mercoledì 26 febbraio 2014

Renzi e la comunicazione politica

POLITICA -
Un vecchio saggio della politica italiana diceva: Il politico pensa alle prossime elezioni, lo statista alla prossima generazione.
Matteo Renzi, non ne fa mistero, è un politico, da segretario del partito Democratico non si può permettere di perdere le prossime elezioni europee di maggio, per questo, forse è la cosa più vera detta nei due rami del parlamento, ha deciso di metterci la faccia. Non si può permettere, nei prossimi 90 giorni, di non iniziare quel ciclo di riforme di cui ha bisogno l’Italia, altrimenti passerebbe in meno di 100 giorni dall’essere il più giovane Presidente del Consiglio d’Italia al più giovane “trombato” uscendo di scena alla tenera età di 40’anni.
I discorsi sulla fiducia, si sono lamentati in molti, erano pieni di spot e poco concreti, con la quasi totale mancanza di riferimenti sulle coperture economiche. Sinceramente non si poteva aspettare qualcosa di diverso, visto il contesto (invito a rileggere i due discorsi di Letta). Il voto di fiducia è un passaggio obbligato per la nostra Costituzione ma, a parte qualche rarissima eccezione, il risultato è quasi scontato. Sono pochi infatti i deputati che arrivano in aula con le idee poco chiare, chi si appresta a votare quasi non deve ascoltare il discorso.
Renzi ha promesso interventi rapidi sui debiti della Pubblica Amministrazione, sull’abbassamento del cuneo fiscale, sull’edilizia scolastica, sui costi della politica. Tanti buoni propositi, ma non essendo a costo zero bisognerà capire se quelle promesse potranno essere realizzate e quali le coperture.
Cosa ben diversa invece è il tipo di comunicazione che il nuovo Presidente ha. Lo abbiamo iniziato a vedere nello streaming con Grillo e con “arrivo arrivo” twittato mentre era ancora al colloquio con Napolitano. Renzi, sarà forse per l’età, è spigliato e diretto. È spiazzante, forse anche presuntuoso ma anche questo potrebbe essere un problema generazionale, e con la battuta pronta (“Grillo esci da questo blog”) e usa i social network in maniera puntuale. A differenza dei suoi predecessori a palazzo Chigi sembra meno imbrigliato nelle liturgie istituzionali, parla senza un discorso scritto, non sono mancate, durante i discorsi, le punzecchiature a chi voleva criticarlo (soprattutto verso il MoVimento 5 Stelle). Prova a unire il suo partito (ed è il PD il partito forse più critico all’interno di questa maggioranza). Ha messo in campo una squadra di governo giovane con un profilo medio-basso dove lui emerge e può esserne il top player.
Sul terreno della comunicazione politica utilizzando soprattutto i social Renzi ha pochi avversari. Gli unici che potrebbero contrastarlo è l’M5S ma in questi giorni sono  troppi gli autogol (basta pensare alla storia dei dissidenti espulsi). Renzi potrebbe cercare di convogliare verso di se quel popolo della rete tanto incensato da Grillo (e non è un caso che lo stesso Grillo si sia scomodato per andare alle consultazioni con Renzi).
Spesso è aiutato anche dai suoi avversari. Il vicepresidente Di Meio mette in rete i “pizzini” tra Renzi e lui. Scrive Renzi: “Scusa l’ingenuità caro Luigi. Ma voi fate sempre così?  Io mi ero fatto l’idea che su alcuni temi potessimo davvero confrontarci. Ma è così oggi per esigenze di comunicazione o è sempre così ed è impossibile confrontarsi?. Giusto per capire. Sul serio senza alcuna polemica. Buon lavoro. Matteo Renzi”
Di Maio gli risponde con dei richiami al regolamento, confermando di fatto l’arroccarsi dell’M5S sulle proprie posizioni.
Fino ad ora, ma sono passate solo una manciate di giorni, Renzi è un vecchio politico (basta pensare alle trattative portate aventi in questi giorni per la formazione del governo e la conferma, per esempio, dei tre ministri del Nuovo Centro Destra) che porta avanti un nuovo modo di fare politica e di comunicarla.
Ma l’Italia ha bisogno, dopo tanti anni, di avere uno statista.

martedì 25 febbraio 2014

Discorsi da taverna

 

POLITICA - Come saprete, il Governo Renzi ha ottenuto la fiducia in Senato e oggi la otterrà alla Camera, nel bene o nel male inizia l’avventura del Sindaco di Firenze ( a proposito, si aspettano doverose dimissioni ) come Presidente del Consiglio.

Vorrei qui soffermarmi su un altro argomento:  le reazioni al discorso di Renzi dei Parlamentari del Movimento 5 Stelle. Sono convinto che i parlamentari del Movimento stiano perdendo lucidità (non che in questo anno ne abbiano dimostrata molta….) perché hanno paura di Renzi e temono di rimanere all’angolo.
A mio parere Renzi, da grande comunicatore qual è, ha trovato una ottima strategia mediatica per confrontarsi con la proposta (vabbè proposta è un parolone) politica del Movimento. Renzi risponde per le rime alle provocazioni dei Pentastellati e mette in risalto le numerosissime incongruenze del Movimento capeggiato da Grillo.

Renzi in Senato ha ricordato al Movimento la mancata presentazione alle Regionali in Sardegna, ed i pessimi risultati elettorali conseguiti nelle elezioni regionali svoltesi nel corso del 2013. Ha sottolineato le difficoltà di un partito, che a detta del proprio leader, non è democratico, ha più volte fatto riferimento al voler provare concretamente a risolvere i problemi piuttosto che urlare nelle Piazze e nelle Aule Parlamentari senza nessun obiettivo concreto.
Ammetto che se per certi versi non mi ritengo un fan renziano, questo suo atteggiamento verso il Movimento mi piace e mi conquista. Bersani fu costretto ad inseguirli, Letta ha provato con mano la fragilità e l’inconsistenza delle loro proposte, Renzi non dipende dai loro voti e giustamente dice loro quello che pensa, senza filtri e mediazioni.

Ovviamente, di fronte alle OFFESE renziane, i parlamentari del Movimento si sono scatenati. Si è distinta Paola Taverna, Capogruppo del Movimento al Senato. La Senatrice ha dichiarato all’Adn Kronos:

24 feb. (Adnkronos) - Il discorso di Matteo Renzi al Senato è stato "surreale. Ci sono sembrate surreali le posture, i sorrisetti, l'arroganza davanti a un Paese che voleva ascoltare un discorso di cambiamento. Rispetto alle cose dette da Renzi, Letta è sembrato un grande statista. Rileggeremo le cose dette dal presidente del Consiglio, ma francamente l'impressione che ci ha lasciato è sconcertante. Lo testimoniano gli applausi abbastanza freddi venuti dai banchi Pd. Forse anche loro si aspettavano qualcosa di più. Noi abbiamo sentito tanto populismo, demagogia e poca, poca concretezza".

 La Senatrice accusa Renzi di populismo, arroganza, demagogia e poca concretezza. Sinceramente sono le caratteristiche che io applico al Movimento 5 Stelle ed al suo leader Beppe Grillo. Leader populista, indubbiamente arrogante, non affatto concreto (pensiamo che col 25% dei voti in un anno non ha ottenuto nulla), campione di demagogia.
Sinceramente, la mia impressione è che la senatrice invece di ascoltare il discorso di Renzi stava sentendo in cuffia una delle tante esternazioni del suo Capo, questo spiegherebbe la sua dichiarazione.

Poi la Senatrice ha parlato in numerose televisioni e successivamente ha tenuto il suo discorso in Aula. Il solito scontato repertorio (tralaltro declamato in un pessimo italiano con enorme cadenza dialettale romano) di accuse a Renzi servo delle lobbbby ( lo scrivo apposta con tante b, come lo dice lei), delle bbanche, servo della Kasta, degli amerikani, della Merkel.
Sui social network i commenti si sprecano. C’è chi dice che il suo cognome è adeguato (fare discorsi da taverna), chi le dà della pescivendola, chi la invita ad un linguaggio più consono all’aula parlamentare.

http://www.beppegrillo.it/movimento/parlamento/2014/02/sondaggio-chi-tira-le-fila-della-marionetta-renzie.html

Oltre al link, ve lo sintetizzo:
1. Di chi è la mano che tira i fili della marionetta Renzie?

Le risposte possibili sono
             Delle banche
             Della Merkel
             Della finanza speculatrice
             Della massoneria
             Di De Benedetti
             Di Napolitano
             Di Berlusconi
             Della Merkel
             Di tutti quanti insieme
Che dire, mancano solo Topo Gigio, Capitan America, Moggi, Miley Cirus e Paperoga. Scusate se sono diretto, mi chiedo come sia possibile pretendere di dare un minimo di credibilità ad un Movimento ostaggio di un comico e di un esperto informatico, che ha portato in Parlamento persone di dubbia competenza ed incapaci di formulare un ragionamento articolato.
Non amo Renzi, sogno prima o poi di vedere un Governo di Sinistra, ma se l’alternativa è la propaganda grillina, se al posto di Renzi ci saranno le scie chimiche ed i discorsi da Taverna, beh lunga vita a Matteo Renzi.

