NEWS DALLA STORIA - Recentemente, la Rai ha trasmesso la Fiction “Olivetti – La
Forza di un Sogno”, dedicata alla vita di Adriano Olivetti, imprenditore,
ingegnere e politico italiano negli anni del primo e del secondo dopoguerra. La
fiction, ben fatta, con un ottimo Luca Zingaretti nel ruolo di Adriano, ha
avuto un notevole successo di pubblico (22% e 24% di share nelle due serate di
trasmissione) e di critica ed ha suscitato un dibattito ed alcune riflessioni.
Vi risparmio tutti i dettagli, una biografia del personaggio
Olivetti è facilmente reperibile in rete, ma l’elemento centrale della fiction
( che secondo i familiari ben rispecchiava la personalità di Adriano) era il
legame tra l’imprenditore Adriano ed i suoi operai.
Olivetti è stato un grande imprenditore, e come ogni
imprenditore, legittimamente, aveva a cuore il proprio profitto e certamente
viveva una vita più agiata rispetto agli operai delle sue aziende. Ma in tutta
la sua attività professionale è forte il legame con gli operai e con la
comunità territoriale di appartenenza.
Adriano Olivetti riuscì a creare, nel dopoguerra italiano,
un'esperienza di fabbrica nuova ed unica al mondo in un periodo storico in cui
si fronteggiavano due grandi potenze: capitalismo e comunismo. Olivetti credeva
che fosse possibile creare un equilibrio tra solidarietà sociale e profitto,
tanto che l'organizzazione del lavoro comprendeva un'idea di felicità
collettiva che generava efficienza. Gli operai vivevano in condizioni migliori
rispetto alle altre grandi fabbriche italiane: ricevevano salari più alti, vi
erano asili e abitazioni vicino alla fabbrica che rispettavano la bellezza
dell'ambiente, i dipendenti godevano di convenzioni.
Anche all'interno della fabbrica l'ambiente era diverso:
durante le pause i dipendenti potevano servirsi delle biblioteche, ascoltare
concerti, seguire dibattiti, e non c'era una divisione netta tra ingegneri e
operai, in modo che conoscenze e competenze fossero alla portata di tutti.
L'azienda accoglieva anche artisti, scrittori, disegnatori e poeti, poiché l'imprenditore
Adriano Olivetti riteneva che la fabbrica non avesse bisogno solo di tecnici ma
anche di persone in grado di arricchire il lavoro con creatività e sensibilità.
Adriano Olivetti credeva nell'idea di comunità, unica via da
seguire per superare la divisione tra industria e agricoltura, ma soprattutto
tra produzione e cultura. L'idea, infatti, era quella di creare una fondazione
composta da diverse forze vive della comunità: azionisti, enti pubblici,
università e rappresentanze dei lavoratori, in modo da eliminare le differenze
economiche, ideologiche e politiche. Il suo sogno era di riuscire ad ampliare
il progetto a livello nazionale, in modo che quello della comunità fosse il
fine ultimo.
Sintetizzando, un luogo di lavoro accogliente, bello, fatto
di rapporti umani, con un legame verso il proprio territorio, con l’idea di uno
sviluppo per tutta la comunità. Tutto questo generando profitto ed innovazione,
basti pensare alla mitica macchina da scrivere Lettera 22, successo di vendite
ed esposta nella collezione permanente di design al Museum of Modern Art di New
York
Proviamo a confrontare questo modello con una delle
principali aziende italiane dei nostri tempi, la Fiat. (Premettendo che
prendiamo la Fiat come esempio ma direi si tratta di un modello generalizzato
del capitalismo moderno). Negli ultimi anni la Fiat ha delocalizzato le proprie
fabbriche in Serbia, in Polonia, in Brasile. E’ forte il conflitto tra
dirigenza ed operai, si potrebbe sintetizzare che da parte del principale
manager Fiat, Marchionne, ci sia quasi un disprezzo o comunque un fastidio
verso i bisogni e le esigenze della classe operaia, pensiamo solo al rifiuto di
voler reintegrare i 3 operai “colpevoli” di attività sindacale. Pensiamo alla
volontà, se vogliamo economicamente legittima ma a mio parere moralmente poco
cristallina, di voler generare profitto con le attività estere e scaricare sul
contribuente italiano tramite la cassa integrazione le attività lavorative
italiane.
Ripeto, ho preso l’esempio Fiat perché emblematico e più
conosciuto, ma grossomodo sono dinamiche presenti nelle principali industrie
italiane e mondiali.
Negli ultimi anni, a livello mondiale, le dinamiche della
finanza hanno sostituito e superato quelle del lavoro, e considero ciò un
enorme danno economico, sociale e morale.
A mio parere, quando una azienda perde il legame col proprio
territorio, ed inizia un processo di delocalizzazione, quando la logica
imprenditoriale segue solo la strada del profitto senza pensare allo sviluppo
della comunità e della collettività, si crea un capitalismo amorale, che
personalmente ritengo una delle cause dei mali del nostro tempo. Non voglio
mitizzare il passato e condannare il presente, ma vorrei sottolineare come ci
sarebbe bisogno oggi di imprenditori come Adriano Olivetti, uomini che hanno a
cuore non il profitto del singolo ma il benessere della comunità.
Mario Scelzo
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