venerdì 31 gennaio 2014

Riflessioni sulla legge elettorale

POLITICA - Come molti già sanno, esiste un accordo per una nuova legge elettorale, ottenuto da una mediazione tra il Pd, Forza Italia ed il Nuovo CentroDestra. Questo accordo, fortemente voluto dal neo segretario del Pd Matteo Renzi, ha una impostazione maggioritaria e dovrebbe consentire, secondo i promotori, di evitare governi di larghe intese, visto che al primo classificato andrà un sostanzioso premio di maggioranza. Non entro nello specifico perché i dettagli sono su tutti i giornali, mi limito solo a due o tre osservazioni.

La prima; questa legge non è perfetta, penso sia migliorabile, ma la considero certamente migliore del Porcellum e/o della legge che avremmo utilizzato dopo la sentenza della Corte Costituzionale. A mio parere questa legge ha un grande pregio, garantisce un premio di maggioranza a chi vince. Sembra l’accordo verrà chiuso con una soglia del 37% per garantire il premio di maggioranza (o altrimenti, se nessuno raggiunge il 37%, ballottaggio tra le prime due coalizioni). Insomma, non avremo larghe intese, inciuci, accordi sottobanco. O comunque, se accordi verranno, saranno alla luce del sole e non frutto di chissà quali patti occulti.
Tradotto, se il Pd, o Forza Italia, o il Movimento 5 Stelle raggiungessero il 37 per cento (oppure vincessero il ballottaggio) verrebbero messi nella condizione di poter governare, senza dover essere costretti dai numeri a contrattare con altre forze politiche. Concordo con Renzi quando afferma di scrivere le regole con Berlusconi per poi non doverci governare in futuro.
Seconda osservazione. Come al solito, il Movimento 5 Stelle parla di golpe, di legge fatta contro di loro, come sempre il solito repertorio di parole a vanvera, oltretutto poco chiare. La legge elettorale non è contro nessuno. Se il Movimento si meriterà il voto degli elettori, potrebbe vincere e governare. A mio parere, il Movimento è terrorizzato da un fatto: essendoci un vincitore chiaro, non potrà gridare all’inciucio e perderà così l’unica ragione d’essere della sua strategia politica. Non potendo dare colpe all’inciucio, dovranno fare opposizione sul serio e non vedremo più le scene di  questi giorni, tra occupazioni dell’aula, boia chi molla, offese gratuite. Insomma, siccome il Movimento sembra che non voglia né governare né assumersi responsabilità di essere una opposizione costruttiva e dialogante, sembrano terrorizzati dall’idea che magari Renzi possa vincere le elezioni e magari possa anche essere messo in condizioni di governare. Aggiungo che, per l’ennesima volta, il Movimento 5 Stelle ha rifiutato ogni proposta per sedersi al tavolo dove si facevano le regole del gioco. Potevano con un briciolo di cervello e con meno arroganza contribuire alla proposta di una nuova legge elettorale, hanno scelto di non farlo. Contenti loro, ma non si lamentassero.
Terza considerazione. I piccoli partiti si lamentano  per la soglia di sbarramento al 4.5% che probabilmente lascerebbe fuori dal Parlamento molti di loro. Confesso di non avere molta stima dei piccoli partiti, non tanto dei loro elettori, ma dei comportamenti che i loro dirigenti hanno avuto negli ultimi anni.  Mi spiego con degli esempi concreti. A mio parere, negli ultimi 20 anni, uno dei governi migliori è stato quello di Romano Prodi, anzi direi entrambi i Governi Prodi. Senza entrare nel dettaglio, ricordo Governi messi in enorme difficoltà dai ricatti di Mastella o Dini al Centro, o di Diliberto e Pecoraro Scanio a sinistra. Rossi e Turigliatto, deputati in minoranza già in partiti poco rilevanti come i Comunisti Italiani o Rifondazione Comunista, misero in enorme difficoltà alleanze di Governo.
Un discorso simile si può fare per il Centrodestra. Per tutto il male che io possa pensare di Berlusconi, alla fine il suo ultimo Governo è caduto a causa della mancata fiducia da parte di gruppuscoli della sua maggioranza, magari deputati eletti nel Pdl che dall’oggi al domani avevano fondato un movimento o un partito, spesso in rappresentanza di loro stessi.
(Ricordo una votazione di fiducia, quella volta favorevole a Berlusconi, in cui Francesco Pionati, unico rappresentante in Parlamento della Adc – Alleanza di Centro per l’Italia, disse in Parlamento: Noi, Presidente, siamo con lei).
Concludo. Immagino che con la nuova legge elettorale il potere ricattatorio dei piccoli partiti è destinato ad aumentare e non a diminuire. Provo a spiegare il perché. Prendiamo come riferimento uno dei tanti sondaggi condotti in questo periodo.

http://news.supermoney.eu/politica/2014/01/sondaggi-politici-de-il-mattinale-centrodestra-in-vantaggio-al-28-gennaio-2014-0059713.html

Utilizzo una casa sondaggistica storicamente vicina al CentroDestra, ma comunque questo è indifferente per il mio ragionamento. Premessa, le coalizioni sono forzate, nel senso che si danno per buone quelle delle scorse elezioni e non è affatto detto che si tornerà al voto con le stesse alleanze. Ciò detto, la Ghisleri dà il Centrodestra in vantaggio con il 33.7 ed il Centrosinistra ad inseguire con il 32.5. Altre case sondaggistiche danno in vantaggio il Centrosinistra, quasi tutte attestano il Movimento 5 Stelle come terzo polo al 20-22%. Insomma, è prevedibile una lotta serrata, a colpi di poche migliaia di voti per il primo posto. Cosa comporta questo? Comporta che anche se il Pd è attestato al 28.5% non può fare a meno del 3.2% di Sel. Lo stesso ragionamento vale per Forza Italia, che non può fare a meno del 3 4 o 5% del nuovo centrodestra, del 4% della Lega e cosi via. Allarghiamo lo sguardo al Centro, abbiamo Scelta Civica che gli ultimi sondaggi danno all 1.5% e l’Udc che viene dato tra il 2 ed il 3%. Aggiungiamo il nuovo partito dei Popolari per l’Italia. Insomma, forze ad oggi numericamente deboli, ma chissà, magari quell’1% potrebbe essere determinante per spostare l’esito della vittoria da una parte o dall’altra, quindi già mi immagino che i piccoli partiti saranno pronti a tirare sul prezzo, a contrattare duramente con i più grandi per garantire i loro voti. Per fare un esempio concreto, già mi vedo Mario Monti, che dall’alto del suo 1% ( aveva preso l’8.7 alle ultime elezioni, in meno di un anno ha perso milioni di voti) dirà al Pd che viaggia verso il 30% che se vogliono i loro voti devono rinunciare a quelli di Vendola, già mi vedo Casini che storcerà il naso di fronte alla Lega. Logiche legittime, per carità, nessuno deve essere costretto ad alleanze forzate, mi chiedo però se sia giusto che un partito con pochi elettori debba condizionare l’intera Campagna Elettorale.
In conclusione, penso che la legge elettorale è importante, ma ancor più importanti e decisivi siamo noi cittadini, che col nostro voto possiamo spostare equilibri, cambiare l’esito dei sondaggi, possiamo determinare cambiamenti politici e sociali.
Mario Scelzo

giovedì 30 gennaio 2014

FCA – Fabbrica Cosmopolita di Automobili?

ATTUALITA' - In occasione del primo CdA successivo alla fusione formale tra FIAT e Chrysler, Sergio Marchionne e John Elkann hanno annunciato che il nuovo nome del gruppo sarà FCA (Fiat Chrysler Automobiles). Non è poi così fantasioso (il precedente era FGA – Fiat Group Automobiles), e del resto, questo nome non è un marchio commerciale, bensì solo “burocratico”. Non lo vedremo mai su un'autovettura, ma solo sulle pagine dei giornali e sui documenti aziendali.

La vera novità, e questo fa davvero effetto, è che la società non avrà sede in Italia, ma neppure negli USA. Mentre tutti si chiedevano se la sede sarebbe stata a Torino oppure a Detroit, la sede legale sarà nei Paesi Bassi. E ci sarà una sede "fiscale" nel Regno Unito. Una scelta molto razionale ma che lascia perplessi: nel mondo dell'auto ci sono state molte acquisizioni, fusioni ed alleanze tra aziende di paesi diversi, ma nessuno aveva mai "osato tanto".
 
Diversamente da altri prodotti industriali, infatti, l'auto ha sempre avuto una forte connotazione emotiva. Emotività fa anche rima con nazionalità. Tutti, parlando di auto, abbiamo parlato, almeno una volta, di auto “italiane”, “tedesche” e “francesi” generalizzandone le caratteristiche, al di là del marchio sul cofano o dello stabilimento di produzione. Jaguar, pur essendo da anni di proprietà indiana, ha tuttora sede in Inghilterra. Volvo, di proprietà cinese, continua ad essere legalmente svedese. C'è quindi chi ritiene che la nazionalità sia ben importante.
Sergio Marchionne la pensa diversamente, ed ha scelto di avere le sedi del gruppo lì dove si ritiene sia più conveniente, disinteressandosi della tradizione ma anche delle sedi operative/amministrative (che continueranno ad essere Torino e Detroit). Del resto, che si disinteressasse della tradizione lo avevamo già compreso parlando della triste sorte del marchio Lancia. E dire che da quando anche l'Alfa Romeo era diventata parte del gruppo, gli automobilisti parlavano indifferentemente di “auto italiana” e di “auto del gruppo FIAT”. Visto che dal un punto di vista pratico le due definizioni indicavano la stessa cosa.
 
