mercoledì 28 novembre 2012

Un vento di estrema destra soffia in Europa

Il partito di estrema destra ungherese Jobbik, terza formazione nel parlamento di Budapest, ha fatto una proposta che ha suscitato molte polemiche: creare una lista di ebrei viventi in Ungheria. Marton Gyongyosi, il leader della formazione, ha dichiarato in Parlamento: “E’ ora di censire gli ebrei viventi nel nostro paese, facciamo liste almeno di quelli che lavorano nel governo e per il parlamento, sono un rischio potenziale per la sicurezza nazionale.”
Negli ultimi anni un vento di estrema destra si sta abbattendo sull’Europa. Pensiamo all’affermazione  elettorale avuta dal partito di estrema destra, Alba D’Orata, in Grecia alle ultime elezioni (una costale del partito greco è nato anche in Italia e assicura di candidarsi alle elezioni regionali in Lombardia). In Francia alle elezioni presidenziali, Marine Le Pen, leader del Front National, ottiene il 17,9% dei voti ottenendo il miglior risultato di sempre, con una campagna elettorale incentrata su Nazionalismo e contro l’immigrazione.
E in Italia? Nei giorni scorsi alcuni episodi sono un preoccupante campanello d’allarme.
A metà novembre, una manifestazione dei Cobas, deviata dalla polizia, è passata davanti alla sinagoga della capitale. I manifestanti hanno iniziato ad urlare, “Erano 30 anni che una manifestazione non passava davanti alla Sinagoga.” Spiega il Presidente della comunità ebraica di Roma Riccardo Pacifici, “Oggi un gruppo di manifestanti dei Cobas con bandiere palestinesi al vento, ha cominciato ad urlare ed inveire contro la comunità ebraica. Ci stiamo chiedendo cosa stia succedendo? Perché lasciar transitare un corteo davanti la Sinagoga? Chi ha autorizzato il percorso?”. Si chiede Pacifici che ricorda: “Trent’anni fa si presentarono con una bara vuota che lasciarono davanti l’ingresso del tempio. Un mese dopo morì il piccolo Gay Taché.”
Pochi giorni dopo scritte contro Israele (Israele stato nazista) sono apparse davanti alla sinagoga di Genova. “L'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane denuncia con forza la spirale di violenza che in queste ultime settimane sembra essersi abbattuta sul nostro paese” è l’allarme lanciato dal Presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Renzo Gattegna.
Poi il calcio. Nell’ultima partita della 14° giornata di serie A, Lazio-Udinese, mentre i giocatori biancocelesti indossavano una maglia con la scritta “No Racism” una parte della curva Nord, come riporta Repubblica.it, intona il coro “As Roma Juden Club”.
Pochi giorni prima, alla vigilia della partita della Lazio con il Tottenham per l’Europa League, alcuni tifosi londinesi (il Tottenham è considerato un club dalla lunga tradizione ebraica) sono stati aggrediti in un pub a Campo de’ Fiori. Per questo episodio sono finiti in carcere, per lesioni aggravate, due tifosi ultrà della Roma, ma sembra che le due tifoserie romane, da sempre rivali, abbiano agito insieme.
Odio e violenza in Italia e in Europa con affermazioni elettorali importanti.
La crisi economica è stata una grande scusa, da parte di formazioni di estrema destra, per fare proseliti contri che è diverso. Quando l’odio non è contro le banche o i governi si riversa contro immigrati, ebrei, rom.
Poi il web, posto facile dove far veicolare l’odio. Pochi giorni fa la polizia postale ha arrestato quattro persone e oscurato il Forum italiano del sito di ispirazione neonazista "Stormfront". Le accuse sono molto pesanti: incitamento all'odio razziale ed etnico. “Dobbiamo continuare così” ha commentato il ministro Andrea Riccardi “le idee di odio razziale, neonazismo e antisemitismo non possono non trovare l'adeguata e ferma risposta da parte dello Stato. Nessuno deve sperare di trovare nel web rifugio e impunità. Ora, come sostengo da tempo, bisogna affinare le normative per consentire un controllo ancora più stringente.” Il ministro Riccardi e molte personalità della politica e della cultura italiana erano stati schedati dal sito, nel 2011, sotto il titolo ''lista delinquenti italiani'', nella lista figurano l'arcivescovo di Torino Cesare Nosiglia, il presidente della comunità ebraica romana Riccardo Pacifici, i giornalisti Gad Lerner e Maurizio Costanzo, il pubblico ministero della Procura della Repubblica di Torino Laura Longo, i giudici del Tribunale del Riesame di Palermo Antonella Consiglio, Giuseppina Di Maida e Filippo Serio, il Sindaco di Padova Flavio Zanonato, la loro colpa, secondo il sito, era quella di aver aiutato immigrati per fini economici, compiendo non meglio specificati atti criminali.

lunedì 26 novembre 2012

Per un mondo senza pena di morte

“Signori deputati, ho l’onore di chiedere l’abolizione della pena di morte” forse è la frase più famosa pronunciata da Robert Badinter, già ministro della Giustizia francese. Fu il ministro socialista Badinter, infatti, a lottare per l’abolizione, in Francia, della pena capitale, nel non lontano 1981.
Bedinter, importante avvocato ed intellettuale francese, oggi 84 anni molti dei quali passati nei palazzi della politica (più volte ministro, presidente del Consiglio costituzionale francese, senatore fino al 2011), inizia la sua battaglia contro la pena capitale nel 1975 quando era un giovane avvocato. Fu memorabile la sua arringa davanti alla corte d'assise di Troyes nella quale sferra un duro attacco alla pena di morte e chiede l’ergastolo per l'infanticida Patrick Henry contro un’opinione pubblica che invocava a gran voce l’esecuzione del colpevole. La sua battaglia termina solo nell’81 quando, chiamato a far parte del governo socialista Pierre Mauroy, con François Mitterrand presidente della Repubblica, da Ministro della Giustizia chiede all’Assemblée Nationale di votare il provvedimento che avrebbe portato all’abolizione della pena di morte, legge approvata in via definitiva il 18 ottobre 1981.
Bedinter prenderà parte, nei prossimi giorni, all’VII Congresso internazionale dei Ministri della Giustizia: “Per un mondo senza pena di morte”, organizzato dalla Comunità di Sant’Egidio nell’ambito dell’iniziativa Cities for Life, città per la vita, città contro la pena di morte, martedì 27 novembre. Parteciperanno diversi ministri della giustizia e i rappresentanti di molti governi per discutere in maniera approfondita sull’importanza dell’abolizione della pena capitale.
L’iniziativa quest’anno è ancora più carica di significato. Anno dopo anno il fronte di chi combatte la pena di morte nel mondo si allarga. Mentre in India, il 21 novembre, viene eseguito Mohammed A.A. Kasab (prima esecuzione dal 2004), pochi giorni prima la Terza Commissione dell’Assemblea Generale dell’ONU, con 110 paesi favorevoli, ha votato una risoluzione che chiede una Moratoria Universale della Pena di Morte (nel 2007 la stessa moratoria era stata votata da 99 paesi), il 2012 segna anche l’abolizione della pena di morte in Connecticut (quinto stato America ad abolire la pena capitale negli ultimi 5 anni dopo New Jersey, New Mexico, New York, Illinois).
Il 29 novembre poi l’evento in piazza, 1500 città di 90 nazioni (di cui 69 capitali) accenderanno il loro monumento simbolo.
Il 29 novembre non è una data casuale ma un anniversario importante. Ricorda la prima abolizione della pena di morte in uno stato europeo, era il 1786 quando il Gran Ducato di Toscana decise di abolire ogni esecuzione dal suo stato.

