La legge elettorale (la più antica in vigore in Italia) è
molto semplice: un proporzionale puro con soglia di sbarramento del 4%, la
divisione dell’Italia in 5 circoscrizioni che eleggono parlamentari
proporzionalmente ai voti, le preferenze (fino a 3 per ogni elettore).
Il regolamento dell’europarlamento stabilisce una assoluta
incompatibilità tra la carica di europarlamentare e quella di ogni carica
elettiva di un singolo paese (dal parlamentare al sindaco), e per altro
un’incompatibilità anche fisica visto che i due lavori sono a chilometri di
distanza e in contemporanea.
Negli anni passati però abbiamo sempre visto parlamentari
italiani candidarsi anche alle elezioni europee (Berlusconi alle ultime
consultazioni era capolista in tutti i collegi, per fare un esempio) ma, una
volta eletti, hanno sempre preferito stare tra i banchi di Montecitorio o
Palazzo Madama che all’Europarlamento (per altro senza neanche doversi scomodare, visto che il regolamento da 30 giorni per scegliere la carica di europarlamentare se uno incorre nel doppio ruolo, passati i quali decade automaticamente)
Tranne rarissimi casi (la lista di sinistra L’altra Europa
che schiera prevalentemente persone della società civile, e il MoVimento 5
Stelle i cui candidati sono passati per primarie on-line dove non potevano
partecipare parlamentari) i molti partiti la presenza di parlamentari è abbondante.
In una recente intervista ad 8 e ½ al ministro della Sanità, Beatrice Lorenzin (candidata come capolista per il
Nuovo Centro Destra), viene chiesto se, in caso di elezione, aveva intenzione
di lasciare la carica di Ministro per poter diventare europarlamentare. Il
ministro, senza neanche pensarci, ha dichiarato candidamente che se eletta si
sarebbe subito dimessa da europarlamentare per continuare a fare il ministro in
Italia, aggiungendo che la sua era solo una candidatura di bandiera. In poche
parole chi volesse votare l’onorevole Beatrice Lorenzin alle prossime elezioni
lo fa ben sapendo che quella preferenza non avrà nessun valore. Ma anche il suo
compagno di partito e ministro dei trasporti, Maurizio Lupi, è capolista per il
suo partito nella circoscrizione Nord Ovest. In un lungo post sul suo blog
spiega le ragioni della sua scesa in campo, nobili ragioni per cambiare
l’Europa. Dalla passione nello scrivere non sembra ci siano dubbi sulle sue
intenzioni, una volta eletto, di andare in Europa perché “Abbiamo oggi la possibilità
di rinnovare l’esperienza dei padri fondatori dell’Europa, che dopo la guerra
ritrovano nell’interesse comune le ragioni per ripartire.”
Nel PD in quattro circoscrizioni su cinque il capolista è un
parlamentare (Alessia Mosca, Pina Picerno, Alessandra Moretti e Simona Bonafè)
e non sono gli unici parlamentari in lista. Tra deputati e consiglieri
regionali ben 19 candidati su 73 nelle liste del PD (tra gli onorevoli troviamo
anche Enrico Gasbarra e l’ex ministro Cécile Kyenge) sarebbero incompatibili perché
ricoprirebbero il doppio ruolo.
La lista è ancora lunga e si passa da Lorenzo Cesa (UDC) a
Gabriele Toccafondi (Sottosegretario all’Istruzione) fino ad arrivare a
Raffaele Fitto (F.I.) e all’ex ministro Giorgia Meloni (Fratelli d’italia),
senza contare i tanti consiglieri regionali messi in campo in tutti i partiti.
Sarebbe bello sentire da ognuno di loro dichiarazione nella
quale affermano di non aver nessuna intenzione di sedersi al Parlamento europeo
ma che la loro è una candidatura solo per portare qualche voto in più al
partito; o, al contrario, sentire la promessa che se eletto prenderà l’impegno
di lasciare l’attuale carica per andare in Europa.
E poi, che senso ha farsi eleggere poco più di un anno fa a
Montecitorio o a Palazzo Madama per dimettersi (e quindi lasciare il lavoro a
metà) oggi? Il Senatore Gabriele Albertini, per fare un altro esempio, ha
lasciato il suo posta da eurodeputato un anno fa (eletto con F.I.) per candidarsi
a Palazzo Madama (con Scelta Civica) e il prossimo 25 maggio sarà candidato
(per il Nuovo Centro Destra) a Strasburgo.
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