ATTUALITA' - Due anni fa,
una petroliera italiana, la Enrica Lexie, era in navigazione nell'Oceano
Indiano. Cosa sia accaduto, in un giorno come tanti, non è ancora chiaro,
malgrado siano trascorsi due anni di indagini controverse. Quello che è certo è
che qualcuno si è avvicinato in modo veloce ed aggressivo alla petroliera,
costringendo i militari a bordo, marinai appositamente imbarcati in funzione
anti-pirateria, ad aprire il fuoco per indurre gli aggressori ad allontanarsi.
Lo denuncia il diario di bordo della nave, che fa scattare subito l'allarme,
avvisando la guardia costiera indiana. Ma nello stesso giorno c'è un pescatore
che torna in porto e racconta di una grande nave, da cui sarebbero arrivati
spari, che hanno colpito la barca e ucciso i suoi compagni di pesca. Gli orari
dei due avvenimenti non coincidono, ma il giorno si, e secondo gli indiani, ciò
è sufficiente a trovare una corrispondenza tra i due eventi. Nessuno ha dubbi
che la nave sia proprio quella e non un'altra delle varie che stanno
attraversando quel tratto di mare. E così la guardia costiera mente al capitano
della nave italiana, chiedendogli di raggiungere il porto di Kochi per
identificare dei pirati che sarebbero stati catturati. Solo che, quando
arrivano in porto, gli italiani trovano una pessima sorpresa: la polizia sale
sulla nave, per effettuare arresti e perquisizioni. Insomma di fronte a un
atteggiamento collaborativo, gli italiani vengono sin dall'inizio trattati come
delinquenti: comincia una storia che ha dell'allucinante.
Massimiliano
Latorre e Salvatore Girone sono i più alti in grado fra i sei militari del
nucleo militare di protezione presente sulla Erica Lexie. Si lasciano
arrestare, non è neppure chiaro se si assumono ogni responsabilità per via del
grado o perché effettivamente presenti ai fatti. Le autorità italiane
intervengono subito affermando che, secondo le leggi e le consuetudini
internazionali, le responsabilità dei due marinai andrebbero giudicate dalla
giustizia militare italiana o al più da un tribunale internazionale. Tuttavia,
i reclami del governo italiano cadono nel vuoto. La polizia del Kerala accusa
gli italiani di omicidio. La tesi accusatoria si basa sulla testimonianza
dell'ultimo pescatore superstite, che però non sa indicare con precisione se la
nave che ha sparato su di loro fosse la petroliera Enrica Lexie. Si basa anche
sulla raccolta di prove materiali, che ha del tragicomico. I cadaveri dei
pescatori vengono prontamente cremati dopo autopsie sommarie, il peschereccio
viene affondato subito dopo i rilievi. Di fatto, solo la polizia ha potuto
studiare le prove, e nessun altro potrà farlo. Sulla perizia balistica, in
particolare, i dubbi sono forti. Al centro di un piccolo giallo tra
rivelazioni, smentite, rettifiche, alla fine sembra arrivare alla conclusione seguente:
"Le armi del delitto sono state individuate, ma non trovate a bordo della
nave. Devono essere state gettate in mare dopo il delitto." Ma perché
tanto palese accanimento? I diplomatici italiani hanno sempre spiegato che il
Kerala è uno stato di pescatori, che la popolazione è molto coinvolta
emotivamente sul caso. Si auspicava di uscire da quello stato per portare la
questione a livello federale.
Quando però
la vicenda è passata in mano alla giustizia federale, le cose non sono cambiate
più di tanto. In India, uno dei principali partiti è guidato da una italiana,
Sonia Ghandi, vedova di Rajiv. I partiti indù, fortemente nazionalisti, odiano
l'Italia perché odiano questa donna, e calcano la mano invocando pene
severissime. Sperano che lei si sbilanci e magari mostri pietà verso i due
militari, così da esporsi alle critiche di chi dubita della sua fedeltà
all'India. Un gran bel problema politico, a cui si aggiungono gli errori della
diplomazia italiana: su tutti, quello di pagare un risarcimento alle famiglie
dei pescatori, come se i nostri militari fossero colpevoli. Di fatto, questo
sarà usato nel processo come ulteriore prova a carico dei nostri militari.
Altro errore, probabilmente, quello di volersi porre comunque in modo
amichevole con l'India. Ora, a distanza di molti mesi sappiamo che questo
atteggiamento era volto a salvaguardare gli affari di Finmeccanica nel paese
asiatico. Ce lo dice l'ex ministro degli esteri, Giulio Terzi, costretto a
dimettersi perché aveva cercato di non far rientrare i nostri militari in
India, dopo l'ultima licenza. Egli accusa proprio gli ex colleghi di governo di
aver anteposto gli affari alla vita dei nostri concittadini. Molti hanno
pensato si riferisse all'ex ministro della difesa, che oggi è proprio un
consulente Finmeccanica. La beffa è che la famosa commessa degli elicotteri,
dopo la scoperta di succulente tangenti, è saltata ugualmente.
Oggi, dopo
tanti tira e molla, i nostri militari sono quasi in vista del processo. Dopo
due anni, nei quali hanno vissuto, salvo "licenza" natalizia, lontano
dalle proprie famiglie. Le ultime indagini sono state affidate alla NIA, una
sorta di FBI indiana. Si pensa di avere di fronte investigatori più
professionali rispetto a quelli del Kerala, ma come si diceva prima molti accertamenti
tecnici e scientifici sono ormai irripetibili. Il timore è che le conclusioni
possano essere le medesime, solo che con una firma più "pesante"
rispetto a quella dei primi inquirenti. Oltretutto, sulla testa dei nostri
concittadini pende l'ipotesi della legge anti-pirateria. Una perfida beffa. Tra
l'altro, questa legge comporta l'inversione dell'onere della prova. Detto in
maniera semplice, significa che non è l'accusa a dover dimostrare la
colpevolezza dell'imputato, ma il contrario: è quest'ultimo che deve dimostrare
di essere innocente. Dulcis in fundo, la legge sulla pirateria prevede la pena
di morte. E su questo punto si è mossa (finalmente!) l'Unione Europea, sinora
fermando l'iter di un trattato commerciale tra UE ed India, almeno fino a che la
sorte dei marò non sarà più chiara. Noi riteniamo improbabile che i nostri
militari siano condannati alla pena capitale, come accadde ai poveri Sacco e
Vanzetti, ma forse saranno comunque protagonisti, loro malgrado, di uno
spettacolare processo farsa.
Alessio
Mammarella
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