giovedì 22 novembre 2012

duplicAZIONItraduzioniTRASFORMazioni


Si è aperta ieri presso il Museo di Roma in Trastevere la mostra duplicAZIONItraduzioniTRASFORMazioni di Marianna Caprioletti, alla presenza del Presidente della Comunità di Sant’Egidio, Marco Impagliazzo, e il Presidente della Provincia di Roma, Nicola Zingaretti.

Quella di Marianna Caprioletti è la prima mostra monografica dei Laboratori sperimentali d’Arte della Comunità di Sant’Egidio. “La sindrome di Pendred di cui è affetta l’autrice la confina in una terra di silenzio e isolamento, tuttavia attraverso l’arte si è costruita un linguaggio proprio ed affascinante, di grande forza espressiva” si apprende dal comunicato di presentazione.

Nata a Roma nel 1976, Marianna Caprioletti inizia a dipingere da giovanissima ritraendo i compagni dell’istituto per sordi dove passa gran parte della sua infanzia. Nei Laboratori d'arte sperimentale della Comunità di Sant'Egidio, che frequenta dalla metà degli anni ‘90, affina il suo innato talento e si confronta con i grandi maestri della storia dell’arte elaborando la sua personalissima cifra stilistica. Sue opere sono state esposte presso il Parlamento Europeo di Strasburgo (2003) ed il Palazzo del Quirinale (2008 e 2011). Un suo primo profilo artistico è stato tracciato da Simonetta Lux nel volume “Con l'arte da disabile a persona” (2007).

Attraverso le sue opere l’artista riscrive, traduce, assimila graficamente e allo stesso tempo contesta le immagini di grandi maestri, partendo da un emblematico Giotto e viaggiando nel tempo e nelle correnti, da Leonardo a Picasso passando per Michelangelo, Raffaello, Renoir, Cezanne, Gauguin, Munch, Klimt, Matisse, Chagall fino ad arrivare ad una serie  di 20 tele che interpretano con vena ironica e attualizzante gli episodi e i personaggi de “I Promessi Sposi”.

Il curatore della mostra è l’artista visuale italo-brasiliano César Meneghetti, il quale compie una lettura critica della sua opera svolgendo così un gioco d’incroci, nella convinzione che sia possibile produrre spazi, visioni e logiche alternative per costruire nuovi contesti, cercando là dove molti credono di non trovare nulla, nemmeno il pensiero. Tutto è supportato da un comitato scientifico di alto rilievo. Simonetta Lux e Alessandro Zuccari, professori ordinari rispettivamente di Storia dell’arte Contemporanea e di Storia dell’arte Moderna presso l’Università di Roma “La Sapienza”, hanno dato il loro prezioso contributo.

Per informazioni e prenotazioni aggiungo il link del Museo di Roma in Trastevere con gli estremi della mostra:

mercoledì 21 novembre 2012

Cittadinanza ai bambini nati in Italia da genitori stranieri

ATTUALITA' - La notizia è di poche righe ma hanno una valenza storica, soprattutto se data il giorno della Giornata Internazionale dell’Infanzia (il 20 novembre 1989 a New York viene approvata la Convenzione Internazionale sui Diritti dell'Infanzia): il Consiglio comunale di Catanzaro ha conferito la cittadinanza italiana ai bambini nati in città da genitori stranieri.

La questione della cittadinanza ai bambini nati in Italia da genitori stranieri è entrato, in vari momenti, al centro del dibattito politico nell’ultimo anno. La contrapposizione  su questo argomento è su due diverse, e distinte, idee di cittadinanza che regolano la giurisprudenza internazionale: lo ius soli e lo ius sanguinis. Con il primo si intende il diritto alla cittadinanza per nascita in una Nazione, il secondo per sangue e discendenza. In Italia vige il secondo.

Il Ministro dell’integrazione e Cooperazione Internazionale, Andrea Riccardi, che su questo argomento si è molto speso, aveva provato ad individuare una terza via. Ragiona il Ministro: “Lo ius sanguinis non e' più all'altezza, lo ius soli, in un paese poroso come il nostro non va bene, bisogna riconoscere la cittadinanza ai bambini nati nel nostro Paese magari dopo un ciclo scolastico.” E spiega: “Diciamo una specie di ius culturae” e aggiunge “Non ci sarà il tempo di affrontare il tema in questa legislatura, il Parlamento non ha proceduto in questa prospettiva nonostante gli inviti del presidente Napolitano, e questo mi dispiace molto”.

Intervistato nella trasmissione “Prima di Tutto” su Rai radio 1, il ministro si è soffermato anche a discutere di immigrazione sottolineando che “L'integrazione in Italia e' andata avanti come un modello domestico, un fai da te in cui famiglia e piccola impresa hanno contato molto. Però serve qualcosa di più profondo, un'evoluzione anche culturale.”

“Quasi un milione di minorenni di origine straniera vive in Italia e di questi più di 500 mila sono nati nel nostro Paese” spiega Giacomo Guerrera, presidente dell'Unicef Italia nell’ambito dell’iniziativa Io come Tu che si impegna per il diritto alla non discriminazione dei bambini e degli adolescenti di origine straniera che vivono, studiano e crescono in Italia.

martedì 20 novembre 2012

Brevissima relazione della distruzione di tessuto sociale #1


Oggi è la “Giornata Universale dei Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza”. Sui social ed in rete spopolano primi piani di bambini che soffrono da ogni parte del mondo. Giustamente molti si commuovono di fronte ad alcune immagini, i commenti di indignazione da parte di tanti colmano le timeline di Twitter e le bacheche di Facebook. Alcuni si scandalizzano di come si espongano in modo indiscriminato foto di bambini in rete, senza filtri né autorizzazioni. Fortunatamente il dato di oggi sembra sia che la vita dei bambini non lasci indifferenti e si debba prendere posizione. Quanto di ciò che leggiamo e condividiamo in rete diviene pensiero acquisito? E per quanti di noi?