Da oggi in poi, le auto del gruppo saranno ancora considerate “italiane”? Certo, in Italia saranno disegnate e, in buona parte, anche fabbricate. Ma il fatto che la società abbia scelto di essere “cittadina olandese”, potrebbe essere visto come uno schiaffo all'Italia. E' vero, noi italiani non abbiamo una grande reputazione del nostro paese, siamo soliti criticarlo pesantemente, sostenere che siamo arretrati e che all'estero si vive e si lavora meglio. Ma una scelta così forte, da parte di un'azienda che è stata sempre considerata una “bandiera”, può generare una reazione di orgoglio. Speriamo che non ci siano cali delle vendite "per antipatia" che proprio gli operai delle fabbriche italiane andrebbero a subire.
Sarà strano, sicuramente, parlare di FIAT non più come la più grande delle nostre (piccole) multinazionali, la capofila di un intero sistema industriale. Sarà strano considerarla uno dei tanti gruppi industriali esteri che hanno uffici e/o fabbriche nel nostro paese. Una azienda decisamente più lontana dal mondo politico, industriale e sindacale italiano. Si corona così il processo iniziato con il divorzio da Confindustria, si afferma la logica secondo cui FIAT ritiene di poter investire le proprie risorse ovunque nel mondo, senza riservare all'Italia una particolare priorità.
Su questo ultimo punto è prevedibile che si svilupperanno forti polemiche. FIAT all'Italia ha dato tanto, ha dato lavoro a generazioni di italiani ed ha permesso lo sviluppo di molte altre aziende intorno a sé. La paura è che gradualmente tutto ciò vada a finire. La paura che FIAT, ora che è “straniera”, diventerà spietata nel valutare la competitività del paese e nell'abbandonarlo, se non la riterrà adeguata. Non può piacere che, in questo momento difficile per il paese, una azienda di punta si metta da parte in questo modo. Un modo forse non ingiusto, ma sicuramente indelicato.
 
FIAT ha anche avuto tanto dall'Italia. A parte la cassa integrazione percepita, l'azienda ha fruito negli anni di molti aiuti di Stato, legati soprattutto all'apertura degli stabilimenti del centro-sud. Non sembra che Marchionne abbia tenuto conto di questo, nel chiudere Termini Imerese, ma si spera che i sacrifici siano finiti. Tutti i piani di rilancio recentemente anticipati sono ancora in piedi, per quel che è possibile sapere.
 
Un ultimo aspetto che potrebbe ingenerare polemiche è la scelta di avere sede "fiscale” nel Regno Unito. Lì, nel recente passato, hanno trasferito la loro residenza fiscale numerosi personaggi del mondo dello sport e dello spettacolo, con l'esplicita ragione di risparmiare sulle imposte. Per carità, il Regno Unito non è certo un paradiso fiscale, tuttavia la mentalità anglosassone così diversa da quella continentale da risultare molto adatta alle grandi aziende oppure ai privati con un reddito molto alto.
Sembra però un altro schiaffo all'Italia. Sembra voler dire “non pagheremo le tasse a uno Stato che non ci piace”. Qualcosa di simile alla scelta dell'attore Depardieu di diventare cittadino russo. Non solo una scelta di pura convenienza, ma anche una scelta politica e polemica con il suo paese d'origine. E' possibile che qualche esponente politico chieda di istruire un procedimento contro il gruppo per evasione fiscale? Sarebbe solo l'ennesimo braccio di ferro tra FIAT ed un sistema istituzionale con cui non sembra riuscire a dialogare. Al punto di rinunciare alla cittadinanza.
Sarà la globalizzazione, sarà l'Europa senza frontiere, ma FIAT è ormai una azienda cosmopolita.
  
Alessio Mammarella

mercoledì 29 gennaio 2014

Il decreto IMU-bankitalia

POLITICA -
In queste ore è in discussione alla Camera dei Deputati il decreto chiamato IMU-Bankitalia. Il decreto deve essere convertito entro oggi altrimenti saranno passati i 60 giorni dalla firma governativa e quindi decadrà. Questo porterà, come primo risultato, la reintroduzione della seconda rata dell’IMU (naturalmente il governo potrà fare un nuovo decreto al prossimo consiglio dei ministri).

Il decreto, che ha per titolo completo “Disposizioni urgenti concernenti l'IMU, l'alienazione di immobili pubblici e la Banca d'Italia”, è fortemente osteggiato dal MoVimento 5 Stelle che sta cercando di ritardare le votazioni per farlo decadere, il M5S si dice contrario soprattutto all’ultima parte del decreto (quello relativo alla Banca D’Italia) accusando il governo di privatizzare la Bankitalia e di fare un regalo alle banche che detengono delle quote nell’azionario della Banca nazionale.

Non è facile entrare nel merito della questione senza rischiare di usare troppi tecnicismo, ma vale la pena fare un po’ di chiarezza. La Banca d'Italia fu istituita nel 1893 con la fusione di quattro banche d'emissione e nel 1926 ebbe il monopolio dell'emissione di denaro. Nel 1936 la Banca divenne istituto di diritto pubblico: contestualmente le sue quote proprietarie furono trasferite a banche pubbliche, per un valore nominale di 300 milioni di lire (da all’ora il capitale della Banca non è mai aumentato).

La legge 30 luglio 1990, n. 218, comunemente chiamata Legge Amato, dall’allora ministro del governo Andreotti IV, in vista dell’attuazioni di Basilea I, trasformò gli istituti di credito di diritto pubblico in banche private (spa) e quindi di fatto possiamo dire che Banca d’Italia era finita in mani private (nel 1990 e non oggi) (nel sito della Banca d'Italia c'è la lista degli istituti di credito azionisti ).

Che cosa vuole fare dunque il decreto del governo Letta?

Le novità principali sono due: l’aumento di capitale della Banca Centrale (ferma, come abbiamo detto al 1936 che dovrebbe arrivare a 7.5 miliardi di euro) e mettere un tetto massimo alle quote di partecipazione alla Banca stessa (al massimo, se il decreto entrasse in vigore, la partecipazione di ogni singolo istituto di credito privato potrà avere non più del 3% del pacchetto azionario).

Quali saranno le conseguenze di queste novità? Sicuramente la Banca d’Italia si rafforzerebbe con una solidità economica maggiore e aumenterebbero il valore delle quote azionarie. Questo però porterà agli istituti di credito che posseggono quote di capitale all’interno della Banca ad avere quote con un valore maggiore rispetto al passato ed essendo obbligate a vendere (facciamo un esempio, Intesa San Paolo oggi detiene il  30,3% delle quote quindi sarà costretto a cedere oltre il 27%) “gli enti partecipanti potranno così registrare - pur non intascando nell'immediato nemmeno un centesimo - enormi plusvalenze sui loro bilanci, e lo Stato in cambio otterrà, grazie alla tassazione di questi guadagni, fino a 1 miliardo di euro.” Spiega Daniele Scalea, Direttore Generale Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie, condirettore della rivista Geopolitica, in un articolo sull’Huffington Post.

Il vero problema però non è il regalo che si fa alle banche a mio avviso ma quello di dare un vero aiuto di stato (contro le leggi sulla concorrenza dell’Unione Europea) mascherato da vendita di quote.

C’è però un aspetto positivo. Il potere delle banche private diminuirebbe sensibilmente, per altro la stessa banca nazionale potrebbe riacquistare le quote in eccesso delle banche private costrette a vendere (e forse, con questa operazione la banca potrebbe riavere la maggioranza delle quote ritornando ad avere una maggioranza statale).

martedì 28 gennaio 2014

L’insulto non è un ragionamento politico.

POLITICA - In queste ore la notizia del deputato del MoVimento 5 Stelle, Sorial, che da del boia al Presidente della Repubblica sta diventando la notizia del giorno.

Questo atteggiamento può essere deplorevole ma anche controproducente per alcuni motivi.

Proviamo ad andare per ordine:

Alla Camera è in discussione il decreto Imu-Bankitalia. Il decreto deve essere convertito in tempi rapidi (entro oggi per dare la possibilità a Napolitano di firmarlo) altrimenti decadrà. Il MoViemnto 5 Stelle, per farlo decadere, sta portando avanti alla Camera una dura battaglia utilizzando l’unico metodo consentito: l’ostruzionismo con la richiesta di centinaia di Ordini del giorno che stanno impedendo di fatto il proseguimento della votazione. Da qui la minaccia del Presidente della Camera di utilizzare la “tagliola” prevista dal regolamento della Camera, far decadere tutti gli ODG e di andare dritti alla votazione. Durante una conferenza stampa organizzata dal MoViemnto per denunciare questo atteggiamento l’onorevole Sorial se ne esce con il “boia Napolitano avalla queste posizioni.”

La strategia grillina in questi ultimi mesi è chiara, attaccare duramente il Presidente della Repubblica cercando di dividere l’opinione pubblica. Sia chiaro, chiunque può avere un’opinione sull’operato del Presidente della Repubblica, ma è indubbio che rappresenti l’Italia ed il suo ruolo istituzionale deve essere rispettato. Si può criticare ma si deve rispettare.

