mercoledì 29 gennaio 2014

Il decreto IMU-bankitalia

POLITICA -
In queste ore è in discussione alla Camera dei Deputati il decreto chiamato IMU-Bankitalia. Il decreto deve essere convertito entro oggi altrimenti saranno passati i 60 giorni dalla firma governativa e quindi decadrà. Questo porterà, come primo risultato, la reintroduzione della seconda rata dell’IMU (naturalmente il governo potrà fare un nuovo decreto al prossimo consiglio dei ministri).

Il decreto, che ha per titolo completo “Disposizioni urgenti concernenti l'IMU, l'alienazione di immobili pubblici e la Banca d'Italia”, è fortemente osteggiato dal MoVimento 5 Stelle che sta cercando di ritardare le votazioni per farlo decadere, il M5S si dice contrario soprattutto all’ultima parte del decreto (quello relativo alla Banca D’Italia) accusando il governo di privatizzare la Bankitalia e di fare un regalo alle banche che detengono delle quote nell’azionario della Banca nazionale.

Non è facile entrare nel merito della questione senza rischiare di usare troppi tecnicismo, ma vale la pena fare un po’ di chiarezza. La Banca d'Italia fu istituita nel 1893 con la fusione di quattro banche d'emissione e nel 1926 ebbe il monopolio dell'emissione di denaro. Nel 1936 la Banca divenne istituto di diritto pubblico: contestualmente le sue quote proprietarie furono trasferite a banche pubbliche, per un valore nominale di 300 milioni di lire (da all’ora il capitale della Banca non è mai aumentato).

La legge 30 luglio 1990, n. 218, comunemente chiamata Legge Amato, dall’allora ministro del governo Andreotti IV, in vista dell’attuazioni di Basilea I, trasformò gli istituti di credito di diritto pubblico in banche private (spa) e quindi di fatto possiamo dire che Banca d’Italia era finita in mani private (nel 1990 e non oggi) (nel sito della Banca d'Italia c'è la lista degli istituti di credito azionisti ).

Che cosa vuole fare dunque il decreto del governo Letta?

Le novità principali sono due: l’aumento di capitale della Banca Centrale (ferma, come abbiamo detto al 1936 che dovrebbe arrivare a 7.5 miliardi di euro) e mettere un tetto massimo alle quote di partecipazione alla Banca stessa (al massimo, se il decreto entrasse in vigore, la partecipazione di ogni singolo istituto di credito privato potrà avere non più del 3% del pacchetto azionario).

Quali saranno le conseguenze di queste novità? Sicuramente la Banca d’Italia si rafforzerebbe con una solidità economica maggiore e aumenterebbero il valore delle quote azionarie. Questo però porterà agli istituti di credito che posseggono quote di capitale all’interno della Banca ad avere quote con un valore maggiore rispetto al passato ed essendo obbligate a vendere (facciamo un esempio, Intesa San Paolo oggi detiene il  30,3% delle quote quindi sarà costretto a cedere oltre il 27%) “gli enti partecipanti potranno così registrare - pur non intascando nell'immediato nemmeno un centesimo - enormi plusvalenze sui loro bilanci, e lo Stato in cambio otterrà, grazie alla tassazione di questi guadagni, fino a 1 miliardo di euro.” Spiega Daniele Scalea, Direttore Generale Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie, condirettore della rivista Geopolitica, in un articolo sull’Huffington Post.

Il vero problema però non è il regalo che si fa alle banche a mio avviso ma quello di dare un vero aiuto di stato (contro le leggi sulla concorrenza dell’Unione Europea) mascherato da vendita di quote.

C’è però un aspetto positivo. Il potere delle banche private diminuirebbe sensibilmente, per altro la stessa banca nazionale potrebbe riacquistare le quote in eccesso delle banche private costrette a vendere (e forse, con questa operazione la banca potrebbe riavere la maggioranza delle quote ritornando ad avere una maggioranza statale).

Nessun commento:

Posta un commento