Oggi è la “Giornata
Universale dei Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza”. Sui social ed in rete
spopolano primi piani di bambini che soffrono da ogni parte del mondo.
Giustamente molti si commuovono di fronte ad alcune immagini, i commenti di
indignazione da parte di tanti colmano le timeline di Twitter e le bacheche di
Facebook. Alcuni si scandalizzano di come si espongano in modo indiscriminato
foto di bambini in rete, senza filtri né autorizzazioni. Fortunatamente il dato
di oggi sembra sia che la vita dei bambini non lasci indifferenti e si debba
prendere posizione. Quanto di ciò che leggiamo e condividiamo in rete diviene
pensiero acquisito? E per quanti di noi?
Djuliana (nome di
fantasia per tutelare la privacy, anche i nomi dei figli che compariranno più
tardi sono frutto della fantasia) è una donna rom che abitava a Tor De’ Cenci
prima che la sua abitazione fosse distrutta davanti ai propri occhi e a quelli
dei suoi figli dalle ruspe di Roma Capitale per ordinanza del Sindaco Gianni
Alemanno e del Vicesindaco Sveva Belviso. Suo figlio Paulo e sua figlia Luljeta
hanno sempre frequentato con assidua presenza le scuole elementari di
Spinaceto. Il giorno dello sgombero la polizia urlava e cacciava via le persone
dalle proprie abitazioni senza dare il tempo necessario per prendere le proprie
cose. Dopo quel giorno molti bambini si sono vergognati di andare a scuola
perché non era stato dato loro il tempo di prendere i vestiti per cambiarsi.
Sono tanti i minori
dell’ex campo di Tor De’ Cenci che hanno visto distruggere l’abitazione dove
sono nati e cresciuti sotto i propri occhi, in una mattina nella quale sembrava
non fossero stati mandati a scuola apposta per assistere alla
spettacolarizzazione del sopruso, dell’affermazione della potenza distruttrice
su persone inermi.
Djuliana badava ai
propri figli anche grazie al sostegno di qualche famiglia del quartiere Tor De’
Cenci con le quali aveva stretto amicizia nel tempo e che regolarmente le
fornivano il necessario per crescere e per vestire il figlioletto Paulo e la
piccola Luljeta. Ora, come più di altre mille persone, abitano a Castel Romano,
dove Roma Capitale ha deciso di confinarli in un posto dove in alcuni container
non esce nemmeno l’acqua dai rubinetti (ndr.
dato di ieri) e le fogne puzzano perché nei viali di brecciolino si sono
formate delle voragini che collegano gli scarichi con la superficie. Molti
pensano che il problema sia dei rom; “sono loro che non vogliono integrarsi”,
“a loro non piace vivere in casa”, “i rom trattano male i propri figli” sono le
parole più usate, questi sono però puri luoghi comuni, propaganda per creare
spauracchi da campagna elettorale, sia a destra che a sinistra. I rom vogliono
vivere nella società, amano i propri figli e molti sono in lista per la casa
popolare. Tutto il resto si chiama politica di discriminazione.
Penso che sia
scandaloso che in una capitale europea come Roma genitori e bambini possano
essere trattati in questo modo su base etnica. Continuiamo a pensare ai diritti
dell’infanzia.
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