lunedì 17 febbraio 2014

L'incarico a Renzi

POLITICA - Con le dimissioni consegnate nelle mani del Presidente della Repubblica venerdì e l’incarico per la formazione di un nuovo esecutivo lunedì si è chiusa una delle crisi più veloci della Repubblica Italiana.

Fuori Enrico Letta e dentro Matteo Renzi.

Il PD è sicuramente un partito che ci ha sempre stupito, riuscendo sempre a prendere la decisione sbagliata riuscendo a non ascoltare mai la propria base. Solo nell’ultimo anno abbiamo visto Bersani dilapidare un vantaggio che sembrava enorme e non vincere le elezioni dello scorso febbraio, impallinare prima Marini e poi Prodi per l’elezione del Presidente della Repubblica per poi chiedere a Napolitano di accettare un secondo mandato (certificando, di fatto, l’incapacità di esprimere una propria candidatura), abbiamo visto un Presidente del Consiglio del PD accettare le dimissioni di un ministro dello stesso partito per poi usare un peso ed una misura diversa difendendo prima Alfano e poi la Cancellieri dal voto di sfiducia in nome della governabilità.

Con queste premesse, e abbiamo parlato solo degli ultimi 12 mesi, la decisione del neo segretario del PD di sfiduciare Enrico Letta potrebbe essere quella sbagliata.

Renzi ha assunto la direzione del partito Democratico dopo aver vinto con un ampio margine le primarie lo scorso 8 dicembre e subito ha dato l’impressione di voler accelerare su temi al centro del dibattito politico: la riforma del mercato del lavoro, la legge elettorale, tagli alla politica.

La scelta di Renzi di accelerare la fine del governo Letta può essere letta in molti modi ma a mio avviso è dettata dalla paura di una possibile sconfitta alle prossime elezioni europee del Partito Democratico a vantaggio delle formazioni politiche che si richiamano all’antieuropeismo come il MoVimento 5 Stelle e Forza Italia. Una sconfitta che avrebbe portato da una parte ad una crisi di governo con il primo partito dell’attuale maggioranza in seria difficoltà, ma anche ad un ridimensionamento del segretario sconfitto al primo banco di prova. Renzi quindi aveva solo due possibilità: quella di provare ad andare alle elezioni anticipate (ma senza una nuova legge elettorale avremmo comunque avuto un problema di governabilità e quindi la certezza di un altro governo di larghe intese, senza calcolare che a giugno si sarebbe apeto il semestre italiano di presidenza europea nella più totale incertezza politica) oppure forzare la mano all’esecutivo assumendo l’incarico di premier e provando a fare lui le riforme di cui il paese a bisogno. La seconda strada era quella più percorribile.

Ma se la strada intrapresa potrebbe sembrare quella più opportuna Renzi si ritrova a fare i conti con i partiti che dovranno sostenere il suo esecutivo.

E forse l’errore di Renzi potrebbe essere questo. Infatti avrebbe dovuto avere già in tasca i nomi del suo governo magari mantenendo la promessa fatta poco più di un anno fa durante le primarie perse contro Bersani dove aveva dichiarato che il suo governo avrebbe avuto solo 10 ministri, magari tecnici e politici a lui vicini che avrebbero lavorato in totale sinergia (una specie di segreteria del PD spostata a Palazzo Chigi), e doveva avere già in tasca un programma dettagliato da presentare alle camere con tempi, modalità ed eventuali coperture di spesa. Invece, almeno secondo alcune indiscrezioni, mentre la crisi politica è stata molto rapida, si pensa che passeranno alcuni giorni prima del giuramento e della fiducia alle camere.

L’idea poi di dover concertare il governo con gli eventuali alleati sembra non dare quella discontinuità che sembrava necessaria solo poche settimane fa. Alla fine avremmo la stessa maggioranza che sosteneva l’esecutivo Letta, con tutti i limiti incontrati proprio dall’ex premier.

Il paese ha bisogno di riforme concrete e se il neo premier riuscirà a farle sarà un bene per tutti, se lui fallirà sarà una sconfitta per l’Italia.

Nessun commento:

Posta un commento