Ieri il
Presidente della Repubblica ha voluto riportare all’attenzione, del Parlamento
e del paese, il drammatico problema delle carceri con un lungo messaggio
indirizzata ai presidenti di Camera e Senato e letti nei due rami del Parlamento.
Alcune considerazioni.
Non è la prima volta che il Presidente
della Repubblica cerca di riportare l’attenzione sulla drammatica situazione
delle carceri, ma spesso il Parlamento non ha dato seguito alle tante
sollecitazioni. Questa volta lo fa attraverso un istituto sancito dalla
Costituzione e sicuramente uno dei modi più diretti e forti che gli sono
consentiti di fare, quello del messaggio alle Camere.
Se la
tempistica potrebbe risultare sospetta visto che parla anche di amnistia nei
giorni in cui si decide “l’agibilità” politica di Berlusconi, va anche
ricordato che la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, ricorda Napolitano nel
suo messaggio, “con la sentenza - approvata l'8 gennaio 2013 secondo la
procedura della sentenza pilota - (Torreggiani e altri sei ricorrenti contro
l'Italia), ha accertato, nei casi esaminati, la violazione dell'art. 3 della
Convenzione europea che, sotto la rubrica "proibizione della
tortura", pone il divieto di pene e di trattamenti disumani o degradanti a
causa della situazione di sovraffollamento carcerario in cui i ricorrenti si
sono trovati.”
La situazione
carceraria è drammatica e i numeri sono impietosi: 64.758 detenuti per una
capienza di 47.615 posti. Va ricordato anche l’altissimo numero di suicidi e
morti, più o meno sospette, all’interno del carcere: a giugno c’erano stati 26
suicidi e 57 morti solo nel 2013
“Sottopongo
dunque all'attenzione del Parlamento” prosegue nel suo messaggio Napolitano, “l'inderogabile
necessità di porre fine, senza indugio, a uno stato di cose che ci rende tutti
corresponsabili delle violazioni contestate all'Italia dalla Corte di
Strasburgo.
Lo stesso presidente prova a suggerire una serie di
proposte, che dovranno essere approvate poi dai due rami del Parlamento, per
affrontare la questione.
1) l'introduzione di
meccanismi di probation. A tale riguardo, il disegno di legge delega approvato
dalla Camera e ora all'esame del Senato, prevede, per taluni reati e in caso di
assenza di pericolosità sociale, la possibilità per il giudice di applicare
direttamente la "messa alla prova" come pena principale. In tal modo
il condannato eviterà l'ingresso in carcere venendo, da subito, assegnato a un
percorso di reinserimento;
2) la previsione di pene limitative della libertà personale, ma
"non carcerarie". Anche su questo profilo incide il disegno di legge
ora citato, che intende introdurre la pena - irrogabile direttamente dal
giudice con la sentenza di condanna - della "reclusione presso il domicilio";
3) la riduzione
dell'area applicativa della custodia cautelare in carcere. A tale proposito,
dai dati del DAP risulta che, sul totale dei detenuti, quelli "in attesa
di primo giudizio" sono circa il 19%; quelli condannati in primo e secondo
grado complessivamente anch'essi circa il 19%; il restante 62% sono
"definitivi" cioè raggiunti da una condanna irrevocabile. Nella
condivisibile ottica di ridurre l'ambito applicativo della custodia carceraria
è già intervenuta la legge n. 94 del 2013, di conversione del decreto legge n.