Djuliana (nome di fantasia per tutelare la privacy, anche i nomi dei figli che compariranno più tardi sono frutto della fantasia) è una donna rom che abitava a Tor De’ Cenci prima che la sua abitazione fosse distrutta davanti ai propri occhi e a quelli dei suoi figli dalle ruspe di Roma Capitale per ordinanza del Sindaco Gianni Alemanno e del Vicesindaco Sveva Belviso. Suo figlio Paulo e sua figlia Luljeta hanno sempre frequentato con assidua presenza le scuole elementari di Spinaceto. Il giorno dello sgombero la polizia urlava e cacciava via le persone dalle proprie abitazioni senza dare il tempo necessario per prendere le proprie cose. Dopo quel giorno molti bambini si sono vergognati di andare a scuola perché non era stato dato loro il tempo di prendere i vestiti per cambiarsi.

Sono tanti i minori dell’ex campo di Tor De’ Cenci che hanno visto distruggere l’abitazione dove sono nati e cresciuti sotto i propri occhi, in una mattina nella quale sembrava non fossero stati mandati a scuola apposta per assistere alla spettacolarizzazione del sopruso, dell’affermazione della potenza distruttrice su persone inermi.
 
 

Djuliana badava ai propri figli anche grazie al sostegno di qualche famiglia del quartiere Tor De’ Cenci con le quali aveva stretto amicizia nel tempo e che regolarmente le fornivano il necessario per crescere e per vestire il figlioletto Paulo e la piccola Luljeta. Ora, come più di altre mille persone, abitano a Castel Romano, dove Roma Capitale ha deciso di confinarli in un posto dove in alcuni container non esce nemmeno l’acqua dai rubinetti (ndr. dato di ieri) e le fogne puzzano perché nei viali di brecciolino si sono formate delle voragini che collegano gli scarichi con la superficie. Molti pensano che il problema sia dei rom; “sono loro che non vogliono integrarsi”, “a loro non piace vivere in casa”, “i rom trattano male i propri figli” sono le parole più usate, questi sono però puri luoghi comuni, propaganda per creare spauracchi da campagna elettorale, sia a destra che a sinistra. I rom vogliono vivere nella società, amano i propri figli e molti sono in lista per la casa popolare. Tutto il resto si chiama politica di discriminazione.

Penso che sia scandaloso che in una capitale europea come Roma genitori e bambini possano essere trattati in questo modo su base etnica. Continuiamo a pensare ai diritti dell’infanzia.

lunedì 19 novembre 2012

Alcuni dati sulla drammatica situazione carceraria

Il IX rapporto sulla situazione carceraria in Italia (dal titolo suggestivo quanto preoccupante “Senza dignità”), presentato oggi dall’Associazione Antigone, fotografa una situazione disperata.
Il primo dato che balza agli occhi, quello che la stessa associazione chiama un malato cronico, è il problema del sovraffollamento, nei 206 carceri italiani, per una capienza di 46.795 sono incarcerati circa 66.685. Stiamo parlando di tasso di affollamento del 142,5% (con la Liguria con un tasso del 176,8%) a fronte di una media europea che si aggira intorno al 99%.

Il rapporto si sofferma anche ad analizzare la composizione delle carceri. Le donne in carcere sono 2.857 (il 4.2% del totale), mentre la regione più rappresentata è la Campania (intorno al 26%), anche se un’incidenza interessante è la presenza degli stranieri (il 35% con una forte presenza marocchina e rumena). Il 41% dei detenuti ha meno di 35 anni.

Sono invece drammatici i dati relativi alla situazione sanitaria e sociale: secondo il rapporto il “12,3% dei detenuti avrebbe tentato il suicidio.”
Dall’inizio dell’anno sono morti 93 i detenuti morti, più della metà (50) per suicidio, uno per sciopero della fame, uno per overdose, uno per omicidio, 9 per malattia e 31 per cause ancora da accertare.

La situazione è così drammatica che è un campanello d’allarme anche per la Corte europea dei Diritti dell`Uomo che sta vagliando all’incirca 400 casi con una multa che si potrebbe aggirare sui 400 mila euro di sanzioni.

venerdì 16 novembre 2012

Il caso di Michael Morton, 25 anni in carcere da innocente

Il referendum in California ha stabilito che lo stato non abolirà la pena capitale. Nonostante gli sforzi dei promotori, infatti, il 54% della popolazione ha votato per mantenere nel proprio ordinamento la pena capitale.
Ma, nonostante in molti stati rimanga in vigore, quello sulla pena di morte è un dibattito che non tramonta.
Tra circa un mese, infatti, potremmo assistere ad un evento raro e che potrebbe diventare un precedente importante per la giustizia negli stati uniti. Tra circa un mese  Ken Anderson oggi Giudice della Corte distrettuale ma per 17 anni Procuratore Distrettuale della Contea Williamson, sobborgo di Austin in Texas, si dovrà presentare davanti ad un tribunale per rispondere dell’accusa di cattiva condotta.
I fatti risalgono al 1987. Michael Morton, un trentenne, sposato con Christine, un bambino di 3 anni e un lavoro sicuro, venne accusato da Anderson di aver ucciso a randellate la propria moglie. Morton non era mai stato nei guai, ma per lo sceriffo della contea, Jim Boutwell, e per il procuratore era, senza ombra di dubbio, colpevole. Durante il dibattimento il procuratore ha avuto, secondo l’accusa che lo porterà a giudizio, una cattiva condotta, soffermandosi ha sottolineare solo alcuni aspetti del delitto e portando solo prove (tra queste una lettera di astio che Morton  avrebbe scritto alla moglie) che avvaloravano la sua tesi, ma non soffermandosi su alcuni aspetti che avrebbero potuto far assolvere Morton, come una bandana, che non apparteneva all’accusato, sporca di sangue, trovata a pochi metri dalla scena del crimine, l’abitazione di Morton o la dichiarazione del figlio di tre anni che sosteneva che il padre non era l’aggressore della madre. Anderson avrebbe anche, e questa è l’accusa più pesante, nascosto alcune prove in favore della difesa e che avrebbero spinto la giuria a prosciogliere dall’accusa Morton.
Quella di Morton, però, è una storia, almeno parzialmente a buon fine, infatti nel 2011 è uscito dal carcere , ma li era rimasto a scontare la pena per 25 anni. A riaprire il caso sono stati i legali dell’Innocence Projet, un’associazione che si occupa di riaprire i casi dove sono stati condannati innocenti. Hanno trovato prove a sostegno della più assoluta estraneità di Morton nel delitto. Hanno esaminato la bandana insanguinata dove erano stati trovati alcuni capelli. Secondo la prova del DNA i capelli non appartenevano a Morton ma evidenziano il profilo di un uomo che, dopo la morte di Christine, avrebbe ucciso un’altra donna.
Barry Scheck, il cofondatore di Innocence Projet ha scritto un graffiante memorandum sul caso Morton nel quale affermava che Morton era “la vittima di gravi mancanze della pubblica accusa, che gli ha fatto perdere 25 anni della sua vita e completamente fatto a pezzi la sua famiglia.”
Ma quella di Morton non è un caso isolato. Barry Scheck ha dichiarato che, grazie al loro lavoro e alla prova del DNA, sono riusciti a dimostrare l’innocenza di oltre 300 persone.
Sam Millsap, un ex procuratore del Texas, in un discorso pubblico di qualche anno fa, ha dichiarato, “Mi piacerebbe essere in grado di dirvi che sono l’unico ex procuratore eletto nel paese che si trova nella posizione di dover ammettere un errore di giudizio che ha portato alla esecuzione di un innocente, ma non è così.” Millsap, oggi in prima linea nella crociata per l’abolizione della pena di morte, da procuratore aveva emesso una sentenza capitale mandando nel braccio della morte un innocente. L’accusa si era basata su un testimone oculare, ma in seguito si era rilevata completamente falsa.
Secondo i dati raccolti dalla Houston Chronicle, “Il Texas ha la particolarità di avere più condannati rimessi in libertà per non aver commesso il crimine di cui erano accusati sulla base della prova del DNA di qualsiasi altro Stato.” Negli ultimi 10 anni, spiega il documento, 45 persone, tra cui Morton, sono stati prosciolti di reati gravi come l'omicidio.
Ma il pericolo che un’innocente, uno solo, sia messo a morte per errori giudiziari dovrebbe far riflettere di più sulla Pena di morte.

