lunedì 27 gennaio 2014

Omologazione culturale

ATTUALITA' - Oggi, un giorno come tanti, passeggiavo per Trastevere. E’ un quartiere che per vari motivi frequento costantemente da almeno 20 anni, pochi per la storia di un quartiere già conosciuto ai tempi dell’antica Roma (Tras tevere equivale ad oltre il Tevere, era la parte periferica, il Centro, per capirci la zona dei Fori e del Campidoglio rimane dall’altra sponda del fiume), ma abbastanza per farmi notare un radicale cambiamento di pelle.

Premetto subito che la mia non sarà una riflessione su Trastevere, ma vorrei allargarla alle città del mondo, sempre più metropoli anonime e standardizzate.

Ai margini di Trastevere, su via della Lungara, si trova la John Cabot University, Università Americana che ospita molti studenti di passaggio nella Capitale. In qualche modo, la presenza di studenti, oltre al considerevole afflusso di turisti, contribuisce al cambio di pelle del quartiere.

Torniamo alla mia passeggiata. In pochi metri, una bisteccheria americana, quattro o cinque bar/paninoteche che definirei finte, con panini prestampati che potresti trovare identici in molte città occidentali, una lavanderia a gettoni, qualche ristorante italiano  ( del genere che non consiglierei a nessuno ) con le insegne a mo’ di turista occasionale. Ho provato una sensazione di disagio, nel senso che si percepiva come una mancanza di coerenza del paesaggio. Ero a Trastevere, uno dei quartieri simbolo di Roma, potevo trovarmi in qualsiasi parte del mondo.

Identica sensazione di disagio nelle vie attorno a Piazza Navona. American Bar, lavanderie a gettoni, gelaterie pessime, catene di negozi per turisti che prendono il posto dei banchi vecchi che davano il nome alla medesima via.

Pochi mesi fa ero a Firenze. Città incantevole, tra le più belle del mondo. Anche li, però, nella centralissima via che unisce la Piazza del Duomo a Piazza della Signoria, una sensazione sgradevole. Gli stessi negozi che avrei trovato a Roma, a Milano, che ho visto a Londra, che molto probabilmente potrei aver visto a Berlino o che vedrò a New York.

Vado al sodo. Credo che ogni città abbia un anima ed una specificità culturale. Se la città perde la sua anima, ne risente tutta la popolazione. A mio parere, se i corsi delle principali città italiane hanno tutte le stesse vetrine della Tim, di Intimissimi, della Benetton, se a Roma come a New York come a Firenze trovo il negozio della Microsoft, della Apple e della Walt Disney, la città è come svuotata della sua linfa vitale.

Qualche studioso di cui ora non ricordo il nome ha parlato di società di Mac Mondo, una sorta di omologazione simile al Mc Donald’s, città fast-food dove paghi per avere gli stessi servizi.

Attenzione. Questa mia riflessione non vuole essere un invito a radicarsi nella difesa delle proprie tradizioni. Non credo esista nulla di peggiore e più stupido di una società chiusa, sulla difensiva, impaurita dalla diversità e preoccupata del “nemico”, dello straniero visto come invasore. Considero ad esempio Londra una delle più belle città del mondo proprio perché al suo interno convivono miscelate genti di terre diverse, ed ormai non esiste un londinese britannico doc, ma il londinese è una sorta di cittadino del mondo.

Come dicevo, no alle porte chiuse, ma a parer mio, dovremmo saper dire di no alla omologazione capitalista che rende culturalmente simili tutte le nostre città. Senza eccedere troppo nella retorica, sarebbe saggio conservare e tramandare le tradizioni di una città, siano esse religiose, culturali, culinarie. Se passeggio per Trastevere vorrei trovare le vecchie botteghe artigianali, se passeggio per San Gregorio Armeno a Napoli pretendo di trovare i pastori del presepe ( e pretendo di mangiare una vera Pizza Napoletana, non quelle schifezze precotte che puoi trovare da Buenos Aires a Tokyo).

L’Italia ha la fortuna di avere un patrimonio storico artistico di valore immenso, ha anche la fortuna di conservare borghi medievali, città belle, piene di storie e di tradizioni. Siena, Assisi ( apro parentesi, esiste anche un fenomeno di marketing religioso che a mio parere imbruttisce alcuni Santuari, i Mercanti sono rientrati nel tempio ), Lucca, Gallipoli, Cefalù, luoghi come questi sono la bellezza ed il futuro del nostro paese. Manteniamoli vivi, autentici, difendiamo le nostre città dalla omologazione culturale che le rende tutte una uguale all’altra.

A mio parere, il Governo in generale, ed i Comuni nel particolare, dovrebbero in qualche modo tutelare i piccoli negozi, le botteghe storiche, e non incentivare invece la costruzione di anonimi centri commerciali, moderne piazze virtuali che spesso diventano luoghi di aggregazione ma che sanno di freddo, di finto.

Noi, come cittadini, penso abbiamo il dovere di conoscere la storia del nostro territorio, e penso dovremmo rimettere gli anziani al centro della società. Gli anziani sono la memoria di una città, ne rappresentano il capitale umano. Una società giusta non rinchiude gli anziani in squallidi dormitori periferici, ma li tiene in casa, li mette al centro della vita ed anche fisicamente al centro del quartiere.

Se non lo abbiamo mai fatto, facciamoci raccontare dai nostri nonni com’era il nostro quartiere 50 60 70 anni fa, facciamo una ricerca su quelle che erano le tradizioni e le usanze del nostro territorio. Ripeto, questo non deve servire a farci chiudere le porte, è anche giusto che i luoghi cambino, spesso anzi gli stranieri contribuiscono a ridare linfa anche culturale ad un territorio, anche loro però è giusto conoscano la realtà in cui si stanno integrando.

Ognuno di noi può contribuire a rendere la propria città più bella ed accogliente, ognuno di noi può vivere meglio nel proprio quartiere se ne conosce la storia e se contribuisce a farne un luogo animato e vitale. Compito della Politica è di aiutare le città ad essere luoghi vivibili, accoglienti, ma con una identità specifica e con un anima vitale.

Mario Scelzo

Nessun commento:

Posta un commento