C’è poi, a mio avviso, un problema di lessico. L’insulto non è mai un ragionamento politico, anzi alle volte delinea l’assenza del ragionamento stesso. Quando si hanno poche idee e proposte si attacca e si insulta l’avversario cercando di spostare l’attenzione da se (e dalla mancanza di idee) all’avversario. Urlare di più e farsi beffa delle istituzioni porta poi a dividere l’opinione pubblica rafforzando magari i tuoi sostenitori ma anche rafforzando i tuoi avversari. In queste ore ci sono stati attestati di solidarietà a Napolitano. Il Presidente del Consiglio per esempio scrive “L'indegno attacco M5S a Napolitano è punto di non ritorno di deriva estremista inaccettabile per chiunque pratichi i principi democratici.” Ma è solo un esempio tra i tanti politici e cittadini comuni che si sono schierati dalla parte di Napolitano

Sorial in questo caso sbaglia due volte, la prima nell’insultare il Capo dello Stato, dall’altra spostando l’attenzione e mettendo di fatto messo in secondo piano i motivi che avevano spinto il MoVimento ha convocare la conferenza stampa.

lunedì 27 gennaio 2014

Omologazione culturale

ATTUALITA' - Oggi, un giorno come tanti, passeggiavo per Trastevere. E’ un quartiere che per vari motivi frequento costantemente da almeno 20 anni, pochi per la storia di un quartiere già conosciuto ai tempi dell’antica Roma (Tras tevere equivale ad oltre il Tevere, era la parte periferica, il Centro, per capirci la zona dei Fori e del Campidoglio rimane dall’altra sponda del fiume), ma abbastanza per farmi notare un radicale cambiamento di pelle.

Premetto subito che la mia non sarà una riflessione su Trastevere, ma vorrei allargarla alle città del mondo, sempre più metropoli anonime e standardizzate.

Ai margini di Trastevere, su via della Lungara, si trova la John Cabot University, Università Americana che ospita molti studenti di passaggio nella Capitale. In qualche modo, la presenza di studenti, oltre al considerevole afflusso di turisti, contribuisce al cambio di pelle del quartiere.

Torniamo alla mia passeggiata. In pochi metri, una bisteccheria americana, quattro o cinque bar/paninoteche che definirei finte, con panini prestampati che potresti trovare identici in molte città occidentali, una lavanderia a gettoni, qualche ristorante italiano  ( del genere che non consiglierei a nessuno ) con le insegne a mo’ di turista occasionale. Ho provato una sensazione di disagio, nel senso che si percepiva come una mancanza di coerenza del paesaggio. Ero a Trastevere, uno dei quartieri simbolo di Roma, potevo trovarmi in qualsiasi parte del mondo.

Identica sensazione di disagio nelle vie attorno a Piazza Navona. American Bar, lavanderie a gettoni, gelaterie pessime, catene di negozi per turisti che prendono il posto dei banchi vecchi che davano il nome alla medesima via.

Pochi mesi fa ero a Firenze. Città incantevole, tra le più belle del mondo. Anche li, però, nella centralissima via che unisce la Piazza del Duomo a Piazza della Signoria, una sensazione sgradevole. Gli stessi negozi che avrei trovato a Roma, a Milano, che ho visto a Londra, che molto probabilmente potrei aver visto a Berlino o che vedrò a New York.

Vado al sodo. Credo che ogni città abbia un anima ed una specificità culturale. Se la città perde la sua anima, ne risente tutta la popolazione. A mio parere, se i corsi delle principali città italiane hanno tutte le stesse vetrine della Tim, di Intimissimi, della Benetton, se a Roma come a New York come a Firenze trovo il negozio della Microsoft, della Apple e della Walt Disney, la città è come svuotata della sua linfa vitale.

Qualche studioso di cui ora non ricordo il nome ha parlato di società di Mac Mondo, una sorta di omologazione simile al Mc Donald’s, città fast-food dove paghi per avere gli stessi servizi.

Attenzione. Questa mia riflessione non vuole essere un invito a radicarsi nella difesa delle proprie tradizioni. Non credo esista nulla di peggiore e più stupido di una società chiusa, sulla difensiva, impaurita dalla diversità e preoccupata del “nemico”, dello straniero visto come invasore. Considero ad esempio Londra una delle più belle città del mondo proprio perché al suo interno convivono miscelate genti di terre diverse, ed ormai non esiste un londinese britannico doc, ma il londinese è una sorta di cittadino del mondo.

Come dicevo, no alle porte chiuse, ma a parer mio, dovremmo saper dire di no alla omologazione capitalista che rende culturalmente simili tutte le nostre città. Senza eccedere troppo nella retorica, sarebbe saggio conservare e tramandare le tradizioni di una città, siano esse religiose, culturali, culinarie. Se passeggio per Trastevere vorrei trovare le vecchie botteghe artigianali, se passeggio per San Gregorio Armeno a Napoli pretendo di trovare i pastori del presepe ( e pretendo di mangiare una vera Pizza Napoletana, non quelle schifezze precotte che puoi trovare da Buenos Aires a Tokyo).

L’Italia ha la fortuna di avere un patrimonio storico artistico di valore immenso, ha anche la fortuna di conservare borghi medievali, città belle, piene di storie e di tradizioni. Siena, Assisi ( apro parentesi, esiste anche un fenomeno di marketing religioso che a mio parere imbruttisce alcuni Santuari, i Mercanti sono rientrati nel tempio ), Lucca, Gallipoli, Cefalù, luoghi come questi sono la bellezza ed il futuro del nostro paese. Manteniamoli vivi, autentici, difendiamo le nostre città dalla omologazione culturale che le rende tutte una uguale all’altra.

A mio parere, il Governo in generale, ed i Comuni nel particolare, dovrebbero in qualche modo tutelare i piccoli negozi, le botteghe storiche, e non incentivare invece la costruzione di anonimi centri commerciali, moderne piazze virtuali che spesso diventano luoghi di aggregazione ma che sanno di freddo, di finto.

Noi, come cittadini, penso abbiamo il dovere di conoscere la storia del nostro territorio, e penso dovremmo rimettere gli anziani al centro della società. Gli anziani sono la memoria di una città, ne rappresentano il capitale umano. Una società giusta non rinchiude gli anziani in squallidi dormitori periferici, ma li tiene in casa, li mette al centro della vita ed anche fisicamente al centro del quartiere.

Se non lo abbiamo mai fatto, facciamoci raccontare dai nostri nonni com’era il nostro quartiere 50 60 70 anni fa, facciamo una ricerca su quelle che erano le tradizioni e le usanze del nostro territorio. Ripeto, questo non deve servire a farci chiudere le porte, è anche giusto che i luoghi cambino, spesso anzi gli stranieri contribuiscono a ridare linfa anche culturale ad un territorio, anche loro però è giusto conoscano la realtà in cui si stanno integrando.

Ognuno di noi può contribuire a rendere la propria città più bella ed accogliente, ognuno di noi può vivere meglio nel proprio quartiere se ne conosce la storia e se contribuisce a farne un luogo animato e vitale. Compito della Politica è di aiutare le città ad essere luoghi vivibili, accoglienti, ma con una identità specifica e con un anima vitale.