Mario Scelzo

giovedì 20 febbraio 2014

Le fiamme di Kiev

MONDO - 19 febbraio 2014: 25 morti in Ucraina. La dura crisi politica che sconvolge da mesi il paese dell’Europa orientale è arrivata a una tragica svolta, tanto che molti già hanno iniziato a descriverla come una guerra civile. Un incubo che ritorna, quello del conflitto fratricida, che pensavamo finito insieme alla ex Iugoslavia, almeno nel nostro piccolo e sviluppato continente. Purtroppo, la fine della Guerra Fredda ha lasciato tanti problemi e tante contraddizioni irrisolte nel mondo ex sovietico.
L’Ucraina, dopo la dissoluzione dell’URSS e l’indipendenza, si è mossa verso la democrazia, ma non completamente. Buona parte della nomenklatura dell’era sovietica è rimasta al suo posto, oppure ha lasciato posizioni di potere politico per impadronirsi di banche e aziende. L’unica cosa alla quale hanno rinunciato i grandi del paese è la dottrina comunista: gettata via come un vestito vecchio, e sostituita dal pensiero unico del liberismo. Cambiare perché nulla cambi diceva il Principe di Salina nel celebre romanzo Il Gattopardo. Il Principe ha trovato degli emuli anche molto lontano dalla Sicilia.
Questo cambiamento di facciata ha scontentato molti cittadini. Ha scontentato i meno abbienti, che con la rapida conversione al liberismo si sono trovati privi dei diritti dello stato socialista e completamente spaesati. Ha scontentato coloro che avevano sempre lottato contro il regime sovietico e dal suo crollo si erano aspettati un completo ricambio politico. Da molti anni, in modo più o meno forte, i cittadini ucraini protestano sperando in una vera evoluzione democratica e uno degli “eroi moderni” del popolo ucraino è quella Yulia Timoschenko che è stata perseguitata con le solite, banali, accuse di corruzione (in tutti i paesi liberticidi i leader politici sgraditi sono colpiti da questo genere di accuse).
Anche in politica estera il cambiamento è stato solo di facciata. Dichiarazioni contro il terrorismo islamico, reparti di “cosacchi” inviati in Iraq insieme ai militari occidentali, ma nessuna intenzione di entrare nella NATO. Entrando nell’Alleanza Atlantica, come Polonia ed altri paesi dell’est, sarebbe diventato possibile anche candidarsi a entrare nella UE con tutti i vantaggi che questo può comportare per un paese ancora relativamente povero come l’Ucraina.
Ha sicuramente pesato, in queste scelte, l’influenza della Russia. L’Ucraina è un paese con risorse energetiche insufficienti ed importa gas dal potente paese vicino, che punta su questo per condizionarne la politica.
Questo antipatico atteggiamento della Russia ha però destato un secondo elemento di tensione nel paese: il nazionalismo. L’Ucraina, infatti, non è solo un paese con un deficit di libertà e di giustizia, è anche un paese culturalmente composito. Etnicamente, gli ucraini sono un solo popolo, tuttavia il territorio è profondamente diviso secondo l’asse est-ovest. A occidente, ci sono ucraini che hanno vissuto nel passato a contatto con polacchi, tedeschi, romeni. Sono quindi più aperti alla mentalità occidentale, un numero rilevante di essi segue il cattolicesimo. Nella metà orientale del paese, invece, i legami con la Russia sono molto più stretti, tanto che molti ucraini dell’est sono ortodossi ed usano la lingua russa insieme a quella ucraina.
Profonde, tra queste due metà, le divergenze di opinione sulla Russia e sul ruolo della Russia nella storia dell’Ucraina. A ovest si vedono i russi come dominatori, oppressori, e quasi si considerano degli eroi quegli ucraini che durante il conflitto mondiale si batterono con Hitler contro Stalin. A est, il pensiero della gente è invece molto amichevole rispetto ai russi anche perché proprio il territorio di Kiev, capitale dell’Ucraina è quello dove è nato il primo stato russo. Si può dire, anzi è opinione corrente lì, che l’Ucraina sia stata la culla della Russia. Forse il paragone è inquietante, se si pensa che anche i serbi hanno sempre sostenuto la stessa cosa a proposito del Kosovo.
 
A questo quadro già complesso si aggiunge la particolarità della Crimea, una penisola finita in Ucraina per scelta del presidente sovietico Kruschev e che, potendo, preferirebbero autodeterminarsi. La popolazione della Crimea, di ceppo turco, è infatti tradizionalmente filo-russa. E l’importanza strategica di questo territorio è notevole, perché proprio in Crimea si trova la base della flotta russa del Mar Nero.
Navi e gas: i due aspetti che rendono la sorte dell’Ucraina decisiva per i governi di molti paesi. Non a caso poche settimane fa è scoppiato un piccolo scandalo sulle affermazioni di un alto esponente del Dipartimento di Stato americano circa l’evoluzione degli avvenimenti in Ucraina ed il ruolo dell’Unione Europea. Come al solito, mentre le persone muoiono i politici fanno i loro calcoli.
Noi “comuni mortali” non possiamo fa altro se non pregare e sperare che la situazione non degeneri ulteriormente, ma che anzi si arrivi a uno stop delle violenze ed a una soluzione politica. Forse le dimissioni del Presidente Yanucovich, esponente di spicco della elite conservatrice, potrebbero rasserenare gli animi e riportare il confronto a una normale campagna elettorale. Ciò è però difficile, perché nuove elezioni forse appaiono insufficienti, per la popolazione che protesta. Infatti la storia recente a dimostrato che vincere le elezioni non porta a nessun risultato concreto se esiste un blocco di potere autoreferenziale (esteso dalla magistratura, ai media, alle grandi aziende statali) che impedisce ogni concreto cambiamento.
Alessio Mammarella 
 

mercoledì 19 febbraio 2014

Diretta streaming Grillo-Renzi

POLITICA - Alla fine la reta aveva deciso di prendere parte alle consultazioni e Grillo ne ha preso atto.

A differenza con quelle di Bersani e Letta, dove avevano partecipato i capo gruppo del Movimento 5 Stelle, questa volta, come abbiamo visto in diretta, è stato Grillo in persona a presentarsi a Montecitorio per parlare con il Presidente del Consiglio incaricato. Questo è già un segnale. Renzi può essere figlio dei poteri forti e delle banche ma Grillo sa che ha molto più carisma dei suoi predecessori e può guadagnare un consenso trasversale che ne Bersani ne Letta erano in grado di intercettare.

Se anche fosse vero, come sostiene Grillo, che metà del programma di Renzi è copiato da quello dei 5 Stelle, se Renzi lo mettesse in pratica sarebbe una mezza sconfitta di Grillo che vedrebbe attuato il suo programma senza però avere la forza di incidere sulle decisioni.

Grillo è una persona divisiva, leggere i commenti sui social network subito dopo le consultazioni c’era una netta divisione tra chi lodava il metodo di Grillo e chi ne sottolineava l’incapacità di ascoltare e dialogare sui temi concreti.

Grillo ha perso però la grande occasione, ed è la seconda dopo quella offertagli e rifiutata sulla legge elettorale, per dimostrare che Renzi è un bluff come non smette di ripetere da  giorni. Se si fosse confrontato su temi veri e concreti, l’avrebbe anche potuto mettere all’angolo, ma ha deciso per un’altra strategia, per alcuni versi perdente, quella di non permettere al competitor politico di esprimere le proprie idee. Non ci si confronta sui contenuti, che poi sarebbe il bene del nostro paese, ma si attacca chi ti sta davanti.

Ma la vera sconfitta vera di Grillo, che potrà essere stato vincente per i propri elettori (anche se qualcuno è rimasto deluso dopo aver votato si per partecipare all’incontro) è quella di aver rafforzato il proprio avversario.

Oggi, in qualche modo, il governo di Renzi nascerà più forte di ieri. Ha tenuto testa a Grillo, e non solo per i propri fedelissimi ma anche per chi non ama particolarmente Renzi ma sopporta  ancor meno Grillo. Si è concesso una battuta che già spopola sui social network “Grillo esci da questo blog”, non è caduto nel tranello di rispondere in maniera maleducata alle chiare provocazioni. Renzi ha vinto una partita senza neanche doverla giocare tanti gli autogol che ha visto fare dall’avversario.

Certo, il governo Renzi nasce con la stessa maggioranza di Letta, e probabilmente con tutti i limiti di quella maggioranza, e tra qualche giorno, dopo la lista dei ministri e il discorso nei due rami del parlamento, vedremo anche con quali prospettive, ma se questi sono gli avversari politici c’è il rischio di farlo vincere facile.

lunedì 17 febbraio 2014

L'incarico a Renzi

POLITICA - Con le dimissioni consegnate nelle mani del Presidente della Repubblica venerdì e l’incarico per la formazione di un nuovo esecutivo lunedì si è chiusa una delle crisi più veloci della Repubblica Italiana.

Fuori Enrico Letta e dentro Matteo Renzi.

Il PD è sicuramente un partito che ci ha sempre stupito, riuscendo sempre a prendere la decisione sbagliata riuscendo a non ascoltare mai la propria base. Solo nell’ultimo anno abbiamo visto Bersani dilapidare un vantaggio che sembrava enorme e non vincere le elezioni dello scorso febbraio, impallinare prima Marini e poi Prodi per l’elezione del Presidente della Repubblica per poi chiedere a Napolitano di accettare un secondo mandato (certificando, di fatto, l’incapacità di esprimere una propria candidatura), abbiamo visto un Presidente del Consiglio del PD accettare le dimissioni di un ministro dello stesso partito per poi usare un peso ed una misura diversa difendendo prima Alfano e poi la Cancellieri dal voto di sfiducia in nome della governabilità.

Con queste premesse, e abbiamo parlato solo degli ultimi 12 mesi, la decisione del neo segretario del PD di sfiduciare Enrico Letta potrebbe essere quella sbagliata.