mercoledì 14 novembre 2012

La rivincita del bene


Nella religione ebraica il Bar Mitzvah segna il passaggio alla maggiore età. Letteralmente vuol dire figlio del comandamento e per i ragazzi si celebra al compimento dei tredici anni. Per le ragazze accade nel dodicesimo anno di età, ma nel loro caso parliamo di Bat Mitzvah.

Giuseppe di Porto avrebbe dovuto festeggiare il suo Bar Mitzvah nel 1936, allietato dalla presenza dei suoi genitori, dagli amici e dai parenti. Al tempo non avrebbe potuto immaginare cosa sarebbe accaduto. Questa grande festa si è svolta, sì, nella Grande Sinagoga di Roma, ma il 26 gennaio del 2009, alla presenza del Rabbino Capo Di Segni e di larga parte della Comunità ebraica di Roma. Nel mezzo c’è tutta la storia di Giuseppe. Un ragazzo, un giovane uomo, che suo malgrado si è visto catapultato negli orrori della Storia, facendo esperienza diretta del razzismo, dell’antisemitismo e di Auschwitz. Di tutti coloro che sono sopravvissuti alle persecuzioni naziste e all’Olocausto oggi ne rimangono in vita molto pochi, lui è uno di loro.

La sua storia è raccolta nel Quaderno n°6 della Provincia di Roma: “Giuseppe Di Porto. La rivincita del bene – Una testimonianza inedita di un sopravvissuto ad Auschwitz”. Nell’incipit afferma: “Spero, con questo mio racconto di aiutare i lettori più giovani a capire quanto possa essere sottile e rischioso il passaggio tra il bene e il male, tra la razionalità e la pazzia”. Non è una storia già sentita? Ebbene, Giuseppe non è un letterato. A causa delle condizioni familiari e della guerra non è arrivato oltre la quinta elementare ed è consapevole di avere il dovere di raccontare. È una persona semplice, che sviscera i fatti con l’umiltà di chi si vuole far comprendere, soprattutto dai più giovani, soprattutto ora che molti testimoni non ci sono più. È una storia che deve essere raccontata!

A Roma Giuseppe viveva con i genitori in Via della Reginella, una traversa di Via del Portico D’Ottavia, strada meglio conosciuta oggi come il “Vecchio Ghetto”. Come tanti uomini del suo tempo, il papà aveva combattuto per l’Italia durante le Grande Guerra. Era “artigliere” col grado di Caporale. Dopo la guerra aveva ricevuto la licenza di venditore ambulante; vendeva cravatte, cinte e bretelle. Dall’autunno del 1938, con l’entrata in vigore delle Leggi Razziali, gli ebrei furono “considerati come cittadini stranieri, indesiderati e mal visti, costretti a subire innumerevoli restrizioni e persecuzioni”, ricorda nel libro. Fu tra i 200 ebrei romani “prescelti” nel 1942 per andare a lavorare lungo l’argine del fiume Tevere, sotto ponte Vittorio Emanuele. Vessazioni, umiliazioni e lavori forzati. Questo accadde a Roma e in tutta l’Italia fascista. Nulla da invidiare alle leggi emanate dal Terzo Reich e ai trattamenti riservati agli ebrei nella Germania nazista. Cosa che, invece, molti revisionisti e autorevoli rappresentanti di larghe fasce della destra in Italia vorrebbero sminuire, a volte sino al limite indegno del falso storico.

Arrivò il 1943 e con esso “il giorno del ricatto”. La sera del 26 settembre venne richiesta alla Comunità ebraica la consegna di cinquanta chili d’oro che avrebbero dovuto raccogliere entro trentasei ore, pena la deportazione di 200 ebrei romani. Come tutti sappiamo questo non valse a garantire l’incolumità degli ebrei romani; si arrivò al 16 ottobre, giorno della deportazione di 2091 ebrei della capitale verso lo sterminio. Quel giorno Giuseppe non era in città, stava cercando lavoro a Genova. Nonostante ciò, fu comunque arrestato e il 3 novembre di quello stesso anno fu inviato ad Auschwitz. Di Porto racconta la propria esperienza del Lager ripercorrendo parallelamente il vissuto ed i pensieri di quei giorni, sino alla liberazione e al rientro in Patria. Durante tutto il racconto ha cercato di non trasmettere odio e rancore nei confronti di chiunque “anche se l’uomo non può considerarsi immune da atti che possono superare la bestialità”, ricorda lui stesso.

