POLITICA - È passata la prima settimana dalle elezioni e gli occhi sono tutti puntati su quello che farà il MoVimento 5 Stelle. Prima i cronisti si sono accampati davanti alla villa di Grillo con la speranza di poter avere qualche dichiarazione, ma lui con i giornalisti italiani non parla, poi tutti davanti ad un hotel romano dove si sono riuniti i neo deputati per discutere di organizzazione, ma anche da qui nessuna dichiarazione degna di nota.
Prima di proseguire una piccola premessa: se durante la precedente legislatura i governi che si sono succeduti e le maggioranze che li avevano sostenuti si fossero impegnati a mettere mano al Porcellum, dando all’Italia una legge elettorale seria che garantiva al partito o coalizione che prendeva più voti una maggioranza per poter governare questo paese, oggi avremmo avuto probabilmente un Governo e i neo deputati grillini non sarebbero l’ago della bilancia per una legislatura che già prima di insediarsi si mostra frammentaria e condannata a non durare.
Detto questo bisogna sottolineare come la crisi istituzionale che si sta aprendo in questi giorni è profonda e che una soluzione facile non sembra alla portata di mano, soprattutto pensando al fitto calendario che si apre nel prossimo mese.
Come recita la Costituzione , le camere si devono riunire per la loro prima riunione non oltre il ventesimo giorno dalle elezioni, per questo la data del 15 marzo sembrava l’ideale, si è fatta largo l’idea di anticipare di qualche giorno la data, riunendo le Camere il 12, stoppata in queste ore da una nota del Quirinale. Da quel momento parte la nuova legislatura con l’elezione dei due presidente di Camera e Senato. Già qui ci potrebbe essere il primo problema istituzionale perché, mentre l’elezione per il Presidente della Camera, che prevede maggioranza qualificata per le prime due votazioni e con la maggioranza semplice dalla terza votazione (e la coalizione di centro sinistra avrebbe da sola i numeri per eleggere un presidente), al Senato non c’è una maggioranza chiara e quindi si dovrà convergere su un nome.
Poi ci saranno le consultazioni da parte del Presidente della Repubblica per capire se c’è un nome intorno al quale si possa ipotizzare la costruzione di un governo, e in questo momento quel nome sembra non esserci. Napolitano, che non può sciogliere le Camere (l’articolo 88 della Costituzione è chiaro in proposito “Il Presidente della Repubblica può, sentiti i loro Presidenti, sciogliere le Camere o anche una sola di esse. Non può esercitare tale facoltà negli ultimi sei mesi del suo mandato, salvo che essi coincidano in tutto o in parte con gli ultimi sei mesi della legislatura.”), ha davanti due possibilità, affidare al centro sinistra il compito di formare un governo di minoranza (maggioranza alla Camera ma non al Senato) o affidare l’esecutivo ad un “tecnico” che si possa presentare alle camere e prendere la fiducia (quello che in queste ore viene chiamato governo del Presidente). Entrambe sono ipotesi che non trovano la totalità dei consensi neanche all’interno degli stessi partiti. Bersani vorrebbe avere l’incarico, presentandosi alla Camera con un programma di 7-8 punti nel quale vorrebbe far convergere i grillini, ma l’offerta sembra già rimandata al mittente, mentre il PDL, che si è proposto come interlocutore, non sembra essere preso in considerazione. Per quanto riguarda un esecutivo tecnico, in questi giorni si fa il nome di Visco o di Saccomanni (direttore di Bankitalia il primo, direttore generale il secondo), ma per entrambe le ipotesi bisogna attendere la riunione della direzione del PD di Mercoledì, anche perché, partendo dal presupposto che nessuna ha vinto queste elezioni, bisogna sempre tener presente che la coalizione del centro sinistra almeno in un ramo del parlamento ha la maggioranza.
In queste ore si far largo anche l’idea di un “prorogatio”, (molto cara all’area grillina), prorogare l’attuale governo Monti (non un Monti Bis). Tecnicamente è possibile, in Italia non esiste sede vacante ma un governo decade solo quando si insedia il nuovo esecutivo, si potrebbero perpetuare le consultazioni per mesi, avere un governo in carica ma azzoppato con la totale ed esclusiva centralità del Parlamento.
