Premetto subito che la mia non sarà una riflessione su
Trastevere, ma vorrei allargarla alle città del mondo, sempre più metropoli
anonime e standardizzate.
Ai margini di Trastevere, su via della Lungara, si trova la
John Cabot University, Università Americana che ospita molti studenti di
passaggio nella Capitale. In qualche modo, la presenza di studenti, oltre al
considerevole afflusso di turisti, contribuisce al cambio di pelle del
quartiere.
Torniamo alla mia passeggiata. In pochi metri, una
bisteccheria americana, quattro o cinque bar/paninoteche che definirei finte,
con panini prestampati che potresti trovare identici in molte città
occidentali, una lavanderia a gettoni, qualche ristorante italiano ( del genere che non consiglierei a nessuno )
con le insegne a mo’ di turista occasionale. Ho provato una sensazione di
disagio, nel senso che si percepiva come una mancanza di coerenza del
paesaggio. Ero a Trastevere, uno dei quartieri simbolo di Roma, potevo trovarmi
in qualsiasi parte del mondo.
Identica sensazione di disagio nelle vie attorno a Piazza
Navona. American Bar, lavanderie a gettoni, gelaterie pessime, catene di negozi
per turisti che prendono il posto dei banchi vecchi che davano il nome alla
medesima via.
Pochi mesi fa ero a Firenze. Città incantevole, tra le più
belle del mondo. Anche li, però, nella centralissima via che unisce la Piazza
del Duomo a Piazza della Signoria, una sensazione sgradevole. Gli stessi negozi
che avrei trovato a Roma, a Milano, che ho visto a Londra, che molto
probabilmente potrei aver visto a Berlino o che vedrò a New York.
Vado al sodo. Credo che ogni città abbia un anima ed una
specificità culturale. Se la città perde la sua anima, ne risente tutta la
popolazione. A mio parere, se i corsi delle principali città italiane hanno
tutte le stesse vetrine della Tim, di Intimissimi, della Benetton, se a Roma
come a New York come a Firenze trovo il negozio della Microsoft, della Apple e
della Walt Disney, la città è come svuotata della sua linfa vitale.
Qualche studioso di cui ora non ricordo il nome ha parlato
di società di Mac Mondo, una sorta di omologazione simile al Mc Donald’s, città
fast-food dove paghi per avere gli stessi servizi.
Attenzione. Questa mia riflessione non vuole essere un
invito a radicarsi nella difesa delle proprie tradizioni. Non credo esista
nulla di peggiore e più stupido di una società chiusa, sulla difensiva,
impaurita dalla diversità e preoccupata del “nemico”, dello straniero visto
come invasore. Considero ad esempio Londra una delle più belle città del mondo
proprio perché al suo interno convivono miscelate genti di terre diverse, ed
ormai non esiste un londinese britannico doc, ma il londinese è una sorta di
cittadino del mondo.
Come dicevo, no alle porte chiuse, ma a parer mio, dovremmo
saper dire di no alla omologazione capitalista che rende culturalmente simili tutte
le nostre città. Senza eccedere troppo nella retorica, sarebbe saggio
conservare e tramandare le tradizioni di una città, siano esse religiose,
culturali, culinarie. Se passeggio per Trastevere vorrei trovare le vecchie
botteghe artigianali, se passeggio per San Gregorio Armeno a Napoli pretendo di
trovare i pastori del presepe ( e pretendo di mangiare una vera Pizza
Napoletana, non quelle schifezze precotte che puoi trovare da Buenos Aires a
Tokyo).
L’Italia ha la fortuna di avere un patrimonio storico
artistico di valore immenso, ha anche la fortuna di conservare borghi
medievali, città belle, piene di storie e di tradizioni. Siena, Assisi ( apro
parentesi, esiste anche un fenomeno di marketing religioso che a mio parere
imbruttisce alcuni Santuari, i Mercanti sono rientrati nel tempio ), Lucca,
Gallipoli, Cefalù, luoghi come questi sono la bellezza ed il futuro del nostro
paese. Manteniamoli vivi, autentici, difendiamo le nostre città dalla
omologazione culturale che le rende tutte una uguale all’altra.
A mio parere, il Governo in generale, ed i Comuni nel
particolare, dovrebbero in qualche modo tutelare i piccoli negozi, le botteghe
storiche, e non incentivare invece la costruzione di anonimi centri
commerciali, moderne piazze virtuali che spesso diventano luoghi di
aggregazione ma che sanno di freddo, di finto.
Noi, come cittadini, penso abbiamo il dovere di conoscere la
storia del nostro territorio, e penso dovremmo rimettere gli anziani al centro
della società. Gli anziani sono la memoria di una città, ne rappresentano il
capitale umano. Una società giusta non rinchiude gli anziani in squallidi
dormitori periferici, ma li tiene in casa, li mette al centro della vita ed
anche fisicamente al centro del quartiere.
Se non lo abbiamo mai fatto, facciamoci raccontare dai
nostri nonni com’era il nostro quartiere 50 60 70 anni fa, facciamo una ricerca
su quelle che erano le tradizioni e le usanze del nostro territorio. Ripeto,
questo non deve servire a farci chiudere le porte, è anche giusto che i luoghi
cambino, spesso anzi gli stranieri contribuiscono a ridare linfa anche
culturale ad un territorio, anche loro però è giusto conoscano la realtà in cui
si stanno integrando.
Ognuno di noi può contribuire a rendere la propria città più
bella ed accogliente, ognuno di noi può vivere meglio nel proprio quartiere se
ne conosce la storia e se contribuisce a farne un luogo animato e vitale.
Compito della Politica è di aiutare le città ad essere luoghi vivibili,
accoglienti, ma con una identità specifica e con un anima vitale.
Mario Scelzo
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