martedì 16 ottobre 2012

16 ottobre 1943, la deportazione degli ebrei romani

«La grande razzia nel vecchio Ghetto di Roma cominciò attorno alle 5,30 del 16 ottobre 1943. Oltre cento tedeschi armati di mitra circondarono il quartiere ebraico. Contemporaneamente altri duecento militari si distribuirono nelle 26 zone operative in cui il Comando tedesco aveva diviso la città alla ricerca di altre vittime. Quando il gigantesco rastrellamento si concluse erano stati catturati 1022 ebrei romani. 
Due giorni dopo in 18 vagoni piombati furono tutti trasferiti ad Auschwitz. Solo 15 di loro sono tornati alla fine del conflitto: 14 uomini e una donna.
Tutti gli altri 1066 sono morti in gran parte appena arrivati, nelle camere a gas. Nessuno degli oltre duecento bambini è sopravvissuto.»
(F. Cohen, 16 ottobre 1943. La grande razzia degli ebrei di Roma)

Il 16 ottobre è una ferita ancora aperta a Roma, la cattura di 1022 ebrei romani dal quartiere ebraico e la loro deportazione fino al campo di concentramento di Auschwitz. Una memoria storica dura.
Ma alla vigilia di quei tragici fatti la situazione sembrava diversa. L’8 settembre era alle spalle e l’armistizio sembrava far pensare che la situazione si sarebbe rasserenata, anche se la guerra era ancora lontana dal concludersi. Ma non solo. A fine settembre Herbert Kappler, capo del Servizio di Sicurezza a Roma, e di fatto comandante anche della polizia Fascista della capitale, ordinò alla comunità ebraica della capitale la consegna di 50 chili d’oro altrimenti sarebbero stati deportati 200 ebrei come rappresaglia (oro regolarmente consegnato ai tedeschi).
Un testimone, durante il processo ad Adolf Eichmann, tenutosi a Tel Avvi nel 1962 (quello ad Eichmann è stato il primo processo contro un esponente nazista tenutosi in Israele, fu condannato a morte), disse: “Credevamo che la situazione degli ebrei italiani fosse speciale e avevamo l’impressione che certe cose non potessero capitare qui da noi.” Ma non fu così.
Erano le 5.30 del mattino quando 300 soldati tedeschi entrarono con i camion dentro il ghetto di Roma, parcheggiarono al portico d’Ottavia dietro la Grande Sinagoga con gli elenchi di tutti gli abitanti del quartiere. Bussarono porta a porta e ordinarono a tutti di prepararsi entro 20 minuti, il rabbino capo di Roma oggi lo ricorda così: “Era sabato mattina, festa del Succot, il cielo era di piombo. I nazisti bussarono alle porte, portavano un bigliettino dattiloscritto. Un ordine per tutti gli ebrei del Ghetto: dovete essere pronti in 20 minuti, portare cibo per 8 giorni, soldi e preziosi, via anche i malati, nel campo dove vi porteranno c’è un’infermieraio.”
Dal ghetto gli ebrei romani furono portati nel collegio militare nel centro di Trastevere e da li, due giorni dopo, caricati su un convoglio partito verso Auschwitz.
Tornarono dal campo di concentramento solo 16 persone (nessuno degli oltre 200 bambini).

Ricordare quel terribile giorno è anche un dovere, soprattutto verso le giovani generazioni, mentre il tempo scorre e i testimoni diretti di quei terribili eventi, solo pochi fa scompariva Shlomo Venezia, ebreo di Salonicco, sopravvissuto alla Shoa, negli anni è stato tra i protagonisti della memoria della deportazione degli ebrei.
La Comunità ebraica di Roma e la Comunità di Sant’Egidio hanno preso, ormai diversi anni fa, l’impegno a non dimenticare il 16 ottobre (la fiaccolata quest’anno inizierà alle ore 19.00) con una fiaccolata silenziosa che da Piazza Santa Maria in Trastevere (vicino al vecchio collegio militare dove furono rinchiusi gli ebrei prima della deportazione) sfila per i vicoli stretti di Trastevere in percorso a ritroso fino al portico d’Ottavia dove prenderanno la parola Riccardo Pacifici, Presidente della Comunità Ebraica di Roma, Renzo Gattegna, Presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, Marco Impagliazzo, Presidente Comunità di Sant’Egidio, Riccardo Di Segni, Rabbino Capo di Roma e Mario Monti, Presidente Consiglio dei Ministri.

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Gavino Pala