Renzi ha assunto la direzione del partito Democratico dopo aver vinto con un ampio margine le primarie lo scorso 8 dicembre e subito ha dato l’impressione di voler accelerare su temi al centro del dibattito politico: la riforma del mercato del lavoro, la legge elettorale, tagli alla politica.

La scelta di Renzi di accelerare la fine del governo Letta può essere letta in molti modi ma a mio avviso è dettata dalla paura di una possibile sconfitta alle prossime elezioni europee del Partito Democratico a vantaggio delle formazioni politiche che si richiamano all’antieuropeismo come il MoVimento 5 Stelle e Forza Italia. Una sconfitta che avrebbe portato da una parte ad una crisi di governo con il primo partito dell’attuale maggioranza in seria difficoltà, ma anche ad un ridimensionamento del segretario sconfitto al primo banco di prova. Renzi quindi aveva solo due possibilità: quella di provare ad andare alle elezioni anticipate (ma senza una nuova legge elettorale avremmo comunque avuto un problema di governabilità e quindi la certezza di un altro governo di larghe intese, senza calcolare che a giugno si sarebbe apeto il semestre italiano di presidenza europea nella più totale incertezza politica) oppure forzare la mano all’esecutivo assumendo l’incarico di premier e provando a fare lui le riforme di cui il paese a bisogno. La seconda strada era quella più percorribile.

Ma se la strada intrapresa potrebbe sembrare quella più opportuna Renzi si ritrova a fare i conti con i partiti che dovranno sostenere il suo esecutivo.

E forse l’errore di Renzi potrebbe essere questo. Infatti avrebbe dovuto avere già in tasca i nomi del suo governo magari mantenendo la promessa fatta poco più di un anno fa durante le primarie perse contro Bersani dove aveva dichiarato che il suo governo avrebbe avuto solo 10 ministri, magari tecnici e politici a lui vicini che avrebbero lavorato in totale sinergia (una specie di segreteria del PD spostata a Palazzo Chigi), e doveva avere già in tasca un programma dettagliato da presentare alle camere con tempi, modalità ed eventuali coperture di spesa. Invece, almeno secondo alcune indiscrezioni, mentre la crisi politica è stata molto rapida, si pensa che passeranno alcuni giorni prima del giuramento e della fiducia alle camere.

L’idea poi di dover concertare il governo con gli eventuali alleati sembra non dare quella discontinuità che sembrava necessaria solo poche settimane fa. Alla fine avremmo la stessa maggioranza che sosteneva l’esecutivo Letta, con tutti i limiti incontrati proprio dall’ex premier.

Il paese ha bisogno di riforme concrete e se il neo premier riuscirà a farle sarà un bene per tutti, se lui fallirà sarà una sconfitta per l’Italia.

La disoccupazione giovanile e le lezioni di chi nella vita “ha vinto facile”

ATTUALITA' - Il numero dei disoccupati in Italia continua a crescere e molti di essi sono giovani. E' un problema complesso, articolato in molte parti. C'è un trend di lungo periodo dovuto alla tecnologia, alla scomparsa di posti di lavoro per via dell'automazione. Più macchinari e meno persone nell'industria, ma anche più bancomat e meno cassieri, più pompe automatiche e meno benzinai. Il mondo del lavoro è pieno di esempi del genere. Il problema della disoccupazione tecnologica, sempre presente dall'inizio della rivoluzione industriale, sarebbe però perfettamente gestibile, se non ci fossero altre criticità.
 
C'è ad esempio una mancata corrispondenza tra mondo della formazione (scuola e università) e mondo del lavoro. La scuola italiana non tiene il passo rispetto alle innovazioni che modificano continuamente la vita economica e sociale. Cosa ancora peggiore, non sembra riuscire a portare allo scoperto le attitudini di ciascuno. Questo fa si che anche la scelta della facoltà universitaria, momento cruciale nella vita di una persona, sia fatta quasi “al buio”: il triste fenomeno dell'abbandono universitario dipende in gran parte da questo, da giovani che dopo uno o due anni di studi si rendono conto di aver imboccato una strada completamente inadatta a loro. E “mollano”, dopo aver perso tempo e denaro. "Fallire” ancor prima di iniziare a lavorare.
Poi, al di là della formazione ricevuta, chi cerca un impiego deve vedersela con un sistema del collocamento obsoleto e burocratico che non aiuta nessuno a trovare un lavoro. Nessuno: lo dicono le statistiche oltre che la vox populi. E' inutile che lo Stato e gli enti locali si inventino “mance” ed “incentivi” per le imprese disposte ad assumere. Pensare di risolvere la disoccupazione significa credere che le persone siano un oggetto, e che si possano vendere mettendole in “offerta speciale”.
Ben altra cosa sarebbe lavorare seriamente, lavorare per la crescita economica, risolvere i problemi che rendono il sistema italiano non competitivo e fare in modo che le persone abbiano l'opportunità di mostrare le loro capacità. La disoccupazione è un potenziale non sfruttato, è tenere l'energia di un paese dentro un cassetto.
 
Tuttavia la classe dirigente italiana non sembra interessata né a rilanciare la crescita né a correggere i problemi strutturali che rischiano di far perdere nel nulla una intera generazione. L'ultimo esempio è quello di John Elkann, che, parlando ai ragazzi di una scuola, ha detto che i giovani non vogliono davvero lavorare, non hanno fame, vogliono stare a casa. Dimenticatevi quindi tutto ciò che ho appena illustrato, la colpa è dei giovani stessi: viziati, indolenti, ignoranti.
 
Carlo De Benedetti e Diego della Valle hanno subito stigmatizzato queste parole. Il secondo in particolare, ha definito Elkann “un imbecille”. Senz'altro questo episodio si innesta sulla più lunga scia polemica dovuta alla battaglia per la proprietà de “Il Corriere della Sera” il più storico e blasonato tra quotidiani italiani. Ma senza dubbio Della Valle si fa portatore di tanti imprenditori italiani veraci, che non hanno avuto per nonno Gianni Agnelli. Un “divo” su cui probabilmente nessuno oserà mai girare un film biografico non autorizzato.
Eppure, come dicevo, quello offerto da John Elkann è solo l'ultimo esempio. Si può pensare che sia semplicemente come lo descrive Della Valle, ma le parole di Elkann sembrano parole radicate nella classe dirigente italiana. Il primo a definire i giovani “bamboccioni” fu Tommaso Padoa Schioppa. Anche lui, invece di analizzare da buon economista i problemi strutturali, si è limitato a gettare la croce sui giovani. Del resto, il compianto “mr. conti” sembra non si fosse accorto di nessuno dei gravi problemi strutturali dell'economia italiana, problemi che poi sono esplosi dopo la crisi americana del 2007-2008 dovuta alla speculazione sui prodotti finanziari derivati.
Come non citare poi Renato Brunetta, che definì “l'Italia peggiore” i giovani precari in cerca di una stabilizzazione contrattuale. Come non citare Elsa Fornero, che fu pure ministro del lavoro, e coniò il più internazionale “choosy”. Schizzinosi, perché non disposti a fare lavori diversi rispetto alla formazione ottenuta, non disposti ad allontanarsi da casa per lavorare. Poi i giornali scoprirono che la figlia della signora ministro un po' choosy lo era: lavora nella stessa università dei genitori, con possibilità di fare sempre la pausa caffé con mammà.
 
Viene da pensare che sia proprio un problema di darwinismo sociale. I “figli di” sono vincenti a prescindere. Per loro sono ovvi alti stipendi, contratti stabili, condizioni lavorative comode. Per tutti gli altri, a meno che non siano dei talenti assoluti, i diritti sono un capriccio e lo studio è una superflua perdita di tempo. Un vizio che va corretto, spingendo i giovani verso specializzazioni di basso valore. "Ci sono tanti posti nel settore alberghiero” ha detto ancora Elkann. Nell'alberghiero, appunto, non nell'aerospaziale o nelle nanotecnologie. Ed a un altro giovane, che gli chiedeva se, una volta diventato elettricista, avrebbe potuto trovare un posto in Fiat. Risposta di Elkann: “Prima diventa elettricista e poi ne riparliamo.” Per carità, gli fosse passato in mente di rispondere: “Elettricista? Impegnati per diventare ingegnere.” Meglio un elettricista.
 
Mentre in tutto il mondo si cerca di elevare il livello di istruzione, in Italia ci si lamenta del fatto che ci siano troppi laureati e pochi camerieri. Se si ragiona così, in un paese che sta perdendo il suo ruolo di potenza industriale e tecnologica, quale è l'Italia che si immagina il sig. Ellkann nel 2020, nel 2030, nel 2040? Un paese impoverito dove il 50% delle persone sopravviverà lavorando nel turismo?


Alessio Mammarella

venerdì 14 febbraio 2014

Lettera a Matteo Renzi

Caro Matteo,

questa non me la dovevi fare. Chi ti scrive si definisce un elettore di centrosinistra, vicino al Pd, partecipante a quasi tutte le Primarie. Chi ti scrive non ti ha votato alle ultime Primarie, anzi, per deimotivi aveva scelto di astenermi. I 101, la gestione Cancellieri, il Governo col pregiudicato.

Non posso dire di essere un tuo fan o un tuo ammiratore, non ho fatto il tifo per te, ma ho preso atto della tua brillante vittoria alle primarie, e comunque guardavo a te con interesse e curiosità, perfino con un po’ di speranza. Immaginavo che il vento di novità da te rappresentato potesse comunque portare un cambiamento positivo all’interno del partito.