Mario Scelzo

giovedì 23 gennaio 2014

Lancia: dal blu al blues

ATTUALITA' - In un recente articolo avevamo commentato la notizia dell'acquisizione di Chrysler da parte di FIAT, ed avevamo presentato anche delle idee sulla futura strategia del gruppo. Le nostre ipotesi sono state in gran parte confermate da John Elkann e Sergio Marchionne nella conferenza stampa che hanno tenuto a Detroit, ormai da padroni di casa, all'apertura del salone dell'Auto. Adesso, finalmente, tocca all'Italia, ai suoi marchi ed ai suoi stabilimenti produttivi. Ma, un momento... Lancia?
Il marchio “blu”, che ha fatto la storia dell'automobile, sembra interessare poco a Sergio Marchionne. Per il manager, Lancia è solo “una marca che non vende”, o peggio “una marca che non può vendere”. Approccio superficiale secondo i “lancisti”. Alcuni sono anziani, e sono stati clienti soddisfatti in passato. Molti altri sono giovani, erano bambini o adolescenti quando la Lancia vinceva i rally, anzi li dominava. Sono più di quanto non si pensi: una intera generazione è cresciuta con quel sogno e non riesce ad accettare che il marchio muoia senza far nulla. Il web si è riempito di blog e di pagine anti-Marchionne sui social network. Spesso la vittima dell'ironia e delle critiche è la Ypsilon, piccola di casa Lancia, che viene criticata anche per l'immagine prevalentemente “femminile” e non sportiva.
I freddi numeri sembrano dar ragione al manager: Lancia vende ben poco, quasi solo in Italia e quasi solo Ypsilon. Quello che i numeri non dicono è però che l'ultima gamma Lancia è composta in gran parte da auto americane, grosse e in parte obsolete, che si pensava di poter vendere in Europa usando una “etichetta” italiana. Sarà vero che i mezzi a disposizione non erano molti, ma non si può considerare un perdente chi non viene messo in condizioni di competere. Sgradevole paradosso, si è messo il marchio Lancia alla vecchia Chrysler 200 e le si è dato anche un nome nobile, Flavia. Un nome usato quando le Lancia erano concorrenti di Jaguar e Mercedes, auto senza compromessi, originali nella tecnica e riferimento per lo stile. Quasi un oltraggio, abbinare una vettura tanto ordinaria ad un nome tanto glorioso. A questo salone di Detroit viene presentato il nuovo modello di Chrysler 200, ben fatto e decisamente più adeguato allo scopo, si precisa che questa vettura non sarà importata in Italia. Se la gestione Marchionne ha un lato fantozziano, non c'è dubbio che sia questo. Ma il “direttore galattico” ha deciso: la Ypsilon sarà l'unica auto a portare il glorioso marchio blu. E anche l'ultima, perché dopo lascerà il campo a un ennesimo modello della già articolata “famiglia 500” della FIAT.
Nel frattempo, gli appassionati piangono già la fine di Lancia, e non resta che commemorare ciò che resta di un passato mitico. La Flaminia presidenziale, esempio di eleganza che nessuna auto moderna sembra in grado di eguagliare. La Beta Montecarlo e la Stratos, sportivissime degli anni '70. La Delta, la “deltona” a trazione integrale con la sua più famosa livrea “Martini Racing”. Forse fu fatale, nel destino di Lancia, l'acquisto di Alfa Romeo da parte di FIAT. Alfa e Lancia facevano auto dello stesso tipo, ed i manager FIAT trascorsero tutti gli anni '90 a riflettere su come differenziare le due marche. L'idea di base era che la Alfa dovessero essere sportive e le Lancia eleganti. Ma se le Alfa erano mal rifinite per non rubare clienti a Lancia e le Lancia erano fiacche per non rubare clienti ad Alfa, alla fine questa politica si rivelò suicida e altre marche rubarono i clienti a tutte e due producendo auto che erano semplicemente di qualità, quindi con gli interni e le motorizzazioni migliori possibili. L'unica differenza tra Alfa Romeo e Lancia è che la prima è riuscita comunque a produrre dei modelli di successo, come la 156 e la 147, e questo la fa percepire come una marca ancora viva, seppure in crisi. Lancia, invece, è percepita come definitivamente caduta, in particolare dopo l'insuccesso della Thesis, la grande berlina che doveva segnare il ritorno nel mercato delle auto di fascia alta. Da allora solo auto piccole e medie, versioni “eleganti” dei corrispondenti modelli FIAT. Fino al grossolano tentativo di importare auto USA ed alla decisione odierna di chiudere.
Eppure gli appassionati hanno le idee chiare. Loro vogliono auto sportive. Vogliono la nuova Fulvia, presentata ormai dieci anni fa come semplice showcar. Vogliono la nuova Stratos, che l'ex pilota Michael Stoschek produce e vende da se (usando motore e componentistica Ferrari!) Vogliono, magari, la nuova Delta proposta dal giovane designer indipendente Angelo Granata. Ma a Torino, dove hanno in portafoglio già Ferrari, Maserati e Alfa, di un altro marchio di auto sportive non vogliono proprio sentir parlare. E allora quelli dei fan sono solo sogni forse, sogni tristi, blue, blues. Lancia era blu, e sarà solo blues...

Alessio Mammarella

mercoledì 22 gennaio 2014

Passi avanti per lo Ius Soli

POLITICA - In questi mesi di governo Letta il Ministro per l’integrazione Cécile Kyenge è stato tra i più bersagliati. In molti casi solo per il colore della sua pelle, in una piccola percentuale di casi per lo scarso lavoro del ministro. Ma a fine Gennaio dovrebbe iniziare l’iter del ddl che potrebbe portare in Italia la riforma della cittadinanza per i bambini nati in Italia presentato dal governo e fortemente voluto dal Ministro.

Il disegno di legge dovrebbe essere una sintesi tra l’attuale normativa (è italiano chi è figlio di italiani) ed uno ius soli secco (è italiano chi nasce sul suolo italiano). Il Ministro lo definisce uno Ius Soli temperato, molto simile allo Ius Culture pensato da Andrea Riccardi, precedente ministro dell’integrazione.

“Quando si parla di questo tema,” spiega il Ministro “anche per propaganda politica, viene spesso fatto passare che le nostre proposte sono di uno ius soli secco, cioè quello per cui è italiano chiunque nasca nel nostro paese.” Invece, prosegue la Kyenge: “Noi parliamo di ius soli temperato. Per chi è nato in Italia, la cittadinanza si ottiene quando i genitori immigrati hanno fatto un percorso di integrazione. Oppure, se i bambini arrivano in Italia, possono diventare italiani dopo un certo percorso scolastico. Il nostro paese sta andando sempre più verso questa posizione, non vogliamo dare immediatamente la cittadinanza ai nuovi arrivati.”

Il ministro spiega anche le ragioni della scelta di un ddl: “Abbiamo scelto un ddl del parlamento - spiega - perche' il percorso deve essere il piu' possibile condiviso da tutte le forze politiche e non deve cambiare anche se cambia il governo.”

Tutto questo quando dal Senato arrivano le prime, se pur tiepidi, buone notizie sull’eliminazione del reato di clandestinità. Il realtà il testo licenziato al Senato è una mediazione tra quello proposto in Commissione dal M5S (che abrogava totalmente il reato di clandestinità) e le posizioni contrarie della parte di a destra dell’emiciclo. A portare avanti la trattativa il sottosegretario alla Giustizia Cosimo Ferri (tecnico) che spiega come “Da un lato il reato viene abrogato, dall’altro viene trasformato in illecito amministrativo.” Il Senato ha approvato l’emendamento con 182 voti a favore, 16 contrari e 7 astenuti.

L’emendamento, in concreto prevede che l’immigrazione clandestina non sia più reato ma torni a essere un illecito amministrativo, mantenendo valenza penale solo per le violazione di provvedimenti amministrativi

AGGIORNAMENTO:
Ti potrebbe interessare il dibattito recente su questo tema sollevato da Andrea Riccardi:
Il rinvio dello ius soli è una sconfitta per i cattolici

martedì 21 gennaio 2014

L'agenda di Renzi e le dimissioni di Cuperlo

POLITICA - Sicuramente bisogna riconoscere un merito a Renzi, quello di essere propositivo. In poco più di un mese dalla vittoria delle primarie, infatti, il neo segretario del PD sembra almeno dare l’impressione di guidare un partito non più inseguitore su molti temi ma inseguito. Se infatti si può criticare Renzi nel merito delle sue proposte sicuramente non si può criticare il metodo.

L’esempio lampante è la proposte sulla legge elettorale.  Poche settimane fa si era dichiarato disponibile ad un confronto con tutte le forze politiche avanzando tre distinti modelli sui quali discutere. Poi un giro di consultazioni con le forze che erano disposte a parlare, l’incontro con Berlusconi sabato al Nazzareno, una proposta articolata votata nella direzione del PD ieri (con 111 voti favorevoli e una trentina di astenuti). In sintesi in poche settimane il PD ha una sua proposta di Legge elettorale. Renzi in poche settimane ha fatto molto di più (su questo tema) di qualsiasi segretario del PD. Se l’Italicum diventerà legge elettorale è ancora presto per dirlo ma almeno il segretario del PD ha una linea chiara.

Per questo non si capiscono le dimissioni da presidente del PD di Gianni Cuperlo. Nella lettera scritta a Renzi, e postata su Facebook, l’ormai ex Presidente del partito Democratico denuncia fortemente il metodo con cui Renzi ha portato avanti la discussione all’interno del PD, accusando il segretario di aver “risposto a delle obiezioni politiche e di merito con un attacco di tipo personale.” Spiegando che si dimetteva perché “colpito e allarmato da una concezione del partito e del confronto al suo interno che non può piegare verso l’omologazione, di linguaggio e pensiero.

Mi dimetto perché voglio bene al Pd e voglio impegnarmi a rafforzare al suo interno idee e valori di quella sinistra ripensata senza la quale questo partito semplicemente cesserebbe di essere.

Mi dimetto perché voglio avere la libertà di dire sempre quello che penso. Voglio poter applaudire, criticare, dissentire, senza che ciò appaia a nessuno come un abuso della carica che per qualche settimana ho cercato di ricoprire al meglio delle mie capacità. Mi dimetto perché sono colpito e allarmato da una concezione del partito e del confronto al suo interno che non può piegare verso l’omologazione, di linguaggio e pensiero."
Cuperlo si lamenta di una mancanza di dialogo all’interno del PD su questo punto, ma vorrei chiedere all’ex presidente dove era quando Enrico Letta alla direzione del PD imponeva il voto di fiducia sulla Cancelieri?
Cuperlo, a mio avviso, invece di andare via dalla direzione di ieri, e poi rassegnare le dimissioni, poteva rispondere al segretario (per inciso, la frase incriminata di Renzi non mi sembra ne offensiva ne poco veritiera). Andare via e sbattere la porta non porterà mai a nulla di buono.
E poi, se Renzi da una parte ha imposto nessuna modifica all’Italicum bisogna sottolineare che la direzione (eletta con le primarie) riunita ieri ha confermato questa linea con una forte maggioranza.  

Per ora Renzi detta l’agenda e gli altri, molti anche dentro il suo partito, sono costretti ad inseguire.

