BMW, gli avrebbe offerto un lavoro per la vendita di cosmetici della Avon da fare il sabato successivo ad una sfilata di moda. Questa è l’ultima notizia che si ha della ragazza, dopo inizia il mistero.

La pista bulgara, dicevamo. In un recente libro, il giornalista Sandro Provvisionato e l’ex magistrato Ferdinando Imposimato (Attentato al Papa, edito da Chiarelettere) sostengono che esiste un forte legame tra Ali Agca e i rapitori della Orlandi. La ragazza sarebbe stata rapita per provare a fare pressioni sullo Stato Italiano e quello Vaticano per fermare il processo che coinvolgeva agenti segreti bulgari, implicati nell’attentato al Papa, o per chiedere lo scambio tra la ragazza e il terrorista turco. Naturalmente Agca non ha lasciato il carcere se non dopo la decorrenza dei termini, mentre gli imputati bulgari del processo sono tutti liberi. Nel libro viene sottolineato come l’atteggiamento di Agca cambi radicalmente dopo aver appreso del rapimento. Dopo essere stato arrestato in piazza San Pietro, subito dopo l’attentato, il terrorista infatti inizia a rispondere alle domande degli inquirenti e a far capire che l’attentato a Giovanni Paolo II non era una sua idea, ma che era appoggiato da alcuni cittadini bulgari. Dopo il rapimento della Orlandi il suo atteggiamento diviene radicalmente opposto, ritratta le sue dichiarazioni e, durante il suo interrogatorio al processo, si finge folle, forse per sminuire il valore delle sue precedenti testimonianze. Purtroppo gli inquirenti, nonostante molte prove indiziarie, non sono riusciti a stabilire un vero legame tra Agca e i bulgari per quanto riguarda l’attentato, facendo così cadere anche la pista bulgara per la sparizione della Orlandi.

C’è poi la pista che conduce alla banda della magliana e a Enrico De Pedis, storico capo della banda, ucciso a Trastevere e tumulato, anni dopo la sua morte, a Sant’Apollinare (notizia che fece scandalo anche qualche anno fa). Circa un anno fa Antonio Mancino, ex membro della banda, in un’intervista a La Stampa (http://www3.lastampa.it/cronache/sezioni/articolo/lstp/412802/ ) dichiarava, “Emanuela Orlandi è stata rapita per ricattare il Vaticano e per ottenere la restituzione di un’ingente somma di denaro investita dalla banda della Magliana nello Ior.” Era stato il giudice Rosario Priore a ipotizzare la presenza della Malavita romana dietro la scomparsa della Orlandi, tutto legato ad un prestito nei confronti dello IOR di circa 20 miliardi di lire, nell’intervista Mancino concordava su tutta la teoria di Priore tranne che sulle cifra, secondo lui molto sottostimata. Negli ultimi anni le voce della presenza del corpo della ragazza nella bara del boss romano hanno girato vorticosamente. Poche settimane fa la bara è stata aperta, ma non sembra che ci siano le ossa della ragazza.

Non ci sarebbe invece nessuna pista internazionale, ne tantomeno quella legata alla criminalità organizzata dietro la scomparsa di Emanuela Orlandi, ma il rapimento sarebbe stato a sfondo sessuale. Lo racconta,  intervistato da La Stampa, padre Amorth, sacerdote-esorcista molto stimato dal papa. “Non ho mai creduto alla pista internazionale,” spiega infatti il sacerdote “ho motivo di credere che si sia trattato di un caso di sfruttamento sessuale con conseguente omicidio poco dopo la scomparsa e occultamento del cadavere”. Quindi secondo l'alto prelato la scomparsa sarebbe legata alla morte, probabilmente accidentale, della ragazza e alla necessità di far sparire il cadavere. 

La storia della Orlandi infine si intreccia, almeno rileggendo il lavoro degli inquirenti e dei giornalisti che hanno lavorato sul caso, con quella di Mirella Gregori, una ragazza di 15 anni scomparsa il 7 maggio del 1983, poco più di un mese prima della Orlandi. 

Sono passati tanti anni dalla scomparsa delle due ragazze. Oggi, sapere la verità, sarebbe un modo per consentire alle famiglie delle ragazze di poter chiudere definitivamente una storia che li ha straziate. E per noi un modo per poter chiudere un’altra pagina nera della nostra storia.

Gavino Pala 


giovedì 7 giugno 2012

Dopo la paura, la speranza


Dopo la Paura la speranza. Già dal titolo dell’ultimo libro (edito in questi giorni per la San Paolo) il Professor Andrea Riccardi, Ministro del governo Monti  per l’Integrazione e la Cooperazione Internazionale e fondatore della Comunità di Sant’Egidio, prova a delineare un senso di futuro migliore dopo mesi passati a preoccuparci. Appunto la speranza per il futuro dopo la paura del presente.

Il libro è la raccolta di articoli che Riccardi ha scritto per il settimanale Famiglia Cristiana, racconti puntuali e documentati su vari argomenti di attualità che hanno segnato l’Italia e il mondo negli ultimi anni.