Insomma avevo nei tuoi confronti un sentimento ambiguo: se da un lato avrei sperato in una leadership del Pd più orientata verso sinistra, dall’altro apprezzavo la tua volontà manifesta di un cambiamento strutturale del Partito, un rinnovamento che potesse fare piazza pulita delle tremila correnti del Partito Democratico.

Mi ero comunque detto, ora c’è Renzi, ha vinto, giudichiamolo coi fatti. E, ti dico, Matteo, fino a ieri le tue azioni mi stavano convincendo. Finalmente un leader del Pd dinamico, spigliato, capace di proporre e non inseguire le proposte di B. Finalmente un leader capace di parlare in televisione con un linguaggio dinamico e comprensibile. Poi, le proposte, anche se abbozzate, sullo Job Act, la proposta di una nuova legge elettorale, vero, fatta insieme a Berlusconi, ma a mio parere una legge che avrebbe garantito in futuro maggioranze stabili.

Matteo, tutto lasciava pensare ad un tuo sostegno al Governo Letta, per il tempo necessario a realizzare le due-tre riforme urgenti per il paese, per poi andare al voto nel 2015, e, speravo, in una tua netta vittoria a capo di una coalizione comprendente Sel e parte del Centro. Dal 2015, con le tue idee, la tua maggioranza, la tua squadra, con la possibilità di uno shock generazionale che, speravo, potesse aiutare il paese a liberarsi da vent’anni di declino morale ed economico del Paese.

Invece, Matteo, te lo dico, mi hai profondamente deluso. Non ho capito le motivazioni che hanno portato alla rimozione di Enrico Letta. Anzi, mi spiego meglio, concordo con te, il Governo Letta per tanti motivi è debole ed incapace di una azione forte, ma a mio parere, i tanti motivi, si chiamano Alfano, Giovanardi, Lupi (per fare solo alcuni esempi). Ritengo che Letta abbia operato in condizioni politiche veramente difficili (infatti all’ex premier va tutta la mia stima umana e personale), e che se non è riuscito ad incidere come avrebbe voluto è proprio per le difficoltà generate da un Governo nato male, tra forze estranee. Mi chiedo, perché dovresti essere più capace di Enrico Letta, se i tuoi alleati resteranno gli stessi?

Avrei capito il cambio di Premier se avesse significato un cambio di coalizione. Partiti diversi con un leader diverso, ma in queste condizioni faccio fatica a capirne la logica.

Aggiungo, e questa per me è la motivazione più grave. Da anni ci parli di una nuova politica, di un Partito Democratico che deve superare la logica delle correnti, di un partito non chiuso nelle stanze di Roma ma legato al territorio, e cosa fai? Mi scalzi Enrico con una manovra di Partito, nei palazzi di Roma, nel chiuso delle segrete stanze!  Speravo il tuo partito potesse essere diverso da quello dei 101 che hanno affossato Prodi, prendo atto invece che il tuo partito è capace di sfiduciare il proprio Premier, nonché persona di rilievo all’interno del Partito.

Poi, per favore, Matteo, risparmiaci le frasi fatte sul sacrificio, le citazioni dell’Attimo Fuggente, le frasi stucchevoli sul senso di responsabilità.

Ciò detto, ti faccio i miei migliori auguri, non tanto a livello personale, ma perché comunque amo questo paese, ne diventerai il Premier, spero per l’Italia che tu possa riuscire a realizzare i tuoi progetti, se calerà la disoccupazione ne sarò felice, se le cose ti andranno bene sarò felice per il mio paese. Ma ho forti dubbi tu possa riuscire in una efficace azione di Governo dovendo mediare ogni singolo provvedimento con Schifani e Giovanardi.

mercoledì 12 febbraio 2014

SEL e l'emendamento sulla pubblicità sui siti politici

POLITICA -
Su questo blog ci siamo già occupati del blog di Grillo e della pubblicità che compare sul blog. Credo che si possa affrontare ancora l’argomento partendo da due notizie molto semplici: la lettere che alcuni deputati hanno scritto, poche settimane fa, al Presidente della Camera, Laura Boldrini, su Casaleggio, Grillo, il suo (loro) blog e il comportamento dei deputati pentastellati in parlamento a fine gennaio; l’emendamento, poi respinto dall’aula, presentato da SEL sulla pubblicità sui siti internet e blog espressione di movimenti e gruppi politici, subito battezzato da molti come anti-blog di Grillo.

Il blog di Grillo non è una pagina personale dell’ex comico genovese. L’indirizzo del sito campeggia nel simbolo del MoVimento 5 Stelle, ne è la voce ufficiale, non si limita a dare notizie e commenti di Grillo ma è una piattaforma intorno alla quale vive l’intero Movimento. Non è solo un semplice sito internet ma punto di riferimento per eletti ed elettori, voce ufficiale di tutto l’M5S, sito, per altro, molto visto (tra i più cliccati nella rete) e che, grazie alla pubblicità, fa introiti, anche se non ci sono dati ufficiali. La senatrice Paola Del Pin, eletta con il MoVimento 5 Stelle e poi passata nel gruppo misto in solidarietà con la collega Gambaro cacciata dal gruppo M5S, sul suo blog cispiega come funziona il meccanismo di come funziona la pubblicità sul blog diGrillo.

Il 3 febbraio un gruppo di parlamentari del Partito Democratico scrive una lettera al Presidente della Camera nel quale viene messa in relazione la visita di Gianroberto Casaleggio ai deputati del MoVimento 5 Stelle, le proteste di fine gennaio dopo la ghigliottina sul decreto IMU-Bankitalia e l’impennata degli accessi al sito di Grillo. Scrivono i parlamentari: “immediatamente dopo le visite di Gianroberto Casaleggio, il Gruppo del M5S ha dato vita a condotte politicamente e mediaticamente a dir poco clamorose e plateali, spesso in violazione del Regolamento della Camera, che hanno portato ad un incremento dell’attenzione dell’opinione pubblica dedicata al Movimento, manifestatasi per lo più attraverso il sito beppegrillo.it e i siti ad esso collegati.” Per concludere chiedendo: “non sarebbe opportuno verificare se tali condotte tenute da Gianroberto Casaleggio integrino la fattispecie di cui all’art. 346 – bis del codice penale, che disciplina il c.d. “traffico di influenze illecite”? Non sarebbe opportuno verificare di quali vantaggi economici e patrimoniali Gianroberto Casaleggio starebbe beneficiando in concomitanza degli ultimi avvenimenti e scontri verificatisi alla Camera dei Deputati, a seguito delle intemperanze dei Grillini? In altre parole, Gentili Colleghi, quanto e chi ci guadagna ad ogni aumento dei contatti e delle visite ai siti internet di Casaleggio e Beppe Grillo, successivo alle caotiche e rivoltose condotte dei Deputati Grillini in Parlamento?”

Certo, sembra forzato sostenere che un imprenditore, cofondatore di un movimento politico, inciti i “suoi” parlamentari a tenere un certo comportamento solo per avere gli introiti pubblicitari conseguentemente all’aumento delle visualizzazioni di siti internet dello stesso imprenditore. Ma alcune considerazioni dei parlamentari piddini sono comunque interessanti, ma per ora rimangono senza risposte.

Durante la discussione sull’abrogazione del finanziamento pubblico ai partiti, in questi giorni in discussione al Senato, SEL presenta poi un emendamento che vieterebbe “la pubblicazione di annunci di carattere commerciale o pubblicitario sui siti internet, anche presentati sotto forma di blog:

- di partiti o di movimenti politici;

 - dei gruppi politici di qualunque assemblea elettiva

 - di chiunque ricopra un incarico istituzionale an che non elettivo;

 - di chiunque ricopra l'incarico di Presidente, Segretario o legale rappresentante di partito o movimento politico che abbia conseguito un eletto alla Camera dei Deputati, al Senato della Repubblica, al Parlamento Europeo o in un Consiglio Regionale.”

Naturalmente in molti hanno letto questo emendamento come un chiaro riferimento al blog di Grillo, e forse è così. Il principio però è chiaro: un partito politico non dovrebbe guadagnare dalla diffusione delle idee politiche tramite la rete perché da una parte si potrebbe sostenere che sia una forma di finanziamento privato (in qualche caso aggirando le norme italiane su questo tema) e dall’altro il rischio di pressione da parte di centri di potere e inserzionisti nei confronti dei partiti potrebbe essere forte. L’emendamento è stato bocciato in Senato.

Il problema, potremmo dire, rimane. È indubbio che il blog di Grillo, come qualsiasi sito internet riconducibile a partiti o a movimenti politici, ha un costo e questo costo potrebbe essere pagato con le inserzioni pubblicitarie, ma credo che il sistema dovrebbe essere di gran lunga più trasparente. Naturalmente sarebbe interessante capire quanto guadagna Grillo dagli introiti del sito, ma questa è un’altra domanda senza risposta.

Napolitano, Friedman e Renzi

POLITICA - Su queste pagine, sia Gavino Pala che Roberto Bortone hanno egregiamente espresso alcune considerazioni sul presunto complotto Napolitano/Monti, ed hanno allo stesso tempo sottolineato le contraddizioni del Movimento 5 Stelle, che parla di colpo di stato con la tranquillità con cui si parla dei risultati del campionato di calcio.

Quindi non mi soffermo più di tanto su questi argomenti, vi consiglio di leggere i loro.