Marò, un caso di (in)giustizia


ATTUALITA' - Due anni fa, una petroliera italiana, la Enrica Lexie, era in navigazione nell'Oceano Indiano. Cosa sia accaduto, in un giorno come tanti, non è ancora chiaro, malgrado siano trascorsi due anni di indagini controverse. Quello che è certo è che qualcuno si è avvicinato in modo veloce ed aggressivo alla petroliera, costringendo i militari a bordo, marinai appositamente imbarcati in funzione anti-pirateria, ad aprire il fuoco per indurre gli aggressori ad allontanarsi. Lo denuncia il diario di bordo della nave, che fa scattare subito l'allarme, avvisando la guardia costiera indiana. Ma nello stesso giorno c'è un pescatore che torna in porto e racconta di una grande nave, da cui sarebbero arrivati spari, che hanno colpito la barca e ucciso i suoi compagni di pesca. Gli orari dei due avvenimenti non coincidono, ma il giorno si, e secondo gli indiani, ciò è sufficiente a trovare una corrispondenza tra i due eventi. Nessuno ha dubbi che la nave sia proprio quella e non un'altra delle varie che stanno attraversando quel tratto di mare. E così la guardia costiera mente al capitano della nave italiana, chiedendogli di raggiungere il porto di Kochi per identificare dei pirati che sarebbero stati catturati. Solo che, quando arrivano in porto, gli italiani trovano una pessima sorpresa: la polizia sale sulla nave, per effettuare arresti e perquisizioni. Insomma di fronte a un atteggiamento collaborativo, gli italiani vengono sin dall'inizio trattati come delinquenti: comincia una storia che ha dell'allucinante.

Massimiliano Latorre e Salvatore Girone sono i più alti in grado fra i sei militari del nucleo militare di protezione presente sulla Erica Lexie. Si lasciano arrestare, non è neppure chiaro se si assumono ogni responsabilità per via del grado o perché effettivamente presenti ai fatti. Le autorità italiane intervengono subito affermando che, secondo le leggi e le consuetudini internazionali, le responsabilità dei due marinai andrebbero giudicate dalla giustizia militare italiana o al più da un tribunale internazionale. Tuttavia, i reclami del governo italiano cadono nel vuoto. La polizia del Kerala accusa gli italiani di omicidio. La tesi accusatoria si basa sulla testimonianza dell'ultimo pescatore superstite, che però non sa indicare con precisione se la nave che ha sparato su di loro fosse la petroliera Enrica Lexie. Si basa anche sulla raccolta di prove materiali, che ha del tragicomico. I cadaveri dei pescatori vengono prontamente cremati dopo autopsie sommarie, il peschereccio viene affondato subito dopo i rilievi. Di fatto, solo la polizia ha potuto studiare le prove, e nessun altro potrà farlo. Sulla perizia balistica, in particolare, i dubbi sono forti. Al centro di un piccolo giallo tra rivelazioni, smentite, rettifiche, alla fine sembra arrivare alla conclusione seguente: "Le armi del delitto sono state individuate, ma non trovate a bordo della nave. Devono essere state gettate in mare dopo il delitto." Ma perché tanto palese accanimento? I diplomatici italiani hanno sempre spiegato che il Kerala è uno stato di pescatori, che la popolazione è molto coinvolta emotivamente sul caso. Si auspicava di uscire da quello stato per portare la questione a livello federale.

Quando però la vicenda è passata in mano alla giustizia federale, le cose non sono cambiate più di tanto. In India, uno dei principali partiti è guidato da una italiana, Sonia Ghandi, vedova di Rajiv. I partiti indù, fortemente nazionalisti, odiano l'Italia perché odiano questa donna, e calcano la mano invocando pene severissime. Sperano che lei si sbilanci e magari mostri pietà verso i due militari, così da esporsi alle critiche di chi dubita della sua fedeltà all'India. Un gran bel problema politico, a cui si aggiungono gli errori della diplomazia italiana: su tutti, quello di pagare un risarcimento alle famiglie dei pescatori, come se i nostri militari fossero colpevoli. Di fatto, questo sarà usato nel processo come ulteriore prova a carico dei nostri militari. Altro errore, probabilmente, quello di volersi porre comunque in modo amichevole con l'India. Ora, a distanza di molti mesi sappiamo che questo atteggiamento era volto a salvaguardare gli affari di Finmeccanica nel paese asiatico. Ce lo dice l'ex ministro degli esteri, Giulio Terzi, costretto a dimettersi perché aveva cercato di non far rientrare i nostri militari in India, dopo l'ultima licenza. Egli accusa proprio gli ex colleghi di governo di aver anteposto gli affari alla vita dei nostri concittadini. Molti hanno pensato si riferisse all'ex ministro della difesa, che oggi è proprio un consulente Finmeccanica. La beffa è che la famosa commessa degli elicotteri, dopo la scoperta di succulente tangenti, è saltata ugualmente.

Oggi, dopo tanti tira e molla, i nostri militari sono quasi in vista del processo. Dopo due anni, nei quali hanno vissuto, salvo "licenza" natalizia, lontano dalle proprie famiglie. Le ultime indagini sono state affidate alla NIA, una sorta di FBI indiana. Si pensa di avere di fronte investigatori più professionali rispetto a quelli del Kerala, ma come si diceva prima molti accertamenti tecnici e scientifici sono ormai irripetibili. Il timore è che le conclusioni possano essere le medesime, solo che con una firma più "pesante" rispetto a quella dei primi inquirenti. Oltretutto, sulla testa dei nostri concittadini pende l'ipotesi della legge anti-pirateria. Una perfida beffa. Tra l'altro, questa legge comporta l'inversione dell'onere della prova. Detto in maniera semplice, significa che non è l'accusa a dover dimostrare la colpevolezza dell'imputato, ma il contrario: è quest'ultimo che deve dimostrare di essere innocente. Dulcis in fundo, la legge sulla pirateria prevede la pena di morte. E su questo punto si è mossa (finalmente!) l'Unione Europea, sinora fermando l'iter di un trattato commerciale tra UE ed India, almeno fino a che la sorte dei marò non sarà più chiara. Noi riteniamo improbabile che i nostri militari siano condannati alla pena capitale, come accadde ai poveri Sacco e Vanzetti, ma forse saranno comunque protagonisti, loro malgrado, di uno spettacolare processo farsa.

Alessio Mammarella

lunedì 20 gennaio 2014

Renzi, Berlusconi, e le (5) stelle stanno a guardare

POLITICA - Sabato si è tenuto l’incontro tra Renzi e Berlusconi, incontro che ha suscitato attese, ma anche malumori, code polemiche, ha generato un dibattito a tutto campo sul ruolo di Renzi, sulla volontà di Berlusconi, su 20 anni di Storia del nostro Paese. Tanti illustri commentatori hanno detto la loro, vorrei provare a dire la mia, calcolando vantaggi e svantaggi della mossa, certamente rischiosa, del Sindaco di Firenze.

Vado subito al sodo, a mio parere il giudizio su questo incontro potremmo darlo tra qualche mese. Renzi sta giocando a poker, se a seguito di questo incontro arriveranno risultati concreti (in sintesi, le riforme), avrà vinto abilmente la sua partita; Se per un qualsiasi motivo l’intesa raggiunta dovesse saltare, potremmo dire che il Segretario del Pd avrà rischiato troppo, e non mi stupirei fosse costretto a ridimensionare i suoi sogni di gloria.

Procederò per punti negativi e positivi, con alcune doverose premesse:

  •     Al di là di ogni schieramento politico, considero le cosiddette riforme ( Titolo V della Costituzione, Legge Elettorale, Senato) assolutamente necessarie. Se ne parla da anni, si sono succedute commissioni, comitati di saggi, sentenze, ma ad oggi, nessun risultato. Probabilmente tali riforme potrebbero essere la base per una rinascita socio-economica del Paese, credo che su questo dato esista una consapevolezza che va al di là della destra e della sinistra.

  •       A mio parere, oggi in Italia esistono tre gruppi politici di rilievo nazionale, più altri partiti che per peso politico non hanno oggettivamente una statura rilevante. Insomma, il nostro oggi è un sistema tripolare, con centrosinistra, centrodestra (considero Alfano una costola del centrodestra) e Movimento 5 Stelle che si dividono il 90% dei voti, ed agli altri partiti restano le briciole. Considero doveroso e necessario un dialogo tra questi tre gruppi politici.

  •     Ora, il Segretario del Partito Democratico ha lanciato le sue proposte per le riforme, a mio parere l’ideale sarebbe che a sedersi al tavolo delle trattative fossero in tre, ma, e sfido chiunque a contestare la mia affermazione, per l’ennesima volta il Movimento 5 Stelle ha dimostrato di non avere  a cuore gli interessi del paese, rifiutando non dico di dialogare, ma perfino di ascoltare le proposte del Partito Democratico. Confesso che sono veramente deluso dalla dirigenza del Movimento, che decide di non dare alcun peso al voto di nove milioni di persone. Giusto o sbagliato che sia il ragionamento di Grillo, la realtà è che, senza cercare accordi, quei nove milioni di elettori non partecipano alla costruzione ed alla stesura delle regole del gioco.

