martedì 21 gennaio 2014

Marò, un caso di (in)giustizia


ATTUALITA' - Due anni fa, una petroliera italiana, la Enrica Lexie, era in navigazione nell'Oceano Indiano. Cosa sia accaduto, in un giorno come tanti, non è ancora chiaro, malgrado siano trascorsi due anni di indagini controverse. Quello che è certo è che qualcuno si è avvicinato in modo veloce ed aggressivo alla petroliera, costringendo i militari a bordo, marinai appositamente imbarcati in funzione anti-pirateria, ad aprire il fuoco per indurre gli aggressori ad allontanarsi. Lo denuncia il diario di bordo della nave, che fa scattare subito l'allarme, avvisando la guardia costiera indiana. Ma nello stesso giorno c'è un pescatore che torna in porto e racconta di una grande nave, da cui sarebbero arrivati spari, che hanno colpito la barca e ucciso i suoi compagni di pesca. Gli orari dei due avvenimenti non coincidono, ma il giorno si, e secondo gli indiani, ciò è sufficiente a trovare una corrispondenza tra i due eventi. Nessuno ha dubbi che la nave sia proprio quella e non un'altra delle varie che stanno attraversando quel tratto di mare. E così la guardia costiera mente al capitano della nave italiana, chiedendogli di raggiungere il porto di Kochi per identificare dei pirati che sarebbero stati catturati. Solo che, quando arrivano in porto, gli italiani trovano una pessima sorpresa: la polizia sale sulla nave, per effettuare arresti e perquisizioni. Insomma di fronte a un atteggiamento collaborativo, gli italiani vengono sin dall'inizio trattati come delinquenti: comincia una storia che ha dell'allucinante.

Massimiliano Latorre e Salvatore Girone sono i più alti in grado fra i sei militari del nucleo militare di protezione presente sulla Erica Lexie. Si lasciano arrestare, non è neppure chiaro se si assumono ogni responsabilità per via del grado o perché effettivamente presenti ai fatti. Le autorità italiane intervengono subito affermando che, secondo le leggi e le consuetudini internazionali, le responsabilità dei due marinai andrebbero giudicate dalla giustizia militare italiana o al più da un tribunale internazionale. Tuttavia, i reclami del governo italiano cadono nel vuoto. La polizia del Kerala accusa gli italiani di omicidio. La tesi accusatoria si basa sulla testimonianza dell'ultimo pescatore superstite, che però non sa indicare con precisione se la nave che ha sparato su di loro fosse la petroliera Enrica Lexie. Si basa anche sulla raccolta di prove materiali, che ha del tragicomico. I cadaveri dei pescatori vengono prontamente cremati dopo autopsie sommarie, il peschereccio viene affondato subito dopo i rilievi. Di fatto, solo la polizia ha potuto studiare le prove, e nessun altro potrà farlo. Sulla perizia balistica, in particolare, i dubbi sono forti. Al centro di un piccolo giallo tra rivelazioni, smentite, rettifiche, alla fine sembra arrivare alla conclusione seguente: "Le armi del delitto sono state individuate, ma non trovate a bordo della nave. Devono essere state gettate in mare dopo il delitto." Ma perché tanto palese accanimento? I diplomatici italiani hanno sempre spiegato che il Kerala è uno stato di pescatori, che la popolazione è molto coinvolta emotivamente sul caso. Si auspicava di uscire da quello stato per portare la questione a livello federale.

Quando però la vicenda è passata in mano alla giustizia federale, le cose non sono cambiate più di tanto. In India, uno dei principali partiti è guidato da una italiana, Sonia Ghandi, vedova di Rajiv. I partiti indù, fortemente nazionalisti, odiano l'Italia perché odiano questa donna, e calcano la mano invocando pene severissime. Sperano che lei si sbilanci e magari mostri pietà verso i due militari, così da esporsi alle critiche di chi dubita della sua fedeltà all'India. Un gran bel problema politico, a cui si aggiungono gli errori della diplomazia italiana: su tutti, quello di pagare un risarcimento alle famiglie dei pescatori, come se i nostri militari fossero colpevoli. Di fatto, questo sarà usato nel processo come ulteriore prova a carico dei nostri militari. Altro errore, probabilmente, quello di volersi porre comunque in modo amichevole con l'India. Ora, a distanza di molti mesi sappiamo che questo atteggiamento era volto a salvaguardare gli affari di Finmeccanica nel paese asiatico. Ce lo dice l'ex ministro degli esteri, Giulio Terzi, costretto a dimettersi perché aveva cercato di non far rientrare i nostri militari in India, dopo l'ultima licenza. Egli accusa proprio gli ex colleghi di governo di aver anteposto gli affari alla vita dei nostri concittadini. Molti hanno pensato si riferisse all'ex ministro della difesa, che oggi è proprio un consulente Finmeccanica. La beffa è che la famosa commessa degli elicotteri, dopo la scoperta di succulente tangenti, è saltata ugualmente.

Oggi, dopo tanti tira e molla, i nostri militari sono quasi in vista del processo. Dopo due anni, nei quali hanno vissuto, salvo "licenza" natalizia, lontano dalle proprie famiglie. Le ultime indagini sono state affidate alla NIA, una sorta di FBI indiana. Si pensa di avere di fronte investigatori più professionali rispetto a quelli del Kerala, ma come si diceva prima molti accertamenti tecnici e scientifici sono ormai irripetibili. Il timore è che le conclusioni possano essere le medesime, solo che con una firma più "pesante" rispetto a quella dei primi inquirenti. Oltretutto, sulla testa dei nostri concittadini pende l'ipotesi della legge anti-pirateria. Una perfida beffa. Tra l'altro, questa legge comporta l'inversione dell'onere della prova. Detto in maniera semplice, significa che non è l'accusa a dover dimostrare la colpevolezza dell'imputato, ma il contrario: è quest'ultimo che deve dimostrare di essere innocente. Dulcis in fundo, la legge sulla pirateria prevede la pena di morte. E su questo punto si è mossa (finalmente!) l'Unione Europea, sinora fermando l'iter di un trattato commerciale tra UE ed India, almeno fino a che la sorte dei marò non sarà più chiara. Noi riteniamo improbabile che i nostri militari siano condannati alla pena capitale, come accadde ai poveri Sacco e Vanzetti, ma forse saranno comunque protagonisti, loro malgrado, di uno spettacolare processo farsa.

Alessio Mammarella

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