Questa non è la storia di un grande uomo, ma sicuramente la storia di un uomo che si è reso grande attraverso l’opera di trascendenza dall’odio compiuta su sé stesso. Vorrei concludere con le parole di Giuseppe Di Porto: “Il futuro della società è nelle nostre menti e nei nostri cuori. Se sapremo privilegiare la comprensione e la disponibilità verso chi è - per un qualsiasi motivo - differente da noi, avremmo vinto la nostra battaglia contro il pregiudizio e l’odio”.

martedì 13 novembre 2012

Benedetto XVI in visita nella casa-famiglia VIva gli anziani

Non è stata solo la visita del vescovo di Roma, quella compiuta dal papa Benedetto XVI alla casa-famiglia Viva gli anziani della Comunità di Sant’Egidio, ma anche  quella di un “anziano in visita ai suoi coetanei” come ha detto lo stesso Benedetto XVI, “conosco bene le difficoltà  dettate dal limite dell’età” prosegue il Santo Padre  “e, per molti, aggravate dalla crisi economica.” Il papa, arrivato nella tarda mattinata di lunedì al Gianicolo a Roma, ha incontrato gli anziani che vivono nella casa Viva gli anziani, si è fermato a parlare con loro, ha ascoltato le loro storie, spesso segnate dalla povertà e dalla solitudine. Vincenzo, il più giovane della casa, oggi settantenne, dopo anni di duro lavoro, a 50 anni si è ammalato seriamente e ha dovuto smettere, i volontari di Sant’Egidio lo hanno dapprima, aiutato a casa e poi, quando per lui è stato difficile vivere da solo, lo hanno accolto nella casa alloggio. Sandro, 80 anni, per colpa di un ictus ha perso parte della sua autosufficienza, nel 2000 si è trasferito nella casa. Licia, 98 anni, era rimasta sola, dopo la morte del marito e del figlio, da quel momento, questa è diventata la sua casa. Maria sono 14 anni che vive insieme agli anziani della comunità e quest’anno ha festeggiato insieme a tanti amici i suoi 100 anni.  Queste sono solo alcune delle storie che il papa ha potuto ascoltare dalla voce dei protagonisti.  Il Santo Padre, dopo aver visitato la casa, si sofferma a parlare con alcuni giovani della Comunità prima di raggiungere il giardino. Ad accoglierlo volontari e anziani, generazioni distanti per età ma accumunati da una profonda amicizia. Marco Impagliazzo, presidente della Comunità, accoglie il Papa con parole di riconoscenza e di speranza. “Nelle strade di Roma, e di tante città europee, incontriamo sempre più anziani tristi e rassegnati. Troppi sono dimenticati: impoveriti dalla malattia, dalla solitudine, dalla fragilità, dall’esclusione. La benedizione di una lunga vita si trasforma in tristezza. E’ un destino inevitabile? Ci chiediamo ormai da tanti anni.” Riflette Impagliazzo, che prosegue “In questa e nelle altre quattordici case della Comunità a Roma, gli anziani ritrovano la speranza. Qui si realizza la parola del Salmo 71, definito “la preghiera di un vecchio”: “Io invece continuo a sperare, moltiplicherò le tue lodi”. Poi la testimonianza di Enrichetta, un’anziana di un quartiere periferico della città, che racconta, come lei a 91 anni e quasi senza vista, debba essere accompagnata per fare tutto, ma che l’amicizia con i giovani le ha dato tanta forza, tanto che lei per prima va a trovare gli anziani più deboli e soli negli istituti. Poi il discorso del papa: “Spesso la società, dominata dalla logica dell’efficienza e del profitto” respinge il “dono” della vecchiaia ”considerando gli anziani come non produttivi, inutili”. E poi si sofferma sul valore dell’amicizia tra generazioni diverse, perché gli anziani sono un libro aperto di sapere per i più giovani.

Gavino Pala

sabato 10 novembre 2012

Rom: tutto può cambiare!


Il problema sicurezza è stato spesso al centro del dibattito politico tanto da segnare intere campagne elettorali e l’azione di molte amministrazioni locali. Chi può dirsi veramente ed integralmente sicuro?

A Roma questo si è tradotto in una dizione molto presente tra gli ultimi argomenti di conversazione della politica, della società civile e della magistratura: Piano Nomadi. La questione non riguarda amministrazioni solamente di destra, anche le politiche di Veltroni per i rom della città non si sono distanziate molto da ciò che accade oggi. La differenza è di genesi e legittimità. Il progetto attuale trova la sua origine politica dal neologismo berlusconiano Emergenza Rom, coniato nel 2009. Da quel momento nella Capitale si sono succeduti 470 sgomberi, sono stati chiusi 10 grandi campi e sono stati spesi 60 milioni di euro. Dopo più di tre anni, e nonostante le proteste da parte delle associazioni che da sempre lavorano affianco dei rom, siamo giunti ad un giro di boa. La Repubblica esce con un dossier on-line che inquadra il problema e ne evidenzia alcune problematiche, come:

1.             l’esagerazione delle dimensioni del problema,

2.             provvedimenti contrari al diritto internazionale,

3.             mancato rispetto della volontà delle persone,

4.             creazione di mega-campi incontrollati alla periferia della città.

Tale politica, come denunciano le associazioni di settore, fa oggi i conti con un alto prezzo in termini di integrazione, risorse mal spese, sicurezza e credibilità del nostro Paese in Europa sul tema dei diritti umani.

I dati sulla popolazione rom a Roma fotografano però una situazione molto chiara: sono circa 7000 i rom della città (lo 0,002% della popolazione della capitale) di cui il 50% di minori (il 35% non supera i 14 anni). Stiamo parlando di una popolazione estremamente giovane, formata per lo più di bambini. Non stupisce quindi che sono i bambini i più colpiti dal Piano Nomadi. I tanti sgomberi che hanno interessato la capitale hanno di fatto impedito a molti bambini di avere una continuità scolastica a spese di scolarizzazione ed integrazione.

Il Piano Nomadi ha poi pesato per 60 milioni di euro sulle casse dell’amministrazione comunale, anche se  “con 35-40 milioni di euro”, ha commentato Stasolla, presidente di 21 luglio, associazione nata per difendere i diritti dell’infanzia, “avremmo potuto dare casa a tutti i rom e sinti nei campi del nostro Paese. Ne avanzavano 15” conclude Stasolla “per dare case agli italiani”. La Banca Mondiale ha dichiarato che “l’integrazione completa dei Rom potrebbe garantire un incremento di circa 0,5 miliardi all’anno per le economie di alcuni paesi” e in questo non è da escludersi l’Italia.

Molte persone continuano a legittimare gli atteggiamenti del Piano Nomadi con il luogo comune che, essendo nomadi, non hanno bisogno di un’abitazione fissa e le amministrazioni che si succedono non possono far altro che trovare soluzioni provvisorie in campi sempre meno attrezzati e sempre più lontani dalla città. Alcuni mettono avanti l’esperienza di persone che hanno subìto dei furti in casa da parte di rom.

