In queste ore è in discussione alla Camera dei Deputati il
decreto chiamato IMU-Bankitalia. Il decreto deve essere convertito entro oggi
altrimenti saranno passati i 60 giorni dalla firma governativa e quindi
decadrà. Questo porterà, come primo risultato, la reintroduzione della seconda
rata dell’IMU (naturalmente il governo potrà fare un nuovo decreto al prossimo
consiglio dei ministri).
Il decreto, che ha per titolo completo “Disposizioni urgenti
concernenti l'IMU, l'alienazione di immobili pubblici e la Banca d'Italia”, è
fortemente osteggiato dal MoVimento 5 Stelle che sta cercando di ritardare le
votazioni per farlo decadere, il M5S si dice contrario soprattutto all’ultima
parte del decreto (quello relativo alla Banca D’Italia) accusando il governo di
privatizzare la Bankitalia e di fare un regalo alle banche che detengono delle
quote nell’azionario della Banca nazionale.
Non è facile entrare nel merito della questione senza
rischiare di usare troppi tecnicismo, ma vale la pena fare un po’ di chiarezza.
La Banca d'Italia fu istituita nel 1893 con la fusione di quattro banche
d'emissione e nel 1926 ebbe il monopolio dell'emissione di denaro. Nel 1936 la
Banca divenne istituto di diritto pubblico: contestualmente le sue quote
proprietarie furono trasferite a banche pubbliche, per un valore nominale di
300 milioni di lire (da all’ora il capitale della Banca non è mai aumentato).
La legge 30 luglio 1990, n. 218, comunemente chiamata Legge
Amato, dall’allora ministro del governo Andreotti IV, in vista dell’attuazioni
di Basilea I, trasformò gli istituti di credito di diritto pubblico in banche
private (spa) e quindi di fatto possiamo dire che Banca d’Italia era finita in
mani private (nel 1990 e non oggi) (nel sito della Banca d'Italia c'è la lista degli istituti di credito azionisti
).
Che cosa vuole fare dunque il decreto del governo Letta?
Le novità principali sono due: l’aumento di capitale della
Banca Centrale (ferma, come abbiamo detto al 1936 che dovrebbe arrivare a 7.5
miliardi di euro) e mettere un tetto massimo alle quote di partecipazione alla Banca
stessa (al massimo, se il decreto entrasse in vigore, la partecipazione di ogni
singolo istituto di credito privato potrà avere non più del 3% del pacchetto
azionario).
Quali saranno le conseguenze di queste novità? Sicuramente la
Banca d’Italia si rafforzerebbe con una solidità economica maggiore e
aumenterebbero il valore delle quote azionarie. Questo però porterà agli
istituti di credito che posseggono quote di capitale all’interno della Banca ad
avere quote con un valore maggiore rispetto al passato ed essendo obbligate a
vendere (facciamo un esempio, Intesa San Paolo oggi detiene il 30,3% delle quote quindi sarà costretto a
cedere oltre il 27%) “gli enti partecipanti potranno così registrare - pur non
intascando nell'immediato nemmeno un centesimo - enormi plusvalenze sui loro
bilanci, e lo Stato in cambio otterrà, grazie alla tassazione di questi
guadagni, fino a 1 miliardo di euro.” Spiega Daniele Scalea, Direttore Generale
Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie, condirettore della
rivista Geopolitica, in un articolo sull’Huffington Post.
Il vero problema però non è il regalo che si fa alle banche
a mio avviso ma quello di dare un vero aiuto di stato (contro le leggi sulla
concorrenza dell’Unione Europea) mascherato da vendita di quote.
C’è però un aspetto positivo. Il potere delle banche private
diminuirebbe sensibilmente, per altro la stessa banca nazionale potrebbe riacquistare
le quote in eccesso delle banche private costrette a vendere (e forse, con questa
operazione la banca potrebbe riavere la maggioranza delle quote ritornando ad avere
una maggioranza statale).
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