78 del 2013, che ha modificato l'articolo 280 del codice di procedura penale,
elevando da quattro a cinque anni di reclusione il limite di pena che può
giustificare l'applicazione della custodia in carcere;
4) l'accrescimento
dello sforzo diretto a far sì che i detenuti stranieri possano espiare la pena
inflitta in Italia nei loro Paesi di origine. In base ai dati del DAP, la
percentuale dei cittadini stranieri sul totale dei detenuti è circa il 35%. Il
Ministro Cancellieri, parlando recentemente alla Camera dei Deputati, ha
concordato sulla necessità di promuovere e attuare specifici accordi con i
Paesi di origine dei detenuti stranieri (l'Italia ha aderito alla Convenzione
europea sul trasferimento delle persone condannate e ha già stipulato nove accordi
bilaterali in tal senso). Ella ha tuttavia dato notizia degli scarsi
(purtroppo) risultati concreti conseguiti sinora. Nel corso del 2012 solo 131
detenuti stranieri sono stati trasferiti nei propri Paesi (mentre nei primi sei
mesi del 2013 il numero è di 82 trasferimenti). Ciò, secondo il Ministro,
dipende, in via principale, dalla complessità delle procedure di omologazione
delle condanne emesse in Italia da parte delle autorità straniere. Il Ministro
si è impegnato per rivedere il contenuto degli accordi al fine di rendere più
rapidi e agevoli i trasferimenti e per stipulare nuove convenzioni con i Paesi
(principalmente dell'area del Maghreb) da cui proviene la maggior parte dei
detenuti stranieri. Tra i fattori di criticità del meccanismo di trasferimento
dei detenuti stranieri, va annoverata anche la difficoltà, sul piano giuridico,
di disporre tale misura nei confronti degli stranieri non ancora condannati in
via definitiva, che rappresentano circa il 45% del totale dei detenuti
stranieri;
5) l'attenuazione
degli effetti della recidiva quale presupposto ostativo per l'ammissione dei
condannati alle misure alternative alla detenzione carceraria; in tal senso un
primo passo è stato compiuto a seguito dell'approvazione della citata legge n.
94 del 2013, che ha anche introdotto modifiche all'istituto della liberazione
anticipata. Esse consentono di detrarre dalla pena da espiare i periodi di
"buona condotta" riferibili al tempo trascorso in "custodia
cautelare", aumentando così le possibilità di accesso ai benefici
penitenziari;
6) infine, una
incisiva depenalizzazione dei reati, per i quali la previsione di una sanzione
diversa da quella penale può avere una efficacia di prevenzione generale non
minore.
Il presidente richiama anche a dare nuovo impulso al Piano
Carceri. Ma Napolitano sa che queste sono riforme che, per dare i frutti, hanno
bisogno di un rodaggio di medio e lungo termine, hanno bisogno di tempo per
vedere i frutti, per questo considera l’esigenza di rimedi straordinari
“La prima misura su
cui intendo richiamare l'attenzione del Parlamento è l'indulto, che - non
incidendo sul reato, ma comportando solo l'estinzione di una parte della pena
detentiva - può applicarsi ad un ambito esteso di fattispecie penali (fatta
eccezione per alcuni reati particolarmente odiosi). Ritengo necessario che -
onde evitare il pericolo di una rilevante percentuale di ricaduta nel delitto
da parte di condannati scarcerati per l'indulto, come risulta essere avvenuto
in occasione della legge n. 241 del 2006 - il provvedimento di clemenza sia
accompagnato da idonee misure, soprattutto amministrative, finalizzate
all'effettivo reinserimento delle persone scarcerate, che dovrebbero essere
concretamente accompagnate nel percorso di risocializzazione.
Al provvedimento di
indulto, potrebbe aggiungersi una amnistia.
Rilevo che dal 1953 al
1990 sono intervenuti tredici provvedimenti con i quali è stata concessa
l'amnistia (sola o unitamente all'indulto). In media, dunque, per quasi
quaranta anni sono state varate amnistie con cadenza inferiore a tre anni. Dopo
l'ultimo provvedimento di amnistia (d.P.R. n. 75 del 1990) - risalente a
ventitré anni fa - è stata, approvata dal Parlamento soltanto una legge di
clemenza, relativa al solo indulto (legge n. 241 del 2006).”
Sembra
pretestuoso, visto quello che lo stesso Presidente Napolitano scrive, le
inutili polemiche su amnistia e indulto efficaci solo per salvare Berlusconi,
visto che i reati amnistiati saranno di pertinenza parlamentare. Tra i più
critici nei confronti del capo dello stato sono i parlamentari del Movimento 5
Stelle: per Riccardo Nuti, capogruppo uscente a Montecitorio del Movimento
Cinque Stelle è “il primo passo verso l’amnistia a Berlusconi con la scusa di
risolvere il sovraffollamento delle carceri”. Da Cracovia il Presidente risponde, lapidario,
alle critiche affermando “Quelli che mi accusano di volere un’amnistia pro-Berlusconi
sono persone che sanno pensare a una sola cosa, hanno un pensiero fisso e se ne
fregano dei problemi della gente e del Paese. E non sanno quale tragedia sia
quelle carceri. Non ho altro da aggiungere.”
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