A questi due differenti livelli di pensiero ha provato a rispondere il Ministro per la Cooperazione Internazionale e l’Integrazione Andrea Riccardi parlando di “superamento dei campi rom”. In effetti è un tòpos diffuso che i Rom siano nomadi. Oramai in Italia vi sono famiglie stanziali da più di tre generazioni. Detto questo potremmo aggiungere che il primo limite del Piano Nomadi sia proprio nella dizione: non si tratta affatto di nomadi. Ha affermato il Ministro: “io non credo che bisogna santificare il popolo rom. Ma non si può criminalizzare un’intera comunità!”. Il Ministro è convinto che “bisogna uscire da una logica di emergenza verso i rom” e che bisogna “passare ad una logica di costruzione del futuro”. Questo disegno non sarebbe nuovo per la città di Roma. La Capitale ha già vissuto periodi di emergenza abitativa ai quali ha saputo dare una risposta nel corso degli anni. Non tutti ricordano i baraccati del Mandrione o del Cinodromo; emigranti per la maggioranza del sud della Penisola in cerca di una vita migliore. Vivevano in abitazioni di fortuna, arrangiate a ridosso di un acquedotto o issate dalla lamiera. In condizioni miserevoli crescevano i propri figli e sognavano un futuro diverso per sé e le generazioni a venire. I piani di edilizia popolare degli ultimi decenni del ‘900 hanno provato a dare una risposta a queste persone. Ancora oggi, recandovi a Spinaceto nella periferia sud di Roma, è possibile che bambini e ragazzi di via Lorizzo chiamino ancora “il Mandrione” quella fascia di palazzoni popolari dove, oramai tre generazioni fa, sono stati trasferiti i loro parenti proprio da via del Mandrione, dove avevano issato un’abitazione di lamiera a ridosso dell’acquedotto Felice dopo essere fuggiti dalla miseria della loro provincia di provenienza.

Esiste un riscatto per tutti! Perché non può essere vero anche per i rom, esigua minoranza nella nostra città?

Alla luce di questo, insieme al Ministro Riccardi possiamo affermare che “una delle più grandi battaglie per l’integrazione sia cambiare mentalità”.

venerdì 9 novembre 2012

9 novembre 1989, la caduta del Muro di Berlino

NEWS DALLA STORIA
9 novembre 1989. Quel giorno gli abitanti di Berlino Est si erano svegliati come ogni giorno. Timore nel futuro e con un presente segnato dalla povertà (economia nel blocco sovietico stava ai minimi storici) e dalla paura nei confronti si un regime totalitario opprimente. Ma il mondo intorno stava cambiando, anche se lentamente.
Nel 1985 Michail Gorbaciov diventa segretario generale del Partito Comunista dell’Unione Sovietica inaugurando una politica completamente nuova. In Europa si iniziava a parlare si perestrojka e alla glasnost' (riforme economiche e una maggiore trasparenza della vita pubblica del paese). In Polonia il sindacato guidato da Lech Wałęsa, Solidarność, stava diventando una realtà importante tanto che nell’aprile 89  viene riconosciuta legalmente e partecipa alle elezioni governative. L’Ungheria, il 23 agosto dell’89, rimuove le sue restrizioni con la frontiere con l’Austria (nei mesi successivi furono più di diecimila i tedeschi della DDR a fuggire in Ungheria e da li verso occidente)
Alla fine della seconda guerra mondiale la Germania sconfitta fu divisa in quattro zone di interesse, ognuna delle quali sotto il diretto controllo di una delle nazioni vincitrici della guerra, diventando così il simbolo nel nuovo sistema internazionale con, di fatto, due blocchi. Berlino, fino a quel momento capitale di uno stato unitario, fu divisa, nonostante la città si trovasse interamente nella zona est.
Solo il 13 agosto del 1961 le autorità della Germania Est diedero l’ordine di costruire un muro che di fatto isolava la Berlino Federale dalla Berlino Democratica. Il muro. 161 chilometri e alto 3 metri, era la fine dei collegamenti tra le due Germanie.
Nel tempo in molti hanno provato a fuggire dal regime totalitario dell’Est verso la democrazia occidentale.
Dopo 28 anni, il 9 novembre del 1989, le autorità della DDR annunciarono rapidi cambiamenti con la riforma della legge sui viaggi, gli abitanti di Berlino si riversarono nelle strade, aspettando davanti al muro ancora presidiato dalle guardie. Le frontiere furono aperte. In migliaia da Berlino Est varcarono il confine e trovarono ad aspettarli concittadini della Berlino Ovest festanti per la notizia.

Gavino Pala

giovedì 8 novembre 2012

Il Papa visiterà la casa-famiglia "Viva gli anziani" della Comunità di Sant'Egidio

Il 2012 è stato l’anno Europea dell’invecchiamento attivo e della solidarietà tra le generazioni.
L’età che avanza è sicuramente una benedizione, anche se molti vedono negli anziani un peso per la società. Per questo la Comunità Europea ha indetto nel 2012 l’anno dell’invecchiamento attivo che mira a sensibilizzare l’opinione pubblica verso chi invecchia in buona salute e può ancora contribuire per il benessere della società. In Italia, la speranza di vita alla nascita, è di 79 anni per gli uomini e di 84 per le donne, nel non lontanissimo 1961 era rispettivamente 67 e 72. oggi la popolazione ultrasessantenne residente in Italia rappresenta il 20% della popolazione (nel 2009 secondo il censimento ISTAT in Italia c’erano 13733 ultracenenari).
Gli anziani sono la fascia più debole della popolazione. Secondo lo studio “Gli anziani in Italia: aspetti demografici e sociali ed interventi pubblici” edito dalla Scuola Superiore dell’Amministrazione dell’Interno possiamo leggere: “La povertà degli anziani soli o non autosufficienti registra un aumento nelle regioni del Nord, in controtendenza con il resto del Paese: dal 2005 al 2006 l'incidenza di povertà relativa (percentuale di poveri sul totale dei residenti) in persone sole con 65 anni e più è passata da un valore di 5,8 a un valore di 8,2 (ultimi dati disponibili). Nel 2007, secondo i dati del Ministero dell'Economia e delle finanze, le istituzioni pubbliche hanno erogato prestazioni a fini sociali pari a 366.725 milioni di euro, di cui il 66,3%, pari a 243.139 milioni di euro, per pensioni (+5,2% rispetto all'anno precedente).”

Non stupisce allora che proprio in occasione dell’anno Europeo Benedetto XVI, come ha annunciato Padre Lombardi, abbia deciso di visitare la casa-famiglia Viva Gli Anziani gestita dalla Comunità di Sant’Egidio a Roma. l’appuntamento è per la tarda mattinata di lunedì 12 novembre.

Sarà la seconda visita di Benedetto XVI ai poveri assistiti dalla Comunità di Sant’Egidio a Roma, dopo la visita alla mensa di via Dandolo il 27 dicembre 2009. In quell’occasione il Santo Padre aveva pranzato con 150 poveri che frequentano abitualmente la mensa a Trastevere. In quell’occasione benedetto XVI aveva detto rivolgendosi ai commensali: “Cari Amici! E’ per me un’esperienza commovente di essere con voi, di essere qui nella famiglia di Sant’Egidio, di essere con gli amici di Gesù perché Gesù ama proprio le persone sofferenti, le persone con difficoltà e vuole averli come i suoi fratelli e sorelle.”