Rispetto ai discorsi su Napolitano mi permetto di fare una breve riflessione. Sono dell’idea che come tutti il Presidente possa essere oggetto di critica, ma che comunque sia necessario il rispetto per la figura che rappresenta. Mi spiego, se diciamo che forse negli ultimi anni, per tutta una serie di motivi, il Presidente si è assunto responsabilità e compiti superiori a quelli previsti, potrei anche essere d’accordo. Se parliamo di impeachment o colpo di stato, assolutamente no.
In breve, ritengo che Napolitano, anche per una carenza strutturale del nostro sistema politico, si sia spesso trovato a dover prendere decisioni importanti in autonomia. Va considerato che, visto dall’estero, probabilmente Napolitano ha rappresentato l’unica certezza di stabilità della politica italiana. Ritengo che se ha assunto poteri importanti di indirizzamento, è perchè il Parlamento italiano era popolato da Scilipoti e Razzi, da ministri che compravano case a loro insaputa e premier indaffarati nei Bunga-Bunga.

Nello specifico, sul presunto scoop di Friedman (che come spiega Gavino Pala scoop non è, visto che su molti giornali si parlava apertamente della ipotesi Monti), penso Napolitano abbia fatto bene. Il paese andava a rotoli, tra crisi economica e morale, compravendite di senatori ed aumento dello spread, e mi chiedo, cosa dovrebbe fare un Capo dello Stato? Assistere impassibile al declino di un Paese? Bene ha fatto Napolitano a contattare Monti, figura a suo tempo autorevole, ben vista in Europa, e sopra le parti. Poi, è andata come è andata, credevo sinceramente Monti potesse fare meglio, ma questo è un altro discorso.
Se invece dovessi sottolineare quelli che per me sono stati due errori del Capo dello Stato, citerei il tempo concesso al Premier Berlusconi, dopo lo strappo di Fini, per rimettere in piedi una maggioranza, e successivamente, dopo le ultime elezioni, io avrei provato a mandare Bersani alle Camere per stanare i grillini. Ciò detto, sono critiche, ma che partono dal rispetto che si deve al Capo dello Stato, oltretutto un quasi novantenne che avrebbe il sacrosanto diritto di riposare, ed è invece costretto per l’incapacità del sistema politico, a doversi sorbire l’avvocato Ghedini e le trecento correnti del Pd.

Qui mi permetto di fare un passo avanti. Arriviamo all’attualità. Si parla insistentemente di una staffetta al Governo tra Enrico Letta e Matteo Renzi. Si parla di una regia di Napolitano. Ecco, in questo caso, sarei nettamente contrario.
Dal 2011, abbiamo avuto prima un Governo Tecnico, poi uno di larghe intese (ridotte poi a strette intese con la fuoriuscita di Forza Italia), ora potrebbe nascere un Governo non si sa bene di quali intese, con l’obiettivo delle riforme. Insomma, sarebbe il terzo governo consecutivo non espressione di una maggioranza solida di una coalizione di partiti, l’ennesimo Governo non scelto attraverso le elezioni.

Oltretutto, lo dico da persona vicina al centrosinistra, finora Renzi, sempre a mio parere, si stava muovendo bene: ha vinto le primarie con un ampio margine, ha portato le sue proposte in direzione, sta portando avanti una trattativa sulla riforma della legge elettorale, che, pur se fatta col nemico storico, potrebbe portare benefici a tutto il paese. Insomma, Renzi potrebbe tranquillamente aspettare la sua occasione tra un anno, ambire a vincere le elezioni e ritrovarsi con una maggioranza solida e con un governo che non dovrebbe sottostare ai ricatti di un Alfano o di un Lupi.
Il paese potrebbe avere dopo anni un Governo Normale, espressione di una maggioranza, che magari potrebbe poi avere, come nei paesi normali, rapporti civili e di collaborazione con l’opposizione.

Invece, sembra che ci avviamo per l’ennesima volta ad un qualcosa di ambiguo. Chi vivrà vedrà.
Mario Scelzo.

martedì 11 febbraio 2014

Anche oggi abbiamo il nostro complotto

POLITICA -
Pensiamo per un attimo alla nostra storia. Pensiamo a quella che è stata la strategia della tensione, alla Notte della Repubblica, come la chiamò Sergio Zavoli. Pensiamo alle stragi impunite, ai mandanti occulti. Pensiamo alla P2 e ai servizi segreti deviati. Pensiamo a piazza Fontana, all’Italicus e alla stazione di Bologna, alle indagini deviate. Pensiamo ad Ustica e a Gladio. Pensiamo al Piano Solo e al Golpe Borghese.
Durante la Prima Repubblica, nel mezzo della Guerra Fredda, l’Italia è stata lo scenario di intrighi internazionali e di tentativi di controllare l’ordine anche utilizzando la forza. La presenza in Italia del più forte partito Comunista dell’Europa Occidentale e fedele (almeno fino alla segreteria Berlinguer) all’Unione Sovietica, ha diviso la popolazione in due. La paura dei nostri alleati di una vittoria del PCI è stata la scusa per attuare quella che giornalisticamente prima e storicamente dopo è stata chiamata appunto la strategia della tensione.

Forse pensando proprio alla nostra storia che oggi viene utilizzata, anche in maniera forzosa, la parola golpe, colpo di stato, complotto. Negli ultimi vent’anni prima Berlusconi e recentemente Grillo hanno spesso abusato di questi termini. Berlusconi, l’8 dicembre dello scorso anno, presentando i circoli di Forza Italia, denunciava: “Non ci sono stati i carri armati in piazza e nelle strade, ma negli ultimi vent’anni ci sono stati quattro colpi di Stato nel nostro Paese. Ancora oggi siamo in una situazione di pericolo.” E Grillo, solo pochi giorni fa, nel suo Blog scriveva: “In Italia è in corso, ora, mentre tu leggi questo articolo, un colpo di Stato, non puoi più far finta di nulla. Non è il primo, potrebbe essere l'ultimo.”
In queste ore il giornalista economico Friedman anticipa un passaggio del libro che ha appena dato alle stampe: nell’estate del 2011 il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha sondato la disponibilità del professor Mario Monti per assumere, nell’eventuale caduta del governo Berlusconi, la guida dell’esecutivo, cosa accaduta, come sappiamo, nel novembre dello stesso anno. Si è subito parlato di colpo di stato, di attentato alla Costituzione, di un nuovo golpe.  

Vanno però ricordate alcuni eventi prima di gridare al golpe. Non credo che ci sia stato un complotto internazionale per far cadere Berlusconi ma è indubbio che la grande finanza, dopo la Grecia, puntava a far fallire anche il nostro paese e c’è stata indubbiamente una forte speculazione verso l’Europa in genere e verso l’Italia in particolare (più che un complotto internazionale si dovrebbe parlare di una finanza impazzita che ha contribuito pesantemente alla forte crisi economica di questi anni). È anche indubbio il pessimo rapporto tra il nostro capo del governo e la cancelliera tedesca Angela Merkel, e i pessimi rapporti tra i due esplodono nel settembre del 2011 quando gira la voce di un’intercettazione dell’allora Presidente del Consiglio che si sarebbe lasciato andare a frasi osceni sulla Merkel tanto che il settimanale tedesco Der Spiegel parla di Berlusconi come di un “Zotico e volgare." Il 5 agosto del 2011 arriva poi la famosa lettera dalla BCE firmata dal presidente Jean Claude Trichet e dal suo successore Mario Draghi. L’Europa delle Banche volevano fare fuori Berlusconi? Tutto può essere, ma leggendo il testo la richiesta è di mettere mano alle riforme per affrontare la crisi, riforme necessarie (forse ancora oggi) ma che ancora non arrivavano. È il caso di ricordare che Berlusconi è stato uno dei politici per più anni al governo nella storia della Repubblica Italiana e che ha avuto maggioranze talmente larghe che aveva l’opportunità, a mio avviso non sfruttata a pieno, di riformare il sistema Italia.
Ma non è solo il rapporto con l’economia internazionale e le cancellerie straniere ad essere un problema per Berlusconi, il Presidente del Consiglio aveva più di un problema anche in Italia. In quei mesi si sentiva forte l’inizio della crisi economica mal affrontata dall’esecutivo (ricordiamo i ristoranti pieni?). lo spread, parola sconosciuta fino a poche settimane prima, iniziava a dare segni preoccupanti (saliva per colpa del complotto internazionale?), ma erano preoccupanti anche altri dati economici legati alla disoccupazione e alla pressione fiscale. Non solo. Il 14 dicembre del 2010 Berlusconi deve affrontare il Parlamento per avere un nuovo voto di fiducia dopo che il PDL aveva perso la compagine finiana. Berlusconi quel giorno incasso la fiducia nelle due camere ma mentre in Senato il vantaggio era consistente, a Montecitorio la sua maggioranza si reggeva per una manciata di voti (furono decisivi i voti di Razzi, Scilipoti eletti con l’IDV, l’ex veltroniano Calearo e soprattutto, a sorpresa quel giorno votò la fiducia, Catia Polidori fino a poche ore prima della fiducia colomba finiana). Berlusconi rimarrà in carica poco meno di un anno fino al voto sul rendiconto generale dello stato quando la norma passò si con 308 voti favorevoli ma grazie all’astensione di 312 deputati, segnando di fatto la fine del governo Berlusconi ed aprendo, di fatto, la breve parentesi del Governo Tecnico guidato da Mario Monti.

