Come sappiamo in Italia vige la legge dello ius sanguinis, ossia si è cittadini italiani se nati da genitori italiani. L’alternativa a questa norma è lo ius soli, si è cittadini se si è nati in quel paese. Ma negli ultimi anni è nato un dibattito su questo argomento tanto da mettere in discussione lo ius sanguinis portando anche alla formulazione una terza via tra le due, uno ius soli temperato o ius colutae con il quale si diventava cittadini italiani alla conclusione di un ciclo scolastico.
Il professor Sartori, dopo aver detto che “l’esplosione
delle popolazioni africane e asiatiche creano nuovi e difficili problemi” che
non spiega, riproponendosi di “esaminare in un prossimo articolo”, spiega che «integrare»
non è lo stesso che «assimilare», e che la integrazione in questione è soltanto
l’integrazione etico-politica: l’accettazione della separazione tra Chiesa e
Stato, tra religione e politica. Per i musulmani tutto è deciso dal volere di
Allah, dal volere di Dio. Qui il potere discende soltanto dall’alto. Per le
nostre democrazie, invece, il potere deriva dalla volontà popolare e quindi
nasce dal basso, deve essere legittimato dal demos.”
Forse dovremmo aspettare il prossimo articolo per capire i “difficili
problemi” ma fino ad ora il pensiero del professor Sartori o è troppo alto (la
separazione tra religione e stato) o riduttivo (riducendo il problema solo alla
separazione tra religione e stato). Per Sartori, leggendo l’articolo, sembra poi
che gli stranieri siano solo i musulmani dimenticando per esempio dei cattolici
filippini, dei neo protestanti dell’America del sud o degli ortodossi dell’Europa
dell’est.
Viviamo, è indubbio, in una società multietnica. Bambini italiani
e stranieri frequentano insieme la stessa scuola e fanno sport insieme. Ristoranti
etnici fioriscono accanto alle nostre pizzerie. Negozi etnici (piccoli market o
negozi di abbigliamento) vengono aperti vicino alle nostre mercerie.
Per capire meglio lo ius soli basterebbe prendere un mezzo
pubblico in una medio-grande città. Vedrebbe ragazzi non caucasici parlare in
dialetto con la maglia della nostra, e loro, squadra del cuore. Alle volte
questi ragazzi non hanno mai visto il paese il cui emblema è stampato sui loro
passaporti, non hanno mai parlato la lingua dei paesi dove sono ufficialmente
cittadini. Non si sentono integrati ma lo sono perché
vivono nelle nostre città.
Forse Sartori ha ragione sostenendo che integrare non è
assimilare, infatti molti dei ragazzi immigrati di seconda generazione non
devono essere integrati perché sono già nostri concittadini anche se non ancora
per legge.
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