“Fin dagli inizi la Comunità di Sant'Egidio si è avvicinata al mondo degli anziani.” Si legge nel sito della Comunità trasteverina nelle pagine sugli anziani (http://www.santegidio.org/index.php?pageID=24&idLng=1062 ) “Questa amicizia,” si continua a leggere nel sito “cominciata nel 1972, è continuata negli anni con fedeltà ed è divenuta la strada che ci ha aiutati a penetrare con profondità nel continente anziani.”

Il rapporto particolare che la Comunità di Sant’Egidio ha con gli anziani si evince dai diversi servizi che offre loro. Solo a Roma, oltre la casa che il Papa visiterà lunedì, la Comunità gestisce, in maniera del tutto volontaria, altre due case famiglie, dove anziani fragili vivono con l’assistenza 24 ore al giorno a ci sono poi le visite dei volontari a casa o nei tanti istituti di lunga degenza dove sono ricoverati molti anziani. In tutto a Roma la Comunità di Sant’Egidio offre servizi a circa 18.000 anziani seguiti da 800 volontari. Impegno concreto della Comunità, nel corso degli anni, è infatti quello di aiutare l’anziano a vivere a casa propria con il sostegno concreto ai familiari e la costruzione di una rete di solidarietà intorno ad anziani fragili.

Nel centro storico della capitale la Comunità di Sant’Egidio ha poi avviato, con la collaborazione del Ministero della Salute la Regione ed il Comune, il Programma W gli Anziani che si preoccupa di monitorare tutti gli ultra settantacinquenni del quartiere. Il Programma, nato nel 2006, risponde all’esigenza di controllare gli anziani soli, soprattutto dopo la terribile estate del 2004 quando molti anziani persero la vita a causa del forte caldo, con visite a casa e telefonate periodiche. Alle volte, per chi è solo, sentire una voce amica e avere gli auguri per il proprio compleanno, possono riempire una giornata.

La vecchiaia è una benedizione, gli anziani della casa famiglia lunedì avranno una benedizione tutta particolare.




lunedì 5 novembre 2012

Chi colmerà il vuoto politico lasciato dai partiti?

La politica, o meglio i partiti, sono in crisi. Il voto siciliano ha certificato un profondo malessere nei confronti dei partiti tradizionali con un forte astensionismo e la perdita di elettori dei principali partiti, anche quelli che in Sicilia le elezioni le hanno vinte. Ma questo fenomeno è tutt’altro che nuovo. Potremmo ipotizzare che l’inizio del malessere sia avvenuto dopo la pubblicazione de La Casta di Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo. I due giornalisti del Corriere della Sera hanno descritto, in maniera puntuale e documentata, il costo della nostra classe politica.

La perdita di consenso dei partiti ha avuto poi due conseguenze tangibili solo nell’ultimo anno. Da una parte l’ascesa di Grillo e del Movimento 5 Stelle e dall’altra la nascita del governo tecnico di Mario Monti. Il primo, forse un po’ populista e facendo leva sulla pancia della gente, ha costruito la sua fortuna attaccando i politici e i partiti colpevoli, secondo il comico genovese, di pensare solo ai propri interessi. Il secondo è nato proprio dall’impossibilità dei partiti di affrontare la più pesante crisi economica mai vista dal 29, e, nonostante i forti sacrifici che ci hanno chiamato a fare, continua ad avere un buon gradimento del paese, come lo stesso Monti ha ricordato poche settimane fa.
L’avvicinarsi delle elezioni politiche (a gennaio insieme alle regionali o ad aprile alla fine della legislatura, ancora non si sa) pone allora un problema, riusciranno i partiti politici a riconquistare lo spazio politico che hanno perso negli ultimi anni? Oppure quello stesso spazio politico potrà essere colmato da settori della società civile oggi lontani dalla politica?

Secondo tutti i sondaggi nel prossimo parlamento dovrebbero entrare i grillini e probabilmente potrebbero ritornare in Parlamento forze a sinistra del PD. Ma potrebbero essere al centro le vere novità politiche: il Movimento di Todi e il Manifesto per la Terza Repubblica di Montezemolo ne sono un esempio lampante anche se ancora non sappiamo le loro intenzioni, sono due realtà che stanno prendendo spazio, e l’UDC guarda a loro strizzando l’occhio.

Nei giorni scorsi, dalle colonne del Corriere della Sera, Ernesto Galli della Loggia, con un duro editoriale, critica proprio quei settori della società civile che negli ultimi mesi si stanno affacciando sulla scena politica. Li chiama Notabili a disposizione e ne elenca i nomi: Corrado Passera, Andrea Riccardi, Luca di Montezemolo, Lorenzo Ornaghi, Ernesto Auci, Raffaele Bonanni.
La critica maggiore che muove Galli della Loggia verso questi presunti notabili è il silenzio rispetto a temi specifici, “uno soltanto dei tanti problemi con cui ci troviamo alle spese”. Galli della Loggia fa due esempi, la carriera dei magistrati e i matrimoni omosessuali, peccato che tra i notabili citati ci sono esponenti dell’attuale governo che problemi concreti, molto di più concreti della carriera dei magistrati, li stanno affrontando, e poi ci sono sindacalisti e imprenditori che quotidianamente affrontano problemi inerenti il lavoro e la’economia.

Stupiscono poi le conclusioni dell’editorialista del Corriere con una fantasiosa citazione del notabile: “Voi mi dovete eleggere non per ciò che io penso o propongo (quasi sempre nulla), ma per ciò che io sono. Per il mio “rango”. Che non deve essere certo riconosciuto da voialtri, insignificante plebe elettorale. Basta che lo facciano i miei pari: a voi, al massimo, non resta che sottoscrivere”. Ma è il gioco della democrazia, se nasce un partito intorno al Manifesto per la Terza Repubblica (il prossimo 17 novembre ne sapremo di più) o al movimento di Todi sarebbero personaggi della società civile che si mettono in gioco, nello stesso manifesto si criticano molto i partiti tradizionali, ma sarà la gente a decidere se fidarsi si loro piuttosto che di Bersani e Alfano. Michele Salvati, rispondendo sempre sul Corriere a Galli della Loggia, ribalta il problema chiedendosi: “Come mai la politica presenta oggi per la loro chiamata?” e sottolinea: “La presenza dei “notabili a disposizione” dipende dal fallimento della politica dei partiti e dei politici di professione e della reazione popolare nei loro confronti.

sabato 3 novembre 2012

In Russia la censura avanza sul web

La notizia è di quelle che avrebbe fatto esplodere la rivolta sul web, almeno in Italia o in altri Paesi in cui esso è ancora considerato un baluardo dell'informazione libera. Non così in Russia, dove alcuni giorni fa le due camere del Parlamento hanno approvato a grande maggioranza una legge che prevede la possibilità di bloccare i siti web con contenuto "dannoso" per i minorenni.
Le autorità potranno dunque redigere una lista nera dei siti web che andranno oscurati e, senza alcuna decisione di un giudice e possibilità di appello da parte dei gestori, ordineranno ai provider di eseguire la chiusura.

