Un vecchio saggio della politica italiana diceva: Il politico
pensa alle prossime elezioni, lo statista alla prossima generazione.
Matteo Renzi, non ne fa mistero, è un politico, da
segretario del partito Democratico non si può permettere di perdere le prossime
elezioni europee di maggio, per questo, forse è la cosa più vera detta nei due
rami del parlamento, ha deciso di metterci la faccia. Non si può permettere,
nei prossimi 90 giorni, di non iniziare quel ciclo di riforme di cui ha bisogno
l’Italia, altrimenti passerebbe in meno di 100 giorni dall’essere il più
giovane Presidente del Consiglio d’Italia al più giovane “trombato” uscendo di
scena alla tenera età di 40’anni.
I discorsi sulla fiducia, si sono lamentati in molti, erano
pieni di spot e poco concreti, con la quasi totale mancanza di riferimenti sulle
coperture economiche. Sinceramente non si poteva aspettare qualcosa di diverso,
visto il contesto (invito a rileggere i due discorsi di Letta). Il voto di
fiducia è un passaggio obbligato per la nostra Costituzione ma, a parte qualche
rarissima eccezione, il risultato è quasi scontato. Sono pochi infatti i
deputati che arrivano in aula con le idee poco chiare, chi si appresta a votare
quasi non deve ascoltare il discorso.
Renzi ha promesso interventi rapidi sui debiti della
Pubblica Amministrazione, sull’abbassamento del cuneo fiscale, sull’edilizia
scolastica, sui costi della politica. Tanti buoni propositi, ma non essendo a
costo zero bisognerà capire se quelle promesse potranno essere realizzate e
quali le coperture.
Cosa ben diversa invece è il tipo di comunicazione che il
nuovo Presidente ha. Lo abbiamo iniziato a vedere nello streaming con Grillo e
con “arrivo arrivo” twittato mentre era ancora al colloquio con Napolitano.
Renzi, sarà forse per l’età, è spigliato e diretto. È spiazzante, forse anche
presuntuoso ma anche questo potrebbe essere un problema generazionale, e con la
battuta pronta (“Grillo esci da questo blog”) e usa i social network in maniera
puntuale. A differenza dei suoi predecessori a palazzo Chigi sembra meno
imbrigliato nelle liturgie istituzionali, parla senza un discorso scritto, non
sono mancate, durante i discorsi, le punzecchiature a chi voleva criticarlo
(soprattutto verso il MoVimento 5 Stelle). Prova a unire il suo partito (ed è
il PD il partito forse più critico all’interno di questa maggioranza). Ha messo
in campo una squadra di governo giovane con un profilo medio-basso dove lui
emerge e può esserne il top player.
Sul terreno della comunicazione politica utilizzando
soprattutto i social Renzi ha pochi avversari. Gli unici che potrebbero
contrastarlo è l’M5S ma in questi giorni sono
troppi gli autogol (basta pensare alla storia dei dissidenti espulsi). Renzi
potrebbe cercare di convogliare verso di se quel popolo della rete tanto
incensato da Grillo (e non è un caso che lo stesso Grillo si sia scomodato per
andare alle consultazioni con Renzi).
Spesso è aiutato anche dai suoi avversari. Il vicepresidente
Di Meio mette in rete i “pizzini” tra Renzi e lui. Scrive Renzi: “Scusa
l’ingenuità caro Luigi. Ma voi fate sempre così? Io mi ero fatto l’idea che su alcuni temi
potessimo davvero confrontarci. Ma è così oggi per esigenze di comunicazione o
è sempre così ed è impossibile confrontarsi?. Giusto per capire. Sul serio
senza alcuna polemica. Buon lavoro. Matteo Renzi”
Di Maio gli risponde con dei richiami al regolamento,
confermando di fatto l’arroccarsi dell’M5S sulle proprie posizioni.
Fino ad ora, ma sono passate solo una manciate di giorni,
Renzi è un vecchio politico (basta pensare alle trattative portate aventi in
questi giorni per la formazione del governo e la conferma, per esempio, dei tre
ministri del Nuovo Centro Destra) che porta avanti un nuovo modo di fare
politica e di comunicarla.
Ma l’Italia ha bisogno, dopo tanti anni, di avere uno
statista.
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