Andiamo con ordine. Renzi a mio parere ha sbagliato:

  •      A trattare non con Forza Italia, ma con Silvio Berlusconi, che è sempre il leader di Forza Italia e direi del Centro-Destra, ma per la prima volta è un pregiudicato per frode fiscale. Da Veltroni a D’Alema, quasi tutti i leader del Centrosinistra hanno discusso con Berlusconi, solo che all’epoca il capo di Mediaset era sì discusso, ma non condannato. Stavolta Matteo Renzi ha scelto di dare piena legittimità politica ad un leader condannato per evasione fiscale.

  •       Pur apprezzando il protagonismo del Partito Democratico, che dopo anni di inseguimento delle mosse dell’avversario si rende principale artefice del dibattito politico, penso Renzi stia esagerando nello svolgimento delle sue funzioni. Piaccia o no, c’è un Premier in carica, oltretutto compagno di partito, ed è evidente che le mosse di Renzi mettono spesso a rischio la continuità del Governo Letta.

Ma ci sono gli elementi positivi a favore di Matteo:

  •     In quasi tutti i paesi Occidentali, è prassi comune vedere i due principali partiti dialogare, discutere, magari a lungo, ma in un quadro di rispetto e rapporti cordiali. Pensiamo alla Merkel in Germania che da anni governa con il sostegno dei socialdemocratici. In qualche modo questo dialogo Renzi – Berlusconi riavvicina l’Italia agli altri paesi europei.

  •    I risultati. Penso di sentire la frase “bisogna fare le riforme” da quando Baggio era una giovane promessa, Maldini un terzino promettente, Eros Ramazzotti un cantante giovane e Nanni Moretti un regista alle prime armi. Se il Sindaco di Firenze riuscisse nel suo intento di cambiare la legge elettorale, modificare la Costituzione ed il Senato, oltretutto in accordo con le altre forze politiche, sarebbe un grande risultato ed un ottimo biglietto da visita per vederlo in futuro alla prova del Governo.

  •   Da quanto si apprende, probabilmente dall’accordo Renzi – Berlusconi potrebbe nascere una legge elettorale di base maggioritaria, che garantirebbe la governabilità. Potremmo finalmente sapere la sera delle elezioni chi andrà al Governo, senza doverci sorbire inciuci, trattative, dirette streaming e quant’altro. Io lo considererei un notevole passo avanti per la nazione. Chi vince Governa. Punto. Poi, se va bene continua, altrimenti alternanza. Inoltre una legge elettorale maggioritaria ci garantirebbe di liberarci dal ricatto dei piccoli partiti che da anni condizionano in negativo la vita politica del paese.
In conclusione, Renzi ha fatto bene o ha fatto male? Il mio parere è che lo scopriremo solo vivendo. Quello che posso dire con assoluta certezza è che mentre il Sindaco di Firenze almeno ci prova, e Berlusconi cerca di farsi ricordare non come il corruttore ma come il leader che ha contribuito alla realizzazione delle riforme, le (5) Stelle stanno a guardare.

 

Mario Scelzo

giovedì 16 gennaio 2014

L'incontro tra Renzi e Berlusconi

POLITICA - Novembre 2007. L’allora sindaco di una grande città (Roma) e primo segretario del Partito Democratico (carica assunta dall’ottobre 2007),  Walter Veltroni, incontrava il presidente di Forza Italia ed ex premier, Silvio Berlusconi. Il governo era presieduto dal presidente Romano Prodi, con Fausto Bertinotti (PRC) presidente della Camera e Franco Marini (PD) al Senato. Tra i tanti tempi che i due leader dei maggiori partiti italiani affrontarono c’era la riforma della legge elettorale (il Porcellum). Quell’appuntamento chiudeva una serie di incontri bilaterali che Veltroni stava facendo con tutte le forze politiche per giungere ad una riforma della legge elettorale. Interessanti alcune dichiarazioni di quei giorni. Bertinotti sosteneva che “Tutti gli incontri che favoriscono il confronto sulla riforma elettorale e l’avvicinamento delle posizioni sono da guardare con grande attenzione” sottolineando però la necessità di trovare “un largo consenso in Parlamento per la riforma della legge elettorale”. Gli fa eco Francesco Rutelli, che pensa che quell’incontro è” un’occasione da non perdere: credo che Veltroni non la perderà e credo che anche Berlusconi avvertirà la responsabilità di chi non può dire sempre no”.

Tutti ricordiamo come proseguì la storia. Il Porcellum rimase in vigore ancora diversi anni (e due parlamenti furono eletti con una legge oggi giudicata incostituzionale). Veltroni rivitalizzò Berlusconi ed indebolì il già precario governo Prodi (che fu sfiduciato nel gennaio 2008).
Tra pochi giorni il sindaco di una grande città (Firenze) e neo segretario del Partito Democratico, Matteo Renzi, incontrerà il presidente di Forza Italia ed ex premier, Silvio Berlusconi. Motivo dell’incontro si discuterà sulla riforma della legge elettorale (sempre il Porcellum).
Le similitudini sono molte.

Nel Partito Democratico è scoppiata la polemica intorno a questo incontro, con i bersaniani che chiedevano di non usare la sede del PD e con pesanti accuse di poca trasparenza verso Letta rivolta a Renzi dagli uomini vicini a Cuperlo (stesso accusa fatta per altro anche da Alfano) e con Civati che attacca anche più pesantemente il neo segretario dicendo che “Penso che Renzi voglia andare a votare a maggio, penso che quello che ha sempre negato ormai sia fin troppo visibile.”
Se da una parte è vero che la legge elettorale non si fa a maggioranza (infatti credo che il M5S stia sbagliando completamente a dire no a Renzi senza entrare nel merito), è anche vero che dovrebbe essere il Parlamento il luogo migliore per discutere di certi argomenti e non incontri bilaterali (Renzi ha già incontrato il leader del Nuovo Centro Destra Alfano e quello di SEL Vendola).

Renzi poi dovrebbe avere il coraggio di prendere la responsabilità di entrare nell’esecutivo o di far entrare suoi uomini fidati al governo per poter cercare di dettare la linea politica del governo nel Consiglio dei Ministri.  

mercoledì 15 gennaio 2014

Il blog di Grillo, democrazia diretta e ricavi pubblicitari indiretti.

POLITICA - Sarò breve. Lunedì si è tenuta sul Blog di Beppe Grillo la votazione in merito all’abrogazione del reato di clandestinità. Già su queste pagine Gavino Pala ha scritto nel merito, non mi dilungo, mi permetto solo di affermare che reputo queste votazioni online poco credibili, visto che 25.000 persone decidono per circa 9 milioni di elettori, e soprattutto considerato che mi sembra assurdo lanciare una votazione on-line con chiusura in giornata, su un tema cosi delicato come quello della immigrazione.

Ultima considerazione nel merito, trovo anche assurdo che un Movimento che rappresenta 9 milioni di elettori non abbia una idea generale sull’immigrazione. Il mio timore è che quello che unisce gli elettori del MoVimento (sintetizzo, la lotta alla Casta), sia un collante debole, non in grado di reggere ad una eventuale prova di Governo, nel senso che tra i votanti dell’M5S c’è gente pronta ad accogliere i migranti, ed altri che bombarderebbero le navi in arrivo. Estremizzo, certo, ma sono convinto che all’interno del Movimento esistano ideali e valori molto diversi e difficilmente conciliabili, al di là della critica alla Casta.

Ma non voglio parlarvi di questo. Vorrei sottolineare, e mi scuso se l’ho già fatto, che  il Movimento 5 Stelle commette sempre gli stessi errori, vorrei sottolineare l’incoerenza del Movimento 5 Stelle, che a parole si dichiara per la trasparenza e si scaglia contro le lobby, nei fatti sostiene e incentiva i ricavi pubblicitari del fondatore del Movimento nonché ideatore del blog, Giuseppe Grillo detto Beppe.

Mi spiego, per partecipare alla votazione sulla immigrazione ( e già ci è stato detto che ci saranno a breve altre votazioni, ad esempio sulla legge elettorale ) devo essere iscritto e certificato al Blog di Grillo. La votazione avviene sul Blog di Grillo, i risultati vengono pubblicati sul Blog di Grillo.

In sostanza, per essere parte attiva di questa “presunta” democrazia diretta, sarei per forza di cose costretto a cliccare più volte sul Blog di Grillo, facendone aumentare visualizzazioni, e di conseguenza ricavi pubblicitari. Segnalo che, se in parlamento i deputati contestano ad esempio lo Stato che incentiva il gioco d’azzardo, lo stesso gioco d’azzardo viene pubblicizzato sul Blog. Segnalo che mentre i parlamentari del Movimento si battono contro le lobby presenti in Parlamento, sul Blog si pubblicizza Italo Treno, creatura della coppia Montezemolo – Della Valle, due validi imprenditori che certamente però ben conoscono il concetto di lobby di potere.

Mi direte, Grillo da cittadino fa ciò che vuole. Giusto. Ma se per partecipare a questa presunta democrazia diretta sono costretto ad entrare sul suo blog, per me il cittadino Grillo resta libero di fare ciò che vuole, ma i parlamentari del Movimento dovrebbero essere scandalizzati e usare il loro linguaggio infuocato per scagliarsi contro questo enorme conflitto di interessi.

Aspetto fiducioso un commento di Messora, una richiesta di Fico o della Taverna al caro Beppe di sospendere la pubblicità sul blog, o quantomeno di organizzare le consultazioni on-line su una piattaforma senza link pubblicitari.