La paura. Nell’introduzione Riccardi la spiega scrivendo: “Abbiamo più paura perché siamo più soli. La solitudine, come la paura, è una malattia antica dell’uomo.” La solitudine ci porta quindi ad avere paura, perché ci si trova soli ad affrontare il presente, e le paure Riccardi ne descrive molte. La paura del terrorismo internazionale, soprattutto dopo gli attacchi negli Stati Uniti l’11 settembre che ci porta ad avere paura dell’altro. Paura della crisi, disaffezione verso la politica, paura dell’altro, straniero, rom, povero.

Ma Riccardi racconta anche i tanti segni di speranza che hanno caratterizzato gli ultimi anni.
I giovani che vanno a Madrid per partecipare alla Giornata Mondiale per la Gioventù per ascoltare le parole di un uomo anziano, come il papa, ma parole di speranza: i giovani, spiega Ricccardi, “hanno sete di qualcuno che parli del senso della vita, e non solo di denaro.”

Il dialogo interreligioso, ricordando la grande intuizione di Giovanni Paolo II che riunì ad Assisi, nel lontano 1986 i leader religiosi per pregare gli uni accanto agli altri per la pace. Giovanni Paolo II pregava in un mondo ancora segnato dalla guerra fredda, un mondo lontano, ma oggi non c’è meno bisogno di pregare per la pace, e il dialogo con le altre religioni per capire l’altro e allontanare il fanatismo e il terrorismo.

La testimonianza dei martiri, come quello del nunzio apostolico in Turchia, monsignor Luigi Padovese ucciso da un suo collaboratore in Anatolia, o del Ministro per le minoranze in Pakistan, Shahbaz Bhatti, ucciso dal fondamentalismo nel suo paese. Ma anche la dura vita dei cristiani in alcune parti del mondo dove sono minoranza, come per Asia Bidi in Pakistan, condannata a morte per blasfemia, prima donna ad essere condannata, nel suo paese per questo reato.

La primavera araba, con la presenza di tanti giovani nelle piazze, alfabetizzati, tecnologizzati, ma senza lavoro, impotenti davanti alla crisi economica internazionale. “La novità, spiega Riccardi, è che tanti si sono liberati dalla paura della repressione e chiedono il cambiamento dopo decenni di immobilismo”.

Il ministro prova anche a sconfessare le paure del diverso, troppo spesso frutto di ignoranza o propaganda. Come i discorsi su immigrazione o sui Rom, aggiungendo che l’unico modo per risolvere il “problema” è attraverso l’integrazione e non con la repressione. Non si deve avere paura dell’altro, ma cercare nell’altro un’opportunità, anche economica.

Gavino Pala

lunedì 4 giugno 2012

Ricordando Padovese, vescovo del diaologo. Fu ucciso nel 2010 in Turchia

Mons. Padovese ai funerali di don Andrea Santoro,
ucciso in Turchia nel 2006
Due anni fa monsignor Luigi Padovese si stava preparando ad andare a Cipro per partecipare alla visita di Benedetto XVI nell’isola. Sarebbe partito dalla sua Turchia dove era salito al soglio episcopale come vescovo di Iskenderun, nell’Anatolia.

Era un uomo impegnato nell’ecumenismo e nel dialogo interreligioso, con l’Islam in particolare, ma aveva una particolare attenzione all’opera pastorale, incontrava di frequente anche le autorità turche per parlare delle minoranze cristiane nel paese.

Ma la sua vita fu spezzata dalla violenza. Fu ucciso da un suo collaboratore, colpito a morte.

Nella sua prima lettera pastorale dopo la sua elezione, nel 2004, scrisse:

Ispirandomi al grande figlio di Antakia e poi vescovo di Costantinopoli, Giovanni Crisostomo, ho scelto come motto episcopale “In Caritate veritas” – La verità nell’amore. Sono poche parole, ma esprimono il mio programma di ricercare nella stima e nel reciproco volersi bene la verità. Se è vero che chi più ama, più si avvicina a Dio, è anche vero che per questa strada ci avviciniamo al senso vero della nostra esistenza che è un vivere per gli altri. Del resto la porta della felicità si apre soltanto all’esterno. Su questa convinzione si fonda anche la mia volontà di dialogo con i fratelli ortodossi, quelli di altre confessioni cristiane e con i credenti dell’Islam”.

Monsignor Luigi Padovese solo pochi anni prima aveva celebrato la messa di suffragio per Don Andrea Santoro, ucciso nel 2006 a Trabzon. In quell’occasione aveva detto: “Noi perdoniamo chi ha compiuto questo gesto. Non è annientando chi la pensa in modo diverso che si risolvono i conflitti. L’unica strada che si deve percorrere è quella del dialogo, della conoscenza reciproca, della vicinanza e della simpatia. Ma fintanto che sui canali televisivi e sui giornali assistiamo a programmi che mettono in cattiva luce il cristianesimo e lo mostrano nemico dell’islam (e viceversa), come possiamo pensare a un clima di pace?" -  e  parlando di don Andrea Santoro diceva - “Chi ha voluto cancellare la sua presenza fisica, non sa che ora la sua testimonianza è più forte”.

La chiesa di San Bartolomeo all’Isola Tiberina, affidata alla Comunità di Sant’Egidio e luogo di memoria dei nuovi martiri per volere di Giovanni Paolo II, accoglierà mercoledì 5 giugno, la sua Mitra, in una liturgia presieduta dal Fra Mauro JOEHRI, Ministro generale dell'Ordine dei Frati Minori Cappuccini.