La vera novità, e questo fa davvero effetto, è che la società non avrà sede in Italia, ma neppure negli USA. Mentre tutti si chiedevano se la sede sarebbe stata a Torino oppure a Detroit, la sede legale sarà nei Paesi Bassi. E ci sarà una sede "fiscale" nel Regno Unito. Una scelta molto razionale ma che lascia perplessi: nel mondo dell'auto ci sono state molte acquisizioni, fusioni ed alleanze tra aziende di paesi diversi, ma nessuno aveva mai "osato tanto".
Diversamente da altri prodotti industriali, infatti, l'auto ha sempre avuto una forte connotazione emotiva. Emotività fa anche rima con nazionalità. Tutti, parlando di auto, abbiamo parlato, almeno una volta, di auto “italiane”, “tedesche” e “francesi” generalizzandone le caratteristiche, al di là del marchio sul cofano o dello stabilimento di produzione. Jaguar, pur essendo da anni di proprietà indiana, ha tuttora sede in Inghilterra. Volvo, di proprietà cinese, continua ad essere legalmente svedese. C'è quindi chi ritiene che la nazionalità sia ben importante.
Sergio Marchionne la pensa diversamente, ed ha scelto di avere le sedi del gruppo lì dove si ritiene sia più conveniente, disinteressandosi della tradizione ma anche delle sedi operative/amministrative (che continueranno ad essere Torino e Detroit). Del resto, che si disinteressasse della tradizione lo avevamo già compreso parlando della triste sorte del marchio Lancia. E dire che da quando anche l'Alfa Romeo era diventata parte del gruppo, gli automobilisti parlavano indifferentemente di “auto italiana” e di “auto del gruppo FIAT”. Visto che dal un punto di vista pratico le due definizioni indicavano la stessa cosa.
Da oggi in poi, le auto del gruppo saranno ancora considerate “italiane”? Certo, in Italia saranno disegnate e, in buona parte, anche fabbricate. Ma il fatto che la società abbia scelto di essere “cittadina olandese”, potrebbe essere visto come uno schiaffo all'Italia. E' vero, noi italiani non abbiamo una grande reputazione del nostro paese, siamo soliti criticarlo pesantemente, sostenere che siamo arretrati e che all'estero si vive e si lavora meglio. Ma una scelta così forte, da parte di un'azienda che è stata sempre considerata una “bandiera”, può generare una reazione di orgoglio. Speriamo che non ci siano cali delle vendite "per antipatia" che proprio gli operai delle fabbriche italiane andrebbero a subire.
Sarà strano, sicuramente, parlare di FIAT non più come la più grande delle nostre (piccole) multinazionali, la capofila di un intero sistema industriale. Sarà strano considerarla uno dei tanti gruppi industriali esteri che hanno uffici e/o fabbriche nel nostro paese. Una azienda decisamente più lontana dal mondo politico, industriale e sindacale italiano. Si corona così il processo iniziato con il divorzio da Confindustria, si afferma la logica secondo cui FIAT ritiene di poter investire le proprie risorse ovunque nel mondo, senza riservare all'Italia una particolare priorità.
Su questo ultimo punto è prevedibile che si svilupperanno forti polemiche. FIAT all'Italia ha dato tanto, ha dato lavoro a generazioni di italiani ed ha permesso lo sviluppo di molte altre aziende intorno a sé. La paura è che gradualmente tutto ciò vada a finire. La paura che FIAT, ora che è “straniera”, diventerà spietata nel valutare la competitività del paese e nell'abbandonarlo, se non la riterrà adeguata. Non può piacere che, in questo momento difficile per il paese, una azienda di punta si metta da parte in questo modo. Un modo forse non ingiusto, ma sicuramente indelicato.
FIAT ha anche avuto tanto dall'Italia. A parte la cassa integrazione percepita, l'azienda ha fruito negli anni di molti aiuti di Stato, legati soprattutto all'apertura degli stabilimenti del centro-sud. Non sembra che Marchionne abbia tenuto conto di questo, nel chiudere Termini Imerese, ma si spera che i sacrifici siano finiti. Tutti i piani di rilancio recentemente anticipati sono ancora in piedi, per quel che è possibile sapere.
Un ultimo aspetto che potrebbe ingenerare polemiche è la scelta di avere sede "fiscale” nel Regno Unito. Lì, nel recente passato, hanno trasferito la loro residenza fiscale numerosi personaggi del mondo dello sport e dello spettacolo, con l'esplicita ragione di risparmiare sulle imposte. Per carità, il Regno Unito non è certo un paradiso fiscale, tuttavia la mentalità anglosassone così diversa da quella continentale da risultare molto adatta alle grandi aziende oppure ai privati con un reddito molto alto.
Sembra però un altro schiaffo all'Italia. Sembra voler dire “non pagheremo le tasse a uno Stato che non ci piace”. Qualcosa di simile alla scelta dell'attore Depardieu di diventare cittadino russo. Non solo una scelta di pura convenienza, ma anche una scelta politica e polemica con il suo paese d'origine. E' possibile che qualche esponente politico chieda di istruire un procedimento contro il gruppo per evasione fiscale? Sarebbe solo l'ennesimo braccio di ferro tra FIAT ed un sistema istituzionale con cui non sembra riuscire a dialogare. Al punto di rinunciare alla cittadinanza.
Sarà la globalizzazione, sarà l'Europa senza frontiere, ma FIAT è ormai una azienda cosmopolita.
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