Se ci sarà una smentita, ne prenderò atto, se ci sarà il solito silenzio, ed il solito mischiare le carte o rifugiarsi in corner (tipo, il Pd non ha fatto il conflitto di interessi, vero, ma che c’entra?), vorrà dire che i parlamentari del Movimento 5 Stelle sono quanto meno incoerenti, perché mentre si scagliano (anche a ragione) contro le lobby e la casta, loro stessi ne sostengono una.

Mario Scelzo.

martedì 14 gennaio 2014

Sul reato di clandestinità la rete sconfessa Grillo e Casaleggio

POLITICA - Ieri, dalle 10 alle 17, sul blog di Beppe Grillo si è svolto un referendum on-line tra gli iscritti al MoVimento 5 Stelle sul reato di clandestinità. L’esito è stata una pesante bocciatura della linea di Grillo e Casaleggio che solo pochi mesi fa sconfessarono due senatori del MoVimento 5 Stelle che avevano proposto, e la Commissione Giustizia del Senato approvò, un emendamento che chiedeva l’abolizione della Bossi-Fini. In quell’occasione, in un post a firma non solo di Grillo ma anche da Casaleggio, i due scrivevano: “Ieri è passato l'emendamento di due portavoce senatori del MoVimento 5 Stelle sull'abolizione del reato di clandestinità. La loro posizione espressa in Commissione Giustizia è del tutto personale.” Grillo e Casaleggio erano in disaccordo sia sul metodo (la presentazione di un emendamento non presente nel programma e non votato dalla rete) ma anche nel merito (la famosa, quanto triste, frase sulla percentuale da prefisso telefonico se in campagna elettorale il M5S avesse parlato di queste tematiche e scrivevano: “Nel merito questo emendamento è un invito agli emigranti dell'Africa e del Medio Oriente a imbarcarsi per l'Italia. Il messaggio che riceveranno sarà da loro interpretato nel modo più semplice "La clandestinità non è più un reato").

Ma se la linea uscita dalle consultazioni è quindi una chiara sconfitta di Grillo, si possono fare alcune considerazioni, positive e negative, nel merito e nel metodo, di quello che è successo ieri.

Questa votazione è  stata una delle rare occasioni in cui il blog è stato usato per far dare un parere vincolante agli eletti del MoVimento 5 Stelle dai propri iscritti. Credendo fermamente nell’idea di una democrazia diretta e non partecipata questo dovrebbe essere uno strumento da usare con parsimonia. I Parlamentari infatti dovrebbero svolgere le loro funzioni cercando il bene non solo dei propri elettori ma dell’intera nazione (i parlamentari infatti, come recita la nostra Costituzione, non hanno vincolo di mandato). Dovrebbero lavorare tenendo bene in mente il programma sul quale gli elettori hanno dato il loro voto, e decidere, avendo più strumenti dell’elettore, la cosa migliore. È però lodevole che i parlamentari dell’M5S non si distacchino dalla propria base e possano chiedere anche un parere vincolante su argomenti di interesse collettivo come quello dell’abrogazione o meno della Bossi-Fini in materia di clandestinità (penso che se un partito come il PD si fosse fermato di più ad ascoltare la propria base avrebbe fatto meno errori di quelli commessi in questi anni).

Ma se nel merito la decisione è lodevole, nel metodo c’è qualche dubbio.

In mattinata aveva messo mano alla tastiera il senatore dissidente Francesco Campanella che in un post su Facebook sciveva come il blog di Grillo, usato in questo modo, era come "arma" invitando a togliere "la pistola a Casaleggio".  “La vicenda del reato di clandestinità”, spiega il senatore “è stata gestita dal blog in modo discutibile. Non è così che va gestita la democrazia diretta. La vita delle persone non è un videogioco né una battuta da condividere sui social media. Il blog gestito così diventa un'arma nelle mani di qualcuno che si è convinto di poter gestire più di 150 parlamentari con strategie di organizzazione di rete aziendale. Togliamo quella pistola a Casaleggio! Il M5s è un fenomeno troppo serio per essere gestito in questo modo!”.

Forse i due errori più grossi nella gestione di questa consultazione sono chiari, la mancanza di preavviso (il post di Grillo che invitava alla consultazione è stato postato dopo le 10.30 mentre le consultazioni erano previste per le 10.00) e la totale mancanza di dibattito. Infatti, a differenza di quello che uno si poteva aspettare, alla consultazione, tranne qualche post di Grillo sul tema, non è stata preceduta da nessun dibattito, nessun post che potesse avvalorare le due posizione, una spiegazione di come funziona la legge e di come cambierebbe se a vincere fosse l’abrogazione della Bossi-Fini, senza dare il maggior numero di informazioni (soprattutto da parte di un MoVimento che attacca giornali e tv su come vengono diffuse le notizie) e strumenti in modo tale che gli iscritti potessero decidere.

La mancanza di preavviso a poi portato un esiguo numero di votanti, parliamo di meno di 25 mila a fronte di più di 80 mila iscritti al movimento.

lunedì 13 gennaio 2014

Francesco, Loris e Giovanni

Chiesa-Tra le nomine cardinalizie di Papa Francesco, spicca certamente quella dell’arcivescovo Loris Francesco Capovilla. Nasce il 14 Ottobre del 1915 in un piccolo paese in provincia di Padova, se facciamo due conti non troppo tempo fa ha compiuto 98 anni, secondo wikipedia è il secondo ordinario diocesano italiano più anziano vivente.

Chiunque abbia un minimo di conoscenza della realtà ecclesiale associa Loris Capovilla a Papa Giovanni XXIII, infatti Capovilla è stato segretario personale prima, dal 1953, del Cardinale Roncalli Patriarca di Venezia, e successivamente segretario personale di Sua Santità Giovanni XXIII nel corso del suo pontificato, terminato il 3 Giugno 1963. Nell’immaginario, sia di chi lo ha conosciuto da vivo, sia di chi successivamente ha studiato o approfondito il Pontificato del Papa Buono, Capovilla è stato il suo fedele compagno di viaggio nonché, in seguito, la memoria vivente di Papa Roncalli, contribuendo con numerose interviste e pubblicazioni (tra cui spicca Il Giornale dell’Anima) a tenere viva la memoria del Pontificato di Papa Giovanni.

Non entro nel dettaglio, perché basta digitare su Internet per cercare una biografia approfondita. Mi limito ad osservare la valenza simbolica della scelta di Papa Francesco di concedere la berretta cardinalizia a Monsignor Capovilla.

Dovessi sintetizzare al massimo il Pontificato di Roncalli, lo definirei il Papa Buono, ed il Papa del Concilio. Dovessi anche azzardare un paragone, direi che esiste una enorme sintonia tra Papa Francesco e Papa Giovanno XXIII: due anime semplici ma non affatto ignoranti, due Pastori di Popolo con una grandissima carica umana, due Papi che sembrano privilegiare la sostanza alla forma. Non a caso sia Papa Giovanni che Papa Francesco sono entrati nel cuore della gente, con gesti e parole di grande impatto e tenerezza.

Se chiudiamo gli occhi e pensiamo al famoso discorso di Papa Giovanni, con la storica frase “quando tornate a casa, date una carezza ai vostri bambini, dite loro che questa è la carezza del Papa” ecco, magari con parole diverse, ma io ci rivedo la stessa bontà e tenerezza, la stessa mitezza ed amore per il proprio gregge che caratterizza Papa Francesco.

Papa Giovanni è stato anche il Papa che ha voluto, iniziato e sostenuto il cammino del Concilio Vaticano Secondo. Concilio che, a detta di tutti i successori di Papa Giovanni, ha ancora tanto da dire a credenti e non, evento che cresce con chi lo vive. Mi piace pensare che la nomina cardinalizia di Loris Capovilla sia da parte di Papa Francesco l’invito a tenere sempre presente l’insegnamento del Concilio. Ritengo veramente impossibile sintetizzare il Concilio, ritengo però si possa senz’altro dire abbia rappresentato una Chiesa aperta alle Sfide del Mondo Moderno e vicina alle sue Ferite, una Chiesa non autoreferenziale e chiusa nel piccolo orticello, ma una realtà viva, aperta, dinamica, e come diceva Papa Giovanni, una Chiesa di tutti ma particolarmente dei Poveri. Soprattutto, ritengo che Bergoglio voglia dirci che il Concilio ha ancora tanto da dire, e che va riletto e ricompreso dal popolo del credenti.

La nomina di Capovilla allora assume a mio parere una valenza simbolica enorme, quasi se Papa Francesco volesse lanciare un Nuovo Concilio. Forse esagero, ma ritengo che Bergoglio in pochi mesi abbia già rivoluzionato la Chiesa come e quasi più di un Concilio, con i suoi gesti umili, con la sua tenerezza, con gesti emblematici come ad esempio la Lavanda dei Piedi nel carcere minorile.

Mi piace pensare ad una mano tesa, ad una storia che non si ferma, a Papa Giovanni che abbraccia Loris Capovilla, e il suo segretario che porta a Papa Francesco la carezza del Papa Buono.

