giovedì 9 gennaio 2014

La polvere sulla cultura

ATTUALITA' - l'Italia è una terra dalla storia antica e ricca e ci si aspetterebbe molta attenzione alla cultura. Invece, in modo tristemente sorprendente, è un paese dove il patrimonio culturale va in rovina e si disperde. Lo abbiamo visto con la tristissima vicenda del degrado di Pompei. Interventi mancati, carenze di personale, progetti bloccati dalla burocrazia.

Anche l'ultimo Governo  ha ridotto il budget per la cultura. Secondo l'ultimo bilancio, il Mibac, ministero per i Beni Culturali, "risparmia" oltre 100 milioni di euro rispetto al 2012, era Monti, e rispetto al 2008, era Berlusconi, spende il 24% in meno. Purtroppo non si tratta di risparmi, bensì di brutali tagli lineari. Come in altri ambiti della pubblica amministrazione, infatti, non si è riusciti finora a fare altro che lesinare sulla carta per le fotocopie e ritardare il pagamento delle bollette (il Mibac ha circa 40 milioni di utenze in arretrato). Altro che spending review! E così, se le spese generali si riesce a comprimerle poco o per nulla, i numeri per far quadrare il bilancio si ottengono lesinando sugli interventi: rispetto al 2008, sono diminuiti del 58,2% i fondi per i provvedimenti urgenti di tutela e del 52% i fondi per i programmi di tutela ordinari. Insomma si getta via l'uovo e ci si tiene il guscio. Sarebbe forse ora di pensare ad una riorganizzazione complessiva del sistema dei beni culturali?
Ci sono stati vari cambiamenti organizzativi negli ultimi anni, si è cercato di rendere il ministero più compatto ed efficiente. Il problema però non sembra tanto a livello centrale, dove il ministero non è così gigantesco, quanto a livello locale, dove abbondano le sedi. Esistono quattro diversi tipi di sovrintendenza e ogni capoluogo di provincia ne ha almeno una. Almeno una, ma la normalità è che ce ne siano due o tre. Tanto che il ministero, per coordinare tutti questi uffici, ha bisogno di avere anche delle direzioni regionali, che facciano da tramite fra il centro e la periferia. E poi istituti, biblioteche, archivi e soprintendenze "speciali" che hanno una propria autonomia e rispondono direttamente a Roma. Non è difficile immaginare come una struttura del genere sia caratterizzata da insufficiente comunicazione tra gli uffici, procedure farraginose e mortalmente lente, problemi dovuti al rapporto con gli enti locali che pure hanno delle competenze in materia di beni culturali. Riorganizzare il ministero appare quindi una operazione abbastanza complicata tanto che si è diffusa una leggenda metropolitana su uno degli ultimi ministri dei beni culturali: si sarebbe infine dimesso perché "esaurito" a causa della complessità del ministero, dalle ristrettezze di bilancio e dalle continue polemiche.
Alcuni propongono la smaterializzazione degli archivi e delle biblioteche. Uno dei siti internet più famosi al mondo è Wikipedia, una enciclopedia, e su molti siti della grande rete è possibile trovare e leggere libri. Insomma la cultura è quantomai interessante e moderna, è "knowledge economy". Sembra davvero un peccato che il patrimonio intellettuale italiano, composto da milioni di libri e di documenti, non sia liberamente accessibile in rete, ma sia ancora intrappolato in polverosi scaffali di decadenti edifici, con spese non indifferenti per la sua gestione e conservazione. Non sarebbe certo facile una operazione del genere, anche se sarebbe un modo per investire contemporaneamente in cultura ed in tecnologia. Una bella sfida che magari si potrebbe affrontare con la partecipazione delle università.
Uscendo dalla rete per tornare nel campo del tangibile, resta in piedi anche un altro tema, quello del turismo. L'apposito ufficio governativo è stato trasferito al Mibac dalla Presidenza del Consiglio dove era inquadrato precedentemente. Chi scrive è in parte d'accordo, nel senso che la cultura è un biglietto da visita per il paese. Un altro nome del ministero dei beni culturali potrebbe essere proprio "ministero dell'Italia nel Mondo". Tuttavia, dobbiamo stare attenti a non pensare che il patrimonio culturale sia soltanto una attrazione turistica. Un escamotage per attirare turisti a vantaggio di alberghi, ristoranti e tassisti. Perché si sta diffondendo l'idea di "cultura come petrolio dell'Italia", e non è un bel paragone. Il petrolio è una risorsa che si sfrutta e che svanisce via via, senza lasciare nulla. Al contrario, la cultura è qualcosa di vivo, che non deve essere sfruttato, ma coltivato. E non ci si può limitare a farne una attrazione turistica. Le spiagge sono una attrazione turistica. Le piste da sci sono una attrazione turistica. La cultura è uno strumento di educazione per le nuove generazioni, per tramandare la memoria del paese. E' anche uno strumento di coesione per ricordare ai lombardi ed ai siciliani, ai pugliesi ed ai liguri che siamo italiani e che abbiamo una storia comune. Il fatto che oltre agli italiani, per apprezzare la nostra arte, arrivino milioni di visitatori dall'estero, è un qualcosa che può far bene alla nostra autostima ed alla nostra economia, ma deve essere "un di più”.

Abbiamo bisogno di cambiare mentalità ed approccio nella politica per i beni culturali, al di là dell'organizzazione del sistema, al di là delle tecnologie, al di là delle risorse.

Alessio Mammarella

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