Rileggendo questi fatti stupisce che il Presidente della Repubblica, con alcuni mesi di anticipo su quella che sarebbe stata la fine del governo Berlusconi, abbia iniziato a capire se ci fosse la possibilità di trovare un’alternativa allo stesso governo poco sopportato in Europa, commissariato di fatto dalla BCE e che continuava a perdere deputati e forse non in grado di risanare i conti pubblici? Mario Monti, liberale, economista bocconiano, con un grande prestigio in Europa (dove aveva ricoperto la carica di Commissario Europeo) editorialista del Corriere della Sera, era una figura rassicurante e soprattutto l’uomo che avrebbe potuto risanare le casse dell’Italia in un momento di forte crisi economica.
Il Presidente della Repubblica ha poi il dovere, prima di sciogliere le Camere, di capire se c’è una maggioranza alternativa, cosa che aveva provato a fare con Prodi, non riuscendoci, e che ha fatto poi con Monti. Ricordiamo poi che Berlusconi ha votato la fiducia a Mario Monti.

Mi sembra forzato pensare ad una congiura internazionale che coinvolge contemporaneamente le cancellerie internazionali, la Banca Centrale Europea, il nostro Presidente della Repubblica (magari anche la magistratura) per far cadere un governo traballante (forse anche Fini era tra i congiurati?)
Lo scoop di Friedman , molto utile a pubblicizzare il suo libro, era già su molti giornali dell’epoca (La Stampa aveva riportato quell’estate un incontro tra Monti, Prodi, De Benedetti con al centro proprio la possibilità per il professore della Bocconi di essere chiamato a guidare l’esecutivo).

Vorrei ricordare, a margine di queste considerazioni, solo due cose.
La prima: l’ex Senatore Silvio Berlusconi (decaduto dal suo incarico per la condanna definitiva per frode fiscale) che oggi sarebbe la vittima di un complotto internazionale contro di lui oggi è accusato (in questi giorni inizierà a Napoli il processo di primo grado) della compravendita dell’ex Senatore De Gregorio per far cadere Romano Prodi.

Beppe Grillo, che ancora oggi indica in Napolitano il male dell’Italia, in quell’estate sul suo blog scriveva in una lettera aperta al Presidente della Repubblica: “Il Governo è squalificato, ha perso ogni credibilità internazionale, non è in grado di affrontare la crisi che ha prima creato e poi negato fino alla prova dell'evidenza.” Per poi concludere: “Lei ha il diritto-dovere di nominare un nuovo presidente del Consiglio al posto di quello attuale. Una figura di profilo istituzionale, non legata ai partiti, con un l'unico mandato di evitare la catastrofe economica e di incidere sulla carne viva degli sprechi.” Descrivendo di fatto, in anticipo con i tempi, la figura di Mario Monti (forse anche Grillo ha partecipato al complotto internazionale)

Falsi complotti e convergenze parallele: Grillo, Forza Italia, l'impeachment di Napolitano ed il futuro di Renzi

Fiumi di parole sono state scritte in questi giorni a commento della richiesta di impeachment per il Presidente Napolitano presentato dal movimento 5Stelle. News, tweet e video si sono sprecati in queste ore (a cominciare dal Corriere che ha davvero "sprecato" la prima pagina..) sul falso scoop di Friedman relativo al mandato di Monti. Non vale davvero la pena rientrare in queste polemiche sterili perché ogni commento è superfluo. Sarà la storia ormai a giudicare l'operato di Napolitano (c'è molto da approfondire su una figura come lui), i governi di Berlusconi (si tratterà probabilmente dell'unico processo-verità in cui la prescrizione non conta) ed il salvataggio di Monti (come la si voglia vedere se abbiamo ancora l'inchiostro nelle penne per scrivere...).
Detto ciò vale piuttosto la pena rileggere alcune righe circolate nella democratica rete. Si tratta di 2 post di un blog molto frequentato, utili per comprendere come i presunti salvatori della patria altro non siano, alla fine, che falsi profeti: oggi dicono una cosa e domani (come i loro predecessori) esattamente il contrario. No, non stiamo parlando di Matteo Renzi, il quale ancora non ce ne dà adito. Ecco cosa scriveva Beppe Grillo a Giorgio Napolitano nel 2011 e cosa invece scrive ora per motivare la richiesta di impeachment. Il problema del pensiero unico (tutto o è bianco o è nero) è proprio questo: facilmente si contraddice da solo, rilevando la sua pochezza.

dal Blog di Beppe Grillo del 30 luglio 2011
«Spettabile presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, quasi tutto ci divide, tranne il fatto di essere italiani e la preoccupazione per il futuro della nostra Nazione. L’Italia è vicina al default, i titoli di Stato, l’ossigeno (meglio sarebbe dire l’anidride carbonica) che mantiene in vita la nostra economia, che permette di pagare pensioni e stipendi pubblici e di garantire i servizi essenziali, richiedono un interesse sempre più alto per essere venduti sui mercati. Interesse che non saremo in grado di pagare senza aumentare le tasse, già molto elevate, tagliare la spesa sociale falcidiata da anni e avviare nuove privatizzazioni. Un’impresa impossibile senza una rivolta sociale. La Deutsche Bank ha venduto nel 2011 sette miliardi di euro dei nostri titoli».
«È più di un segnale: è una campana a martello che ha risvegliato persino Romano Prodi dal suo torpore. Il Governo è squalificato, ha perso ogni credibilità internazionale, non è in grado di affrontare la crisi che ha prima creato e poi negato fino alla prova dell’evidenza. Le banche italiane sono a rischio, hanno 200 miliardi di euro di titoli pubblici e 85 miliardi di sofferenze, spesso crediti inesigibili. Non sono più in grado di salvare il Tesoro con l’acquisto di altri miliardi di titoli, a iniziare dalla prossima asta di fine agosto. Ora devono pensare a salvare sé stesse».
«In questa situazione lei non può restare inerte. Lei ha il diritto-dovere di nominare un nuovo presidente del Consiglio al posto di quello attuale. Una figura di profilo istituzionale, non legata ai partiti, con un l’unico mandato di evitare la catastrofe economica e di incidere sulla carne viva degli sprechi».

lunedì 10 febbraio 2014

Verso le elezioni europee

VERSO LE EUROPEE -
Nel prossimo mese di Maggio, esattamente tra il 22 ed il 25, si terranno le ottave elezioni dell’Unione Europea. In particolare gli elettori saranno chiamati ad eleggere il prossimo Parlamento Europeo. Credo ci sia molta confusione in merito, in tanti, io per primo (ho fatto una ricerca su Internet per documentarmi), non sanno esattamente per cosa si vota, quali sono i partiti di riferimento, quali i compiti del Parlamento. Vorrei provare a fare un po’ di chiarezza ed allo stesso tempo vorrei proporre alcune riflessioni.
La prima riflessione. Tutti noi siamo distratti dalle polemiche politiche italiane. Senza entrare nel merito, direi che nel nostro paese esiste un notevole caos politico, tra partiti che gridano al colpo di Stato, altri che si separano ma restano alleati, altri dove esistono più correnti che parlamentari.  Renzi contro Letta, Grillo contro tutti, Alfano contro (o no?) Berlusconi, etc…   Credo che questo vortice di tensioni ci rende faticoso allargare il nostro sguardo verso l’Europa, luogo ormai deputato a numerose decisioni rilevanti per le nostre vite quotidiane.

Quindi, prima di tutto, mi permetterei di suggerire che dovremmo avere come cittadini, e come elettori, più consapevolezza della nostra appartenza all’Unione Europea. Chi un minimo viaggia per il mondo, si accorge sempre più di quanto l’Europa stia diventando periferia, stretta tra le nuove potenze asiatiche, i paesi emergenti della America Latina, forze storiche come gli Stati Uniti e la Russia, l’inizio dello sviluppo Africano.  Insomma, l’Italia, la Spagna, la Francia, da sole contano sempre di meno, sia a livello economico che sociale, nello scacchiere mondiale, ma acquistano peso ed importanza se inserite nel contesto storico-sociale della Unione Europea.
A mio parere, anche se purtroppo questo accade sempre di meno, l’Europa avrebbe ancora tanto da dire a livello culturale, penso a battaglie sacrosante come la lotta alla Pena di Morte, alla difesa dei Diritti Umani, alla tutela dei migranti. Se l’Europa si indebolisce economicamente, tanto più andrebbe rivalutato il suo patrimonio storico-culturale, le fonti del suo pensiero liberale, illuminista, popolare.

Dopo questa premessa, una seconda riflessione: si sentono spesso dire nel linguaggio corrente frasi del tipo…tanto decide l’Europa….i casini che combinano a Bruxelles….decide la Merkel….la Banca Centrale Europea etc. 
Mi permetto di dissentire. E’ vero che molte decisioni ormai vengono prese in sede europea, ma ci tengo a sottolineare che l’Europa siamo noi. Come cittadini e come elettori, possiamo prima di tutto eleggere i nostri rappresentanti al Parlamento Europeo, in secondo luogo possiamo fare pressioni, attuare comportamenti, insomma dobbiamo imparare ad essere cittadini attivi e non passivi. Personalmente non accetto chi sostiene che altri prendono le decisioni, e magari non ha neppure votato per scegliere i propri rappresentanti.

Su un punto concordo però con i discorsi del cittadino medio. E’ opinione diffusa, e personalmente concordo, che i meccanismi decisionali della Unione Europea siano complessi e farraginosi. Esiste il Parlamento Europeo, la Commissione Europea, il Consiglio Europeo, la Corte di Giustizia etc…..in più, se alcuni organi sono elettivi, altri sono nominati dai singoli governi. Sicuramente c’è poca chiarezza ed esistono delle zone d’ombra, che contribuiscono a formare l’opinione comune per cui le decisioni europee ci vengono imposte senza che noi possiamo metterci bocca.
Ma, partiamo da un punto fermo. Con il nostro voto possiamo determinare la composizione del Parlamento Europeo. Come detto, pur non essendo l’unico organo istituzionale, il Parlamento ha numerosi compiti e poteri. Sintetizzo, oltre ad essere il luogo addetto ad esercitare il potere legislativo, il Parlamento contribuisce alla elezione del Presidente della Commissione Europea, e soprattutto ha un potere di veto rispetto alle decisioni della Commissione Europea.  Insomma, con il nostro voto possiamo contribuire  a determinare le linee guida delle politiche europee dei prossimi anni.