Mario Scelzo.

giovedì 9 gennaio 2014

La polvere sulla cultura

ATTUALITA' - l'Italia è una terra dalla storia antica e ricca e ci si aspetterebbe molta attenzione alla cultura. Invece, in modo tristemente sorprendente, è un paese dove il patrimonio culturale va in rovina e si disperde. Lo abbiamo visto con la tristissima vicenda del degrado di Pompei. Interventi mancati, carenze di personale, progetti bloccati dalla burocrazia.

Anche l'ultimo Governo  ha ridotto il budget per la cultura. Secondo l'ultimo bilancio, il Mibac, ministero per i Beni Culturali, "risparmia" oltre 100 milioni di euro rispetto al 2012, era Monti, e rispetto al 2008, era Berlusconi, spende il 24% in meno. Purtroppo non si tratta di risparmi, bensì di brutali tagli lineari. Come in altri ambiti della pubblica amministrazione, infatti, non si è riusciti finora a fare altro che lesinare sulla carta per le fotocopie e ritardare il pagamento delle bollette (il Mibac ha circa 40 milioni di utenze in arretrato). Altro che spending review! E così, se le spese generali si riesce a comprimerle poco o per nulla, i numeri per far quadrare il bilancio si ottengono lesinando sugli interventi: rispetto al 2008, sono diminuiti del 58,2% i fondi per i provvedimenti urgenti di tutela e del 52% i fondi per i programmi di tutela ordinari. Insomma si getta via l'uovo e ci si tiene il guscio. Sarebbe forse ora di pensare ad una riorganizzazione complessiva del sistema dei beni culturali?
Ci sono stati vari cambiamenti organizzativi negli ultimi anni, si è cercato di rendere il ministero più compatto ed efficiente. Il problema però non sembra tanto a livello centrale, dove il ministero non è così gigantesco, quanto a livello locale, dove abbondano le sedi. Esistono quattro diversi tipi di sovrintendenza e ogni capoluogo di provincia ne ha almeno una. Almeno una, ma la normalità è che ce ne siano due o tre. Tanto che il ministero, per coordinare tutti questi uffici, ha bisogno di avere anche delle direzioni regionali, che facciano da tramite fra il centro e la periferia. E poi istituti, biblioteche, archivi e soprintendenze "speciali" che hanno una propria autonomia e rispondono direttamente a Roma. Non è difficile immaginare come una struttura del genere sia caratterizzata da insufficiente comunicazione tra gli uffici, procedure farraginose e mortalmente lente, problemi dovuti al rapporto con gli enti locali che pure hanno delle competenze in materia di beni culturali. Riorganizzare il ministero appare quindi una operazione abbastanza complicata tanto che si è diffusa una leggenda metropolitana su uno degli ultimi ministri dei beni culturali: si sarebbe infine dimesso perché "esaurito" a causa della complessità del ministero, dalle ristrettezze di bilancio e dalle continue polemiche.
Alcuni propongono la smaterializzazione degli archivi e delle biblioteche. Uno dei siti internet più famosi al mondo è Wikipedia, una enciclopedia, e su molti siti della grande rete è possibile trovare e leggere libri. Insomma la cultura è quantomai interessante e moderna, è "knowledge economy". Sembra davvero un peccato che il patrimonio intellettuale italiano, composto da milioni di libri e di documenti, non sia liberamente accessibile in rete, ma sia ancora intrappolato in polverosi scaffali di decadenti edifici, con spese non indifferenti per la sua gestione e conservazione. Non sarebbe certo facile una operazione del genere, anche se sarebbe un modo per investire contemporaneamente in cultura ed in tecnologia. Una bella sfida che magari si potrebbe affrontare con la partecipazione delle università.
Uscendo dalla rete per tornare nel campo del tangibile, resta in piedi anche un altro tema, quello del turismo. L'apposito ufficio governativo è stato trasferito al Mibac dalla Presidenza del Consiglio dove era inquadrato precedentemente. Chi scrive è in parte d'accordo, nel senso che la cultura è un biglietto da visita per il paese. Un altro nome del ministero dei beni culturali potrebbe essere proprio "ministero dell'Italia nel Mondo". Tuttavia, dobbiamo stare attenti a non pensare che il patrimonio culturale sia soltanto una attrazione turistica. Un escamotage per attirare turisti a vantaggio di alberghi, ristoranti e tassisti. Perché si sta diffondendo l'idea di "cultura come petrolio dell'Italia", e non è un bel paragone. Il petrolio è una risorsa che si sfrutta e che svanisce via via, senza lasciare nulla. Al contrario, la cultura è qualcosa di vivo, che non deve essere sfruttato, ma coltivato. E non ci si può limitare a farne una attrazione turistica. Le spiagge sono una attrazione turistica. Le piste da sci sono una attrazione turistica. La cultura è uno strumento di educazione per le nuove generazioni, per tramandare la memoria del paese. E' anche uno strumento di coesione per ricordare ai lombardi ed ai siciliani, ai pugliesi ed ai liguri che siamo italiani e che abbiamo una storia comune. Il fatto che oltre agli italiani, per apprezzare la nostra arte, arrivino milioni di visitatori dall'estero, è un qualcosa che può far bene alla nostra autostima ed alla nostra economia, ma deve essere "un di più”.

Abbiamo bisogno di cambiare mentalità ed approccio nella politica per i beni culturali, al di là dell'organizzazione del sistema, al di là delle tecnologie, al di là delle risorse.

Alessio Mammarella

mercoledì 8 gennaio 2014

Renzi di lotta e di governo

POLITICA - Alla fine gli insegnanti non dovranno restituire i 150 euro per il fermo degli scatti come in un primo momento era circolata la voce. Ad annunciarlo una nota di palazzo Chigi nel quale viene chiarito che “Gli insegnanti non dovranno restituire i 150 euro percepiti nel 2013 derivanti dalla questione del blocco degli scatti. Lo si è deciso nel corso di una riunione a palazzo Chigi tra il presidente del Consiglio, Enrico Letta, il ministro dell’Economia, Fabrizio Saccomanni, e il ministro dell’Istruzione Maria Chiara Carrozza.”

Di buon mattino il neo segretario del PD, Matteo Renzi aveva scritto su Twitter il suo pensiero su questa vicenda spiegando che “Il taglio agli insegnanti è assurdo. Il governo rimedi a questa figuraccia, subito. Il @pdnetwork su questo non mollerà di un centimetro.”
Non vorrei entrare nel merito di questa vicenda, per fortuna conclusasi con il passo in dietro del governo, anche perché l’Italia dovrebbe investire di più sull’istruzione, non togliere il (poco) che già da agli insegnanti, ma è utile per riflettere su un altro argomento che in queste ore sta interessando il governo: il patto di coalizione.

Si sono aperti infatti gli incontri tra il premier Letta e gli esponenti dei partiti di maggioranza per preparare un patto tra il governo e le forze parlamentari che lo sostengono. Un patto che dovrà interessare i provvedimenti e le tematiche del 2014. Tutto giusto e legittimo, ma credo anche insufficiente. Credo che il governo non abbia solo bisogno di un patto ma di un vero e proprio rimpasto per due semplici ragioni.
La prima è che è cambiata radicalmente la composizione della maggioranza. Questo governo delle larghe intese è nato con l’appoggio del PD dei centristi e del PDL. Di queste 3 gambe solo una è rimasta intatta, il PD, i centristi si sono infatti divisi tra chi è rimasto fedele a Monti e chi è uscito da Scelta Civica per fondare un nuovo gruppo parlamentare (ma entrambi i gruppi fedeli al governo), mentre il PDL si è spaccato in due con la rinata Forza Italia passata all’opposizione e il Nuove Centro Destra di Alfano al governo. il partito più a destra del governo è passato da 97 deputati (PDL) a 29 (NCD) mantenendo però lo stesso numero di Ministri. È vero che il Presidente Napolitano nelle scorse settimane ha imposto un nuovo passaggio parlamentare a Letta per richiedere una nuova fiducia, ma si potrebbe pensare ad una delegazione minore del partito di Alfano (presente al governo con 5 ministri) e comunque un riequilibri con i centristi (i due partiti del centro hanno gli stessi numeri del Nuovo Centro Destra ma solo 2 ministri)

La seconda ragione riguarda il PD. Il partito di maggioranza ha infatti gli stessi numeri di inizio legislatura ma le primarie dell’8 dicembre hanno cambiato radicalmente la leadership. Il neo segretario non può solo dettare la linea del suo partito ma chiedere anche di prendere parte alle decisioni del governo che il suo partito appoggia. La delegazione del PD nel governo Letta ( ex Vicesegretario di Bersani) ha 9 ministri, ma in pochi si possono considerare renziani. Il sindaco di Firenze probabilmente non entrerà personalmente al governo (già indaffarato ad amministrare la sua città e il suo partito), ma dovrebbe chiedere che il nuovo PD abbia una nuovo delegazione al governo che rappresenti meglio il partito. Non basta twitttare che il PD “su questo non mollerà di un centimetro”, non basta presentare proposte sulla legge elettorale o sul lavoro, deve prendersi la responsabilità di governare. Nel governo ci dovrebbe essere più rappresentatività della “corrente” (anche se al segretario questa parola non piace) che ha stravinto le primarie e che rappresenta (all’interno del partito) la maggioranza assoluta degli elettori che l’8 dicembre si sono messi in fila ai gazebo.
Altrimenti il rischio è di vedere un Renzi “di lotta e di governo”