Le critiche mosse al provvedimento provengono dagli ambienti dell'opposizione a Putin e da diverse associazioni per i diritti civili, che vedono nella legge, il cavallo di troia che, con la scusa di tutelare i minori, potrà insinuarsi anche nella rete - l'unico canale in cui i media non sono controllati totalmente dal governo - rendendo impossibile organizzare manifestazioni e movimenti di protesta.

D'altra parte precedenti preoccupanti in tal senso non mancano. Il sito russo di Wikipedia, ru.wikipedia.org era stato chiuso il 10 Luglio per aver dimostrato il proprio dissenso. La pagina d’accesso del sito riporta ancora oggi la frase “immaginate un mondo senza informazione libera”. Anche i giganti del web russo, come il motore di ricerca Yandex ed il portale di posta elettronica Mail.ru, hanno espresso forti perplessità sul dispositivo di legge, evidenziando come esso consegni esclusivamente nelle mani dei politici al potere la libertà di espressione nel Paese, già nettamente più ridotta che altrove.

La Russia rientra infati tra i paesi “sotto sorveglianza” secondo l’ultimo rapporto sui Nemici di Internet pubblicato nel marzo 2012 da Reporter senza frontiere. Il Paese, sempre secondo l''Associazione, si trova inoltre al 142° posto su 179 nell’elenco mondiale della libertà di stampa.

Il dibattito sulla libertà di informazione e la possibilità per i governi di oscurare contenuti ritenuti illeciti è certo ampio e rilevante. Anche in Italia sono allo studio provvedimenti tesi a oscurare siti dichiaratamente antisemiti o omofobi.Il tentativo russo di controllare la rete è tuttavia un colpo d'accetta nell'etere che, probabilmente, non riuscirà nel suo intento dichiarato - bloccare la pedo-pornografia in rete -  rendendo solamente più instabile una delle colonne della democrazia, la libertà di informazione. Staremo a vedere.

Per approfondire:
Una bibliografia sui rapporti tra mass-media e potere - da www.archivio900.it

venerdì 2 novembre 2012

Referendum in California per abolire la Pena di morte

Il prossimo martedì gli Stati Uniti saranno chiamati a scegliere il prossimo presidente e in queste ultime ore la battaglia elettorale si sta facendo feroce. Ma nello stato della California gli elettori, oltre alle schede per le politiche, si troveranno una scheda referendaria. Dovranno scegliere se abolire o meno la pena capitale.
Ma cosa ha spinto gli amministratori a indire un referendum sulla pena di morte?
Tra le nove argomentazioni troviamo che la pena capitale è intrinsecamente sbagliata oppure che gli errori giudiziari sono irreparabili.
Stupisce però che la prima delle nove argomentazioni è di carattere economico. La profonda crisi che sta colpendo il paese avrebbe infatti spinto a ragionare se fosse il caso di abolire la pena di morte. Gil Garcetti, ex procuratore distrettuale della contea di Los Angeles, per fare un esempio, ha recentemente dichiarato: “Credevo nella pena di morte ma ho cominciato a vedere che il sistema non funziona. Costa una quantità oscena di soldi.”
Secondo uno studio la California, da quando la Corte Suprema ha autorizzato all’introduzione nell’ordinamento penale nel 1976, ha speso quattro miliardi di dollari per eseguire 13 condanne.
Dati alla mano l’idea che uccidere un uomo costa di meno rispetto a tenerlo a vita nel carcere quindi diventa pura fantasia. Un condannato a morte, in California, costa circa 100 mila dollari in più all’anno rispetto ad un ergastolano, e la giuria di un processo di pena di morte costa addirittura 200 mila dollari in più.
A questo va aggiunto che in California un detenuto passa in media 17 anni prima di vedere la sua condanna eseguita, e degli attuali 724 detenuti 44 stanno dentro da oltre 30 anni.
Va ricordato anche che in California non vengono eseguite condanne dal 2006 quando un giudice federale fermò le condanne argomentando che l’iniezione letale e il protocollo in vigore all’epoca andava contro i dettami costituzionali (nel 76 quando la Corte Suprema diede il via libera all’introduzione della pena capitale specificò che la pena dovesse essere eseguita in modo indolore per il condannato). La crisi economica ha fatto molte vittime, ma martedì potrebbe salvare qualche vita.

La violenza non si ferma in Nigeria

La violenza non si ferma. Solo pochi giorni fa l’ennesimo attentato contro una chiesa cristiana nel nord della Nigeria. L’attentato non era stato rivendicato ma, con molta probabilità, a compierlo era stato Boko Haram, gruppo musulmano molto vicino a Al Quaeda.

Oggi però la violenza è di stato. Durante un’operazione nella città di Maidouguri, nel nord-est del Paese, considerata una delle roccaforti del gruppo islamico Boko Haram, l’esercito avrebbe giustiziato circa 40 giovani musulmani. A riferirlo alcuni testimoni diretti, che dichiarano: "Sono arrivati numerosi, hanno ordinato alla gente di uscire. Poi hanno separato i giovani dai vecchi, quindi abbiamo sentito i colpi di arma da fuoco”. (Fonte ANSA)

L'imam Malam Aji Mustapha racconta di aver visto quattro dei suoi figli uccisi davanti ai suoi occhi e aggiunge che “solo nella mia strada, sono stati uccisi 11 ragazzi: nessuno ci ha fornito una spiegazione.” Secondo il racconto dell’iman, l’esercito avrebbe fatto irruzione subito dopo la preghiera, portando tutti in un campo. Lì, dopo aver fatto sdraiare tutti a terra, l’esercito avrebbe iniziato l’identificazione di tutti per poi portare via alcuni ragazzi. Quindi si sono uditi gli spari.

Questa tremenda rappresaglia arriva all’indomani di una delle più importanti aperture fatte dal Boko Haram. Per bocca del suo leader, Adu Mohammed Abdulaziz, il gruppo islamico sarebbe pronto ad aprire negoziati di pace, a patto vengano rispettate due semplici condizioni, la prima è che i colloqui vengano fatti in Arabbia Saudita, la seconda è che avvengano alla presenza dell’ex colonnello di fede musulmana, Muhamed Buhari.

Noi non stiamo cercando di sfidare lo Statocome la gente va raccontando”, a dichiarato Adu Mohammed Abdulaziz “bensì le forze di sicurezza che uccidono i nostri affiliati, i nostri bambini e le nostre mogli. Se il governo è sincero, questi attacchi devono finire”.

Secondo alcuni analisti “la richiesta di Buhari come mediatore potrebbe significare che la volontà di dialogo è reale. Come quasi tutti i nigeriani del nord, Boko Haram crede che Buhari sia un musulmano fedele che non può in alcun modo essere convinto dalla politica a tradirli”.