Sappiamo che le prossime elezioni porteranno alla scelta di 751 parlamentari, divisi per nazioni. Più sono gli abitanti di una nazione, più parlamentari elegge, ad esempio la Germania 96, l’Italia 73, il Belgio 21 e cosi via. Per avere una idea, nel Parlamento attuale siedono forze riconducibili a sette schieramenti diversi, dalla sinistra radicale, al Pse, al Ppe, ai liberali, ai verdi, alla destra xenofoba, ai conservatori.
Nei prossimi giorni, sempre su queste pagine, proverò a sintetizzare le famiglie politiche europee e ad associare ad esse i partiti politici italiani. Un rapido esempio, sia lìUdc che il Nuovo CentroDestra che Forza Italia che i Popolari per l’Italia si riconoscono nel Partito Popolare Europeo, anche se appunto il PPE guarda con enorme disagio alla presenza di Silvio Berlusconi tra le sue file, e non è escluso un atto ufficiale di presa di distanza del Ppe da Forza Italia.

A sinistra, sembra che il Pd abbia deciso di riconoscersi nel Partito Socialista Europeo (Pse), ma parte del Pd, per capirci l’ex margherita, non ne è contenta, altri del Pd di tradizione comunista guardano magari con simpatia alla Sinistra Radicale di Syriza e del suo leader Tzipras, non è ancora chiaro se Sel sceglierà appunto Tsipras o il Pse, c’è poi la variabile Movimento 5 Stelle, che si presenta per la prima volta alle elezioni europee e per ora non sembra manifestare volontà di associarsi ad altri partiti.
Insomma, la materia è complessa, ne parleremo nei prossimi giorni, per comodità dividerò le famiglie europee in tre grandi gruppi: 1) famiglia comunista-socialista; 2) famiglia popolare-liberale; 3) gruppi antieuropei, destra xenofoba, movimento 5 stelle.
 
Mario Scelzo

giovedì 6 febbraio 2014

Casini, D'Alema e Schifani

POLITICA - Vorrei sottoporvi una brevissima riflessione. Se avete letto qualcuno dei miei precedenti articoli su queste pagine, sapete che non ho una buona opinione del Movimento 5 Stelle, che considero un partito dedito alla distruzione  e non alla costruzione, è un partito che se potrebbe trovarmi d’accordo su qualche tematica, ritengo del tutto inadeguato per la strategia adottata in Parlamento, per i toni offensivi, per le molte opacità della coppia al comando Grillo e Casaleggio. Non mi dilungo, se viinteressa vi consiglio uno dei miei articoli in merito.

Vado al sodo. A mio parere, se i principali partiti politici attuassero comportamenti coerenti, pensassero al bene comune e non all’interesse personale, si dedicassero con competenza ai problemi del paese, la politica propagandistica del Movimento 5 Stelle non avrebbe nessun senso. Purtroppo, mantiene un senso a causa dei comportamenti di alcuni politici che, pur avendo commesso numerosi errori, pur essendo stati protagonisti nel bene o nel male ( a mio parere più nel male) della vita politica degli ultimo 20-30 anni, non si rassegnano a farsi da parte ed a lasciare spazio ad altre persone.
Cosa accomuna Casini, Schifani e D’Alema? Per me, tutti e tre, da strade politiche diverse, sono stati importanti protagonisti della vita politica degli ultimi anni. Chi Presidente del Consiglio, chi Capo Partito, chi Presidente della Camera o del Senato, alfieri della sinistra, del centro o della destra, sono indubbiamente stati protagonisti degli (almeno) ultimi 20 anni della nostra vita politica. Ora, è giudizio direi condiviso da quasi tutti gli osservatori che la Seconda Repubblica ha coinciso con un periodo di crisi dei partiti, con un decadimento morale e, specialmente negli ultimi anni, con la crisi economica. La mia domanda è, allora, perché le persone che hanno contribuito al declino di questo paese non accettano di farsi da parte? Perché devono continuare a tessere trame, pubbliche o occulte, a fare e disfare partiti, visto che il loro contributo negli ultimi anni è stato negativo?
Penso che la loro presenza nella vita politica valga un 5% ciascuno regalato alla propaganda del Movimento 5 Stelle, che ha buon gioco a parlare di casta, di favori, di conflitti di interessi.
Andiamo un minimo nello specifico. D’Alema inizia a fare politica nei giovani comunisti nel 1963. E’ fin dai primi anni 80 un dirigente di peso del Partito Comunista. Gli si può forse riconoscere il merito di aver chiuso la stagione del comunismo duro e puro e di aver traghettato il suo partito, per capirci il Pds prima ed i Ds poi, verso il socialismo europeo. Nel 1998 diviene il primo Presidente del Consiglio italiano proveniente da origini comuniste. Non mi dilungo, per anni il Pci ha lottato per avere il Governo, ma con D’Alema Premier non si ricordano brillanti ed efficaci politiche di sinistra. Dal 2000 in poi, D’Alema, in via ufficiale ma spesso manovrando i suoi fedelissimi, ha indebolito se non contribuito a far cadere Governi e Segreterie, da Prodi a Veltroni, da Bersani a Franceschini, dalla elezione di Prodi al Quirinale etc….. non è riuscito a fermare la corsa di Matteo Renzi ma sono personalmente convinto che a manovrare le attuali turbolenze di Cuperlo e Fassina ci sia sempre lo zampino di D’Alema.
Schifani. Dopo una vita nella DC aderisce a Forza Italia nel 1995 e scopre la politica nazionale. Nel 2008 diviene Presidente del Senato, la seconda carica dello Stato. Fedelissimo di Berlusconi, creatore del Lodo Schifani che ha cercato di garantire una sorta di impunità all’ex Premier nonché suo scopritore politico. Insomma, una carriera politica anche importante grazie alla sponsorizzazione di Silvio Berlusconi. E cosa fa il buon Renato? Fonda il Nuovo Centrodestra per contrastare la leadership di Silvio Berlusconi. Ora, io sarei ben felice se in Italia nascesse un nuovo centrodestra moderato, di respiro europeo, che guardi al Partito Popolare Europeo. Mi domando come possa risultare credibile quello che oggi si chiama Nuovo Centrodestra, popolato da politici che per 20 anni hanno obbedito come soldatini agli ordini di Berlusconi.

Casini. Già negli anni 80 membro della Democrazia Cristiana. Nella Seconda Repubblica, prima col CCD poi con l’Udc alleato di Berlusconi. Per più di dieci anni ha governato insieme al Cavaliere, magari a volte cercando di portare moderazione alle proposte peggiori di Forza Italia, magari cercando di arginare le pressioni xenofobe della Lega Nord. A mio parere non c’è affatto riuscito, basti pensare che con l’Udc, partito di ispirazione cattolica, al Governo, viene approvata la legge sulla immigrazione Bossi-Fini che veramente non si può definire improntata ai principi della accoglienza e della solidarietà. Nel 2008 le tensioni esplodono e l’Udc di Casini non entra nel Popolo della Libertà e di fatto chiude i rapporti con l’area Berlusconiana. Casini cerca la strada del Terzo Polo. Volano parole grosse tra lui ed il Cavaliere. Non mi dilungo, vi segnalo solo questo tweet di PierFerdinando:
5 gen 2013: 

#Berlusconi mi insulta, ma non mi offendo. È nervoso: la sfida ormai è tra #Bersani e #Monti. Silvio è fuori gioco. Ora voltiamo pagina.

Casini si allea con Mario Monti e con Gianfranco Fini. Il risultato va al di sotto delle attese, sia per la coalizione, ma soprattutto per l’Udc. Se consideriamo che tutta la coalizione montiana arriva al 10.7%, va detto che dal nulla Scelta Civica raggiunge un dignitosissimo 8% mentre se non sbaglio il Partito di Casini non supera il 2. Segue un anno di tensioni tra alleati, di feroci discussioni tra Scelta Civica ed Udc, discussioni che se diamo retta ai sondaggi dimezzano l’elettorato centrista. Poi, arriva la proposta della nuova legge elettorale, edimprovvisamente Casini sceglie di tornare tra le braccia di Berlusconi. Mi domando, con quale credibilità si può seguire la strategia politica di Pier Ferdinando, se un anno fa parlava di Berlusconi come un pericolo ed oggi si propone come alleato?

Concludo. Fin quando a dettare la linea dei principali partiti politici italiani ci saranno personaggi come D’Alema, Casini e Schifani (ho preso loro come esempi, ma ne esitono molti altri), il Movimento 5 Stelle resterà saldo sopra il 20%. Se ci sarà un minimo di pulizia, ma soprattutto facce e proposte nuove (e va detto, con Renzi il Pd ha scelto di rompere col passato), son convinto che avremo una politica più credibile, ed anche la propaganda del Movimento 5 Stelle si rivelerà per quello che è, un enorme bluff.
Mario Scelzo.

mercoledì 5 febbraio 2014

Primi effetti dell'Italicum: Casini torna nel Centro Destra

POLITICA -
In questi giorni si è molto parlato del ritorno nel centro destra di Pierferdinando Casini. Non è il caso di fare nessun commento in proposito, molti hanno già scritto su questo e sulla mancanza di coerenza di un politico che aveva lasciato quella formazione ormai tanti anni fa, e con vanto, puntando a costruire un nuovo polo (al centro con Fini, Rutelli e poi ancora con Monti), e che aveva proferito parole molto dure verso il leader del Centro Destra (dandogli, tra le altre cose, del bugiardo)

Casini ed il suo UDC erano parte integrante, nelle ultime elezioni politiche, di quello che aveva l’intenzione di diventare il Terzo Polo (distinti e distanti dal Centro Sinistra e dal Centro Destra) insieme a Futuro e Libertà e Scelta Civica. Il non esaltante risultato elettorale (anche per una campagna elettorale mal gestita dal Senatore Monti) con una “non vittoria” di Bersani e della coalizione Italia Bene Comune (si è sempre ipotizzato una eventuale entrata nella maggioranza di Monti se al Senato i suoi voti fossero stati determinanti per la fiducia di un eventuale governo Bersani), hanno messo in luce molte differenze sia all’interno di Scelta Civica (e da poche settimane l’ala cattolica ha abbandonato la stessa Scelta Civica cercando di creare un movimento che si ispira ai popolari europei), che tra Scelta Civica ed i loro alleati, sancendo di fatto la scomparsa del Terzo Polo o, come lo stesso Casini afferma, indicando il MoVimento 5 Stelle come il vero Terzo Polo.

La scelta di Casini di ritornare nel Centro Destra, mentre sembra che Scelta Civica abbia iniziato a guardare verso il Centro Sinistra (la senatrice Linda Lanzillotta ha per esempio twittato: “Tra #Berlusconi e #Renzi @Scelta_Civica sceglie come interlocutore il #Pd per essere coscienza critica nella realizzazione delle riforme.”) è probabilmente figlia della legge elettorale in discussione in Parlamento.

Come sappiamo (su questo blog ne ha parlato Mario Scelzo) l’Italicum prevede un cospicuo premio di maggioranza a chi supera la soglia del 37% o, se nessuno dovesse arrivare a quella soglia, a chi vincesse l’eventuale ballottaggio tra le prime due formazioni.

Secondo gli ultimi sondaggi il centro destra ed il centro sinistra sono vicinissimi tra loro (poche punti percentuali di differenza) ed entrambi potrebbero raggiungere la soglia del 37% al primo turno. Migliaia di voti diventerebbero determinanti per la vittoria finale. Casini, sempre secondo i sondaggi, oggi prenderebbe pochissimi voti (si attesta intorno al 2%) ma quei voti sarebbero determinanti per una eventuale vittoria se spostati tutti da una parte. Vedremo di nuovo, questo è il forte rischio, alleanze dove per vincere ci si imbarca tutti. In passato è successo diverse volte, penso all’ultimo governo Prodi dove, per vincere, si era creata un’alleanza dove l’unico collante era l’antiberlusconismo, mettendo insieme partiti distanti tra loro (da Rifondazione Comunista di Bertinotti, il quale ottenne la presidenza della Camera, all’Udeur di Mastella, diventato Ministro della Giustizia) con un programma di centinaia di pagine anche in contradizione tra loro.

Il rischio dell’Italicum è questo, vedere enormi coalizioni non coerenti tra di loro, in un momento in cui l’Italia ha bisogno di riforme anche divisive ma efficaci. La governabilità che l’Italicum garantisce è solo per chi ha più voti in Parlamento senza prendere in considerazione il tipo di coalizione (già mi immagino veti e contro veti su ogni provvedimento).

martedì 4 febbraio 2014

Mozambico, segnali di dialogo.


Sintetizzo all’estremo per chi non avesse voglia di leggere, e per quanti non conoscono la situazione di questo splendido paese, che ho personalmente conosciuto e visitato più volte dal 2002 al 2009.
Indipendente dal Portogallo dal 1975, il Mozambico, già estremamente povero  e distrutto dalla guerra di liberazione dai portoghesi, si trova in una situazione di guerra civile tra il partito al Governo ,la Frelimo, e il partito d’opposizione, la Renamo. Guerra che va avanti per  17 anni, fino agli Accordi di Pace firmati a Roma presso la Sede della Comunità di Sant’Egidio, parte mediatrice, il 4 Ottobre 1992. Bene, per 20 anni e più, la Pace ha garantito al Paese stabilità, crescita e un buon livello di rispetto degli standard democratici. Con tutte le difficoltà di un Paese già povero che esce da 25 anni di guerra; negli ultimi 10 anni il Pil del Mozambico cresce a botte dell’8-9 e perfino 10% (pensiamo che in Italia da anni stiamo in fase di decrescita, o quando va bene c’è una crescita dell’1%).

Improvvisamente però, nello scorso Ottobre, insorgono nuove tensioni tra la Frelimo e la Renamo. Leggiamo cosa scriveva “L’Internazionale” pochi mesi fa:
“La tensione politica in Mozambico sale in modo grave e improvviso. La Renamo (Resistenza nazionale del Mozambico), l’ex guerriglia e principale partito di opposizione, ha dichiarato la fine dell’accordo di pace del 1992 dopo che, il 21 ottobre, l’esercito ha occupato la sua base a Gorongosa, dove il suo leader, Afonso Dhlakama, è rifugiato da circa un anno.

Il governo portoghese ha denunciato “l’atteggiamento irresponsabile del comandante delle forze armate”, riferendosi al presidente Armando Guebuza. “La responsabilità è del governo del Frelimo perché non ha voluto ascoltare le lamentele della Renamo”, afferma una nota del ministero degli esteri di Lisbona.
Un gruppo di giornalisti del quotidiano mozambicano O País è entrato nella base della Renamo al seguito delle forze armate e riferisce che Dhlakama sta bene. Anche le persone che vivevano a Gorongosa si sono salvate perché si erano allontanate prima dell’inizio dei bombardamenti del 21 ottobre.

Il portavoce della Renamo Fernando Mazanga ha dichiarato: ”L’occupazione della nostra base decisa dal presidente Dhlakama segna la fine della democrazia multipartitica in Mozambico. Questo atteggiamento irresponsabile mette fine agli accordi di Roma”.
Gli accordi firmati a Roma il 4 ottobre 1992, con la mediazione della Comunità di Sant’Egidio, avevano messo fine a 16 anni di guerra civile tra Frelimo e Renamo.

Secondo Público tutto il paese vuole che Guebuza e Dhlakama tornino a  negoziare. Ma l’episodio è un ulteriore passo nella tensione politica e militare crescente, aumentata il 22 ottobre in seguito a un attacco della Renamo contro un posto di polizia.”
Questo scriveva l’Internazionale, e questa situazione di tensione è continuata per tutta la fine del 2013 e l’inizio del 2014. Seppur circoscritta ad alcune aree del Paese, la tensione ha provocato scontri violenti, generati spesso in sparatorie, disordini, atti dinamitardi. Secondo Radio Vaticana, si parla di migliaia di sfollati, purtroppo gli scontri hanno causato anche numerose vittime.

La situazione stava davvero prendendo una brutta piega, ma per fortuna, negli ultimi giorni, si registrano novità positive. Le pressioni internazionali, la mediazione della Comunità di Sant’Egidio che dopo l’Accordo di Pace è sempre una presenza amichevole nella vita del Paese, la ragionevolezza delle forze politiche, hanno portato novità importanti. La notizia è in portoghese, ma ve la sintetizzo. In pratica Frelimo e Renamo hanno concordato la formazione di un Comitato Nazionale del Dialogo, ed hanno proposto di nominare cinque personalità superpartes come garanti del lavoro dell’Osservatorio. Al di là dei dettagli, l’articolo parla di un clima positivo ed improntato al dialogo, sembra che le tensioni degli ultimi mesi si stiano stemperando, e l’obiettivo è di tranquillizzare la situazione e garantire serene elezioni il prossimo 15 Ottobre del 2015. In sostanza, dopo il caos degli ultimi mesi, la Renamo si era ritirata e dichiarata non disponibile a partecipare a tali elezioni, che invece, se il dialogo continuerà, potranno essere un ulteriore momento di crescita democratica del Paese.
Va detto, per inciso, che la Frelimo ha vinto tutte le elezioni politiche nazionali tenutesi dal 1992, ma ad esempio a livello locale (per capirci, come se parlassimo di regionali e provinciali) la Renamo ha governato alcune importanti città del paese, ed una nuova forza politica, la MDM di David Simango ( ex della Renamo poi uscitone per formare questa nuova formazione politica) ha ottenuto una notevole affermazione ed ha vinto in alcune importanti città del Paese. Segnalo anche come segnale positivo che l’attuale Presidente Guebuza si ritirerà al termine del suo secondo mandato. E’ previsto dalla Costituzione, ma sono numerosi i casi di Presidenti Africani che si innamorano del potere e pur di non lasciarlo attuano modifiche costituzionali notturne, per garantirsi altri anni al potere.

Abbiamo quindi un Paese in crescita (con un notevole potenziale ancora poco utilizzato, sia nel turismo, sia nello sfruttamento delle risorse del territorio), una Democrazia che cresce e che si avvia verso il multipartitismo, un popolo felice. Da qualche anno, anche la piaga dell’Aids fa meno paura, visto il nuovo clima mondiale e gli sviluppi di Terapie, e soprattutto grazie all’opera di numerose realtà di volontariato che da anni si battono, con successo, per l’accesso delle Terapie Antiretrovirali.
Ci auguriamo davvero che il Mozambico possa continuare ad essere un modello di Pace e Democrazia per tutta l’Africa.

Mario Scelzo