C’è un’altra data però, e quella improrogabile, ed è il 15 aprile. L’artico 85 della Costituzione dice “Trenta giorni prima che scada il termine (ndr il settennato del presidente della Repubblica, che scade il 15 maggio), il Presidente della Camera dei deputati convoca in seduta comune il Parlamento e i delegati regionali, per eleggere il nuovo Presidente della Repubblica.” Visti i tempi, quindi, il nuovo esecutivo potrebbe giurare nelle mani del nuovo presidente.
Naturalmente tutti gli scenari sono legati alla decisioni che prenderanno da una parte il centro sinistra e dall’altra il Movimento 5 Stelle. Se sembra irrealistico infatti che nel futuro governo non abbia voce in capitolo il centro sinistra (ma non è detto che debba essere Bersani a guidare il governo, si potrebbe trattare su un altro nome), almeno di ritornare al voto, molto passa per le mani di Grillo e dei suoi 59 senatori, oggi determinanti.
Ma la linea del Movimento sembra, a parte qualche smentita o fraintendimento, semplice: nessun governo politico o tecnico avrà la loro fiducia: “Il M5S non darà la fiducia a un governo tecnico.” Scrive Grillo sul suo blog dopo che era circolata la voce di un loro possibile appoggio, e lo ribadisce il neo capogruppo del Movimento al Senato, Vito Crimi, precisando, su facebook, che l’unico esecutivo possibile per loro è “un governo a 5 stelle che attui subito i primi 20 punti del programma”.
È legittimo che una forza politica decida di non appoggiare un governo formato da un altro partito, se i due programmi coincidevano sarebbero stati alleati. Crimi dimentica però che il suo movimento le elezioni non le ha vinte, anche se ha avuto un successo impressionante e da molti inaspettato. Ma la questione che sembra sfuggire al movimento è un’altra: il Movimento si è candidato alle elezioni per governare o per distruggere tutti i partiti tradizionali che erano nella passata legislatura? Bisogna ricordare che quasi il 75% degli elettori continua a votare per i partiti tradizionali, quindi ad oggi tutt’altro che morti. La seconda questione è sulla responsabilità. È indubbio che il paese sta continuando a vivere nella più assoluta incertezza economica, spreed e disoccupazione salgono mentre ogni giorno chiudono centinaia di aziende e non avere un governo non aiuta. Il Movimento deve decidere se contribuire alla risalita mettendo in campo le proprie esperienze ed idee, contribuendo attivamente in Parlamento con leggi e decreti, oppure fare a gare a chi è più puro. Dicono di volersi confrontare sulle idee ma con la pregiudiziale, questa è la sensazione, di non voler discutere con i politici.
La legittimità di non dare la fiducia a nessun governo è sacrosanta, ma cosa farebbe il movimento davanti ad un esecutivo che possa garantire una serie di punti condivisi e presenti nel programma?
Nel caso non si riuscisse poi ad uscire dall’empasse istituzionale, l’alternativa sarebbe andare al voto, ma dovrà essere il nuovo presidente della Repubblica a sciogliere la camera, con il rischio che si voti ancora con questa legge e la possibilità di non avere ancora una maggioranza, con un esborso, non dimentichiamolo, di circa 400 milioni per nuove elezioni.
Grillo ha poi paura che una parte dei suoi deputati cambino casacca, lui stesso parla di un 15%. Proprio per questo nei giorni scorsi, sempre sul suo blog, ha attaccato la Costituzione , criticando l’articolo 67 che recita: “Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato.” Abbiamo assistito spesso al cambio di casacca per fini politici lasciando il proprio partito e approdando in un altro (vedi De Gregorio), ma, andando al di là dei nomi bisogna ricordare che ogni singolo parlamentare deve rappresentare l’Italia e fare l’interesse di tutti i cittadini italiani e non solo dei propri elettori e